Il collare di fuoco e Il collare spezzato sono due ottimi romanzi storici di Valerio Evangelisti pubblicati tra il 2005 e il 2006 da Mondadori. Entrambi narrano, dal punto di vista del materialismo storico e dialettico, la storia del Messico, il primo gli anni che vanno dal 1859 al 1890, il secondo ne prosegue la storia sino agli anni trenta alle soglie della presidenza di Lázaro Cárdenas che, con la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, finalmente strappata al controllo delle multinazionali imperialiste, porta a compimento il lungo e complesso processo della Rivoluzione messicana.
Per quanto le vicende narrate possono apparire temporalmente e geograficamente molto distanti da noi restano, purtroppo, di grande attualità. In primo luogo perché ricostruiscono con dovizia di particolari significativi e in modo estremamente rivoluzionario una vera e propria controstoria del più radicale processo rivoluzionario antecedente la Rivoluzione d’ottobre e, al contempo, una grande epopea di lotta contro il colonialismo e l’imperialismo europeo e statunitense in nome del diritto dei popoli all’autodeterminazione. In secondo luogo perché molte delle tragiche vicende narrate restano di stringente attualità, come dimostrano le recenti stragi di messicani e di cittadini statunitensi di origine messicana a opera di suprematisti bianchi incoraggiati ad agire dalla politica apertamente xenofoba dello stesso capo del governo, che ha posto al centro della sua politica la costruzione di un muro di recinzione lungo l’intera enorme frontiera che separa gli Usa dal Messico. Minacciando costantemente gli immigrati ispanici irregolari o a cui è scaduto il permesso di soggiorno di essere deportati in Messico.
Importante antecedente storico, che costituisce l’indispensabile premessa per comprendere le avvincenti e tragiche vicende del lungo processo rivoluzionario che si sviluppa per quasi settant’anni in Messico, è la storia dell’indipendenza del paese. Indipendenza che avviene in ritardo rispetto a quella della maggioranza degli altri paesi dell’America latina in quanto, già fra il 1811 e il 1814, si erano sviluppate in Messico grandi rivolte delle grandi masse popolari composte essenzialmente da indigeni e meticci che si battevano per la socializzazione del principale mezzo di produzione: la terra, che era praticamente stato espropriato dai colonialisti spagnoli. I loro discendenti creoli erano così la classe economicamente dominante, mentre il potere politico era mantenuto dai funzionari spagnoli. I motivi che avevano portato a risolvere con uno scontro militare questo dualismo di potere nella maggioranza dei paesi dell’America latina, in Messico fu rinviato dall’alleanza fra i fratelli nemici che controllavano il paese, ovvero i creoli e gli spagnoli che misero rapidamente da parte le loro contraddizioni interne per difendere i loro enormi privilegi contro le masse popolari in rivolta. In tal modo, sfruttando anche le contraddizioni fra schiavi neri, indios e meticci, classi sociali in forma diversa subordinate, creoli e spagnoli riuscirono a stroncare nel sangue la rivolta condotta in funzione della riforma agraria.
Solo dopo la repressione delle masse popolari e in particolare degli indios, i creoli riuscirono a legare a loro in funzione subordinata parte dei meticci sconfitti e in tal modo, grazia anche agli aiuti interessati degli imperialisti inglesi e statunitensi riuscirono nel 1821 a conquistare l’indipendenza. Il potere economico e politico finisce in modo completo sotto il controllo dei grandi latifondisti creoli e dell’alto clero grazie all’alleanza con i vertici dell’esercito guidati dal generale Iturbide. Quest’ultimo giocando sulle contraddizioni fra le forze indipendentiste sperimenta una forma di cesarismo regressivo, facendosi proclamare imperatore dopo un colpo di Stato.
Al governo bonapartista di Iturbide si contrappongono essenzialmente le forze liberal-democratiche, della piccola borghesia costituita in massima parte da meticci, una sorta di ceto medio locale, che riescono a rovesciare Iturbide e a farlo fucilare grazie all’appoggio degli umiliati e offesi, costituiti principalmente da indios e schiavi, conquistati con la promessa dell’abolizione della schiavitù. Proclamata la Repubblica e dotatisi di una Costituzione liberal-democratica la nuova classe dirigente, sotto la spinta di indios e schiavi, si vide costretta a mantenere i patti e abolire la schiavitù, anche per mantenere l’appoggio della componente più sfruttata della popolazione, necessaria a sconfiggere i tentativi controrivoluzionari.
I grandi proprietari creoli o anglofoni, in particolare dello Stato settentrionale del Texas, insorsero per restaurare la schiavitù, ricevendo il pronto sostegno degli Stati Uniti, i più forti sostenitori della schiavitù a livello internazionale. L’intervento diretto nella guerra civile di questi ultimi, a difesa dei padroni di schiavi, portò alla secessione del Texas che fu inglobato dagli Stati Uniti d’America, dal momento che i grandi proprietari creoli preferirono sacrificare l’indipendenza appena conquistata, pur di mantenere i proprio irrazionali e ingiusti secolari privilegi.
Il governo liberal-democratico, incalzato dalle masse popolari decise a battersi contro l’occupazione imperialista del nord del paese – imposta al fine di restaurare la schiavitù – costrinsero il restio governo a dichiarare guerra agli Stati uniti per liberare i territori occupati. In realtà il governo liberal-democratico temeva più una vittoria delle proprie masse popolari, che avevano voluto la guerra di liberazione nazionale, che una affermazione dei liberal-democratici statunitensi, che avrebbero duramente represso e rimesso al loro posto i subalterni. In tal modo gli Stati uniti vinsero in modo piuttosto agevole la guerra, con i soldati messicani sostanzialmente traditi dal proprio governo e dai propri comandanti militari. In tal modo gli Stati uniti strapparono al Messico più del 40% dei suoi territori, annettendosi oltre al Texas, la California, il New Messico, l’Arizona, il Nevada, l’Utah e la maggior parte del Colorado e del Wyoming, restaurando in tutti questi Stati la schiavitù, conquistandosi in tal modo il pieno sostegno dei grandi proprietari creoli.
D’altra parte conquistato il potere i coloni americani svilupparono una politica sempre più apertamente razzista verso gli stessi creoli, per accentrare nelle loro mani il potere, ponendo fine a ogni forma di dualismo di potere. Questo non poteva che creare delle crescenti frizioni con i proprietari medio-grandi creoli. Uno dei quali, Cortina, si pose alla testa di una prima grande rivolta con l’obiettivo di far valere i propri diritti. La rivolta, per riuscire a resistere alla terribile repressione statunitense, fu costretta a sviluppare parole d’ordine sempre più avanzate e universaliste, come la liberazione dei territori occupati dagli Stati uniti. Si conquistarono inoltre il sostegno di banditi che fra l’altro, aiutavano gli schiavi fuggitivi ad attraversare illegalmente il confine con gli Stati Uniti per riconquistare la agognata libertà.
A questo punto interrompiamo la narrazione della storia per evitare il fastidioso spoiler, sebbene la storia sia nota, in quanto si tratta di un’eccezionale ricostruzione, in un’ottica marxista, delle epiche e tragiche vicende della Rivoluzione messicana. D’altra parte come sapeva già Hegel una cosa proprio perché nota, non è in realtà conosciuta, non è compresa in profondità e in modo critico e dialettico. Il primo grande merito di questi due straordinari romanzi di Evangelisti consiste proprio nell’offrirci di questa fase decisiva della storia del Messico una conoscenza non superficiale, ma tanto critica, quanto dialettica, mettendo in evidenza gli aspetti fondamentali e al contempo più attuali, dal momento che la vera storia è sempre, come sottolineava già Croce, storia contemporanea ed esposizione di come la libertà si è progressivamente, ma non in modo lineare, affermata nel corso della storia mondiale. La parte della storia mirabilmente narrata da Evangelisti è altresì particolarmente importante e significativa anche per farci rompere con la visione del mondo e della storia eurocentrica, che ci inculca costantemente, a partire dalla scuola e dai mezzi di comunicazione di massa, l’ideologia dominante. Per altro dopo la rivoluzione degli schiavi di Haiti, la rivoluzione Messicana è la prima grande rivoluzione moderna extraeuropea che aprirà il grande ciclo delle rivoluzioni antimperialiste dei popoli coloniali, che conoscerà essenziali momenti di sviluppo in Cina, Vietnam e Cuba, per limitarci a citare gli esempi più fulgidi, e che oggi prosegue a partire dalla lotta per la liberazione della Palestina.
Questi due romanzi di Evangelisti non sono soltanto rivoluzionari dal punto di vista del contenuto, ma al contempo dal punto di vista della forma. Proprio per questa perfetta corrispondenza fra un contenuto, in grado di affrontare in senso progressivo questioni sostanziali di interesse universale, e una forma, capace di assicurare non solo il necessario godimento estetico, ma al contempo in grado di lasciare molto su cui riflettere in modo critico e produttivo allo spettatore, questi due romanzi debbono essere considerati delle autentiche grandi opere d’arte. Perciò siamo portati a pretendere che qualsiasi persona che abbia il necessario gusto non possa che condividere il nostro giudizio che, per quanto soggettivo, intende essere valido universalmente.
In particolare i romanzi di Evangelisti sono in grado di valorizzare nel modo più creativo e originale uno degli aspetti essenziali dell’estetica e della poetica marxista e leninista, ovvero l’effetto di straniamento (Verfremdungseffekt) elaborato e magistralmente utilizzato dal grandissimo artista comunista Bertolt Brecht. Si tratta di una innovazione decisiva nella rappresentazione artistica, che costituisce una vera e propria rivoluzione copernicana in ambito estetico. In effetti la concezione tradizionale, ancora oggi assolutamente predominante nei prodotti dell’industria culturale e non solo, teorizzata per la prima volta da Aristotele, ha di mira la piena immedesimazione dello spettatore nei principali personaggi rappresentati e in primo luogo nel protagonista. Al contrario Brecht, nella sua concezione non a caso definita antiaristotelica, teorizza – per una fruizione critica e produttiva, anche in termini pratici, di un’opera d’arte – la necessità che lo spettatore non sia quasi costretto a identificarsi nel protagonista e nei personaggi principali positivi, ma sia al contrario portato a mantenere un distacco critico, che gli consenta di sviluppare un giudizio autonomo e produttivo su quanto gli viene presentato. A questo scopo i personaggi debbono essere rappresentati nel modo più realistico e dialettico possibile, per mostrarne la complessità e i molteplici aspetti anche contraddittori e al contempo in modo epico, ossia costantemente messi a confronto con i grandi problemi storici, sociali, economici, politici e culturali del mondo storico con il quale interagiscono.
Sviluppando in modo creativo e produttivo questi capisaldi dell’estetica e poetica marxista, Evangelisti costruisce due romanzi mirabilmente polifonici, privi di un protagonista e di un numero limitato di personaggi principali. I moltissimi personaggi dei romanzi sono rappresentati in modo realistico e dialettico, in modo tale che non sia possibile una identificazione acritica, anche perché non esistono individui completamente buoni, né uomini sempre e comunque cattivi, anche se – su quest’ultimo punto – Evangelisti è sempre un po’ carente. Sostanzialmente il grande numero di personaggi affrontati hanno tutti o quasi un preciso fondamento storico e, altro aspetto estremamente significativo, sono tanto i grandi personaggi storici universali di questi tragici ed epici eventi, quanto rappresentanti tipici dei diversi gruppi sociali, politici, etici, etnici e religiosi che ci consentono di comprendete la storia non solo dal punto di vista dei vincitori, ma anche dal punto di vista degli sconfitti apparenti e reali.