Segue da Il collare di fuoco spezzato
I due libri del ciclo messicano di Evangelisti, pur parlando di eventi di circa un secolo fa, restano essenziali per comprendere a fondo e in modo critico gli attuali tragici eventi che hanno luogo intorno al confine fra gli Stati uniti e il Messico e che sono divenuti uno degli strumenti vincenti del populismo di estrema destra del presidente Trump. Quest’ultimo, per quanto in modo essenzialmente truffaldino, ha vinto le elezioni anche grazie a due promosse di carattere fondamentalmente razzista, ovvero costruire una grande muro di recinzioni per separare il proprio paese dal Messico e rimpatriare l’enorme quantità di sud americani che lavorano negli Stati uniti, super sfruttati in quanto privi di permesso di soggiorno. Questa politica apertamente xenofoba si fonderebbe, secondo il pensiero unico dominante, sul fatto che gli statunitensi degli Stati del sud si sentirebbero sempre più messi in minoranza nel loro stesso paese dai latinos provenienti dalla frontiera con il Messico.
Alla base di questa ideologica narrazione si omette di dire che questi Stati, oggi del sud degli Stati uniti, erano a tutti gli effetti Stati messicani, prima che gli Usa nel corso di una guerra imperialista non li strappassero al Messico, per altro per reimporre la schiavitù che il paese sudamericano, una volta conquistata l’indipendenza, aveva abolito. La conoscenza di tali eventi è essenziale per ristabilire chi sono i reali invasori e chi gli invasi e anche, in questo presunto scontro di civiltà, chi portasse il progresso, la libertà e la democrazia e chi intendesse al contrario imporre con la violenza il più arcaico e barbaro rapporto di produzione, quello schiavistico su ben il 40% del territorio messicano da allora occupato in modo imperialistico.
Attraverso questi romanzi di Evangelisti – che rappresentano una decisiva controstoria per quanto riguarda il rapporto fra gli Stati uniti e il proprio confine meridionale e le popolazioni latinoamericane, in primis messicane – appare dunque chiaramente quali siano le forze che si sono battute e tutt’ora di battono per l’emancipazione del genere umano e quelle che al contrario sono tutt’oggi in lotta per la dis-emancipazione. Come appare evidente sono le popolazioni di origine messicana e latinoamericana a dover vivere nei loro stessi territori una condizione di sfruttamento, di dominazione, di oppressione e discriminazione da parte delle forze occupanti statunitensi, in larga parte costituite da emigrati o discendenti di emigrati europei in primo luogo anglosassoni. Si tratta, dunque, di una situazione per molti versi assimilabile a quella della Palestina sotto occupazione sionista.
Anche per quanto riguarda questi territori occupati del sud degli Stati uniti quando le popolazioni autoctone, umiliate e offese hanno provato a reagire, a ribellarsi, a cercare di riconquistare l’indipendenza o almeno gli stessi diritti degli occupanti, sono stati considerati dei barbari e dei terroristi, conto i quali è stata scatena una soverchiante e violentissima repressione. Repressione che finisce per colpire in modo razzista tutta la popolazione latinoamericana, a prescindere dalla partecipazione diretta o meno ai tentativi di far valere i propri diritti. Anzi, proprio il fatto che questa presunta “razza inferiore” avrebbe “osato alzare la testa” favorisce la creazione di uno stato di terrore contro la popolazione nativa, prima portato avanti dai ranger e poi, più recentemente, dal Ku Klux Klan che, non a caso, ha rialzato la testa grazie all’elezione di Trump, che tende a considerare un “presidente amico”. Infine, i tentativi di ribellione di coloro che vengono considerati da molti statunitensi del sud, in particolare dai più ricchi, dei veri e propri sotto-uomini, è stata cinicamente sfruttata per imporre per diversi anni un vero e proprio stato di apartheid nei confronti di tutti i latinos.
Molto interessante è come Evangelisti riesca, altresì, a smontare la narrazione storica dominante creata a uso e consumo dei vincitori. Pensiamo ad esempio ai ranger talmente mitizzati dall’ideologia dominante che proprio uno di loro, Tex Willer, è il protagonista del fumetto italiano più longevo e di successo sino ai giorni nostri. Quest’ultimo da decenni viene presentato come un eroico difensore dei più deboli contro i più forti e violenti. Al contrario, nella ricostruzione storica antiideologica di Evangelisti viene mostrata la vera natura di queste milizie, che arruolavano avventurieri e soggetti privi di scrupoli, uniti esclusivamente dal comune odio razzista verso i più deboli, ovvero i latinos, i pellerossa, gli schiavi, gli afroamericani e le donne.
Un discorso analogo vale per i tanto mitizzati, non solo nel mondo occidentale, cowboy, impostisi nell’immaginario collettivo grazie alla potentissima industria culturale statunitense come il prototipo del vero americano: caucasico, libero, individualista, duro ma onesto, costantemente impegnato a combattere le forze del male, in primo luogo i nativi considerati come dei selvaggi, più vicini alle belve feroci che agli uomini. Esattamente al contrario, come diviene evidente dalla sacrosanta controstoria di Evangelisti, i cowboy erano quasi sempre latinos, proletari ultra-sfruttati dai grandi proprietari yankee, che quasi mai li riconoscevano come esseri umani, istaurando così nella grande maggioranza dei casi il vecchio rapporto ineguale fra servo e padrone.
Tutte queste dinamiche etniche e razziste sono giustamente considerate e rappresentate da Evangelisti alla luce del metodo scientifico degli studi storici, ovvero il materialismo storico, che considera che le società storiche si sono, almeno sino a ora, sempre sviluppate a partire dalle lotte di classe, in primo luogo sociali, che contrappongono gli sfruttati agli sfruttatori. Dunque, per quanto Evangelisti da vero rivoluzionario internazionalista, oltre che da grande romanziere e storico, non si stanchi di denunciare gli aspetti barbari di ogni forma di razzismo e di nazionalismo, al contempo ne mostra a ragione come siano costantemente strumentalizzati, quando non appositamente creati, per dividere gli sfruttati e far sì che una parte di essi si schierino al servizio degli sfruttatori.
Quindi la contraddizione fondamentale che consente di comprendere, al di là dell’ideologia dominante, la realtà storica resta decisamente il conflitto fra i lavoratori e i loro sfruttatori. Questi ultimi, oltre a essere la classe sociale dominante dal punto di vista economico, sono generalmente al contempo la classe dirigente dal punto di vista politico e militare. In quanto lo Stato è sempre uno strumento di dominio del blocco sociale dominante su quello subalterno, come dimostra con tantissimi esempi, veri o verosimili Evangelisti. Qui si vede l’abisso che separa, detto fra parentesi, un vero comunista da un romanziere revisionista, che al contrario, pur definendosi comunista, nella stragrande maggioranza dei suoi celebri romanzi considera come forze che si battono per l’emancipazione del genere umano gli apparati repressivi di uno Stato, per altro imperialista.
Dunque vediamo come, sin dalla premessa della storia narrata da Evangelisti, la classe dominante del nord del Messico, composta da grandi proprietari terrieri e di schiavi, prima alleata dei colonialisti spagnoli nella spaventosa repressione delle popolazioni autoctone, dopo l’indipendenza chiede l’intervento imperialista degli Stati uniti, dal momento che il proprio Stato, costituitosi principalmente grazie alla mobilitazione di subalterni, ha proibito la schiavitù (in quanto la classe dirigente considera superiore il modello capitalista britannico, rispetto a quello schiavistico a lungo dominante negli Usa). In tal modo i grandi proprietari schiavisti messicani, in primo luogo del Texas, strumentalizzano le grandi lotte condotte in tutta l’America latina per il diritto dei popoli all’autodeterminazione e, con l’aiuto degli statunitensi, organizzano un antenato delle moderne rivoluzioni colorate, per ottenere l’indipendenza, funzionale alla restaurazione dello schiavismo. In seguito, temendo di non poter fronteggiare la volontà popolare dei messicani di riconquistare i territori separatisti, non esitano a entrare a far parte degli Stati uniti e a essere, in seguito, in prima fila contro il proprio popolo d’origine nella successiva guerra fra Messico e Stati uniti. Anche in seguito, con rarissime eccezioni, per quanto siano costantemente discriminati dagli statunitensi, si schierano dalla loro parte nelle lotte per reprimere i tentativi dei messicani di ottenere l’indipendenza o la parità dei diritti o, quantomeno, un minimo di rispetto da parte degli occupanti.
Un discorso analogo si può fare per buona parte delle classi dominanti e dirigenti messicane che, generalmente, tendono ad allearsi con gli Stati uniti – nonostante tutto quello che il loro paese ha subito da parte dell’imperialismo a stelle e strisce – per meglio mantenere il proprio dominio sulle classi subalterne del loro stesso popolo. Al punto da chiedere l’intervento dell’esercito americano, de ranger e volontari razzisti yankee nelle regioni del loro paese che non riescono a controllare a causa delle continue ribellioni.
Queste ultime sono, in qualche modo, il necessario portato di una società estremamente classista, per molti aspetti pre-capitalista, in quanto la possibilità di poter passare molecolarmente da una classe all’altra subisce delle pesantissime restrizioni, per quanto non legali, a causa in primo luogo delle differenze etniche. In effetti, i grandi mezzi di produzione sono controllati in modo monopolistico dai creoli, discendenti dei violentissimi conquistadores spagnoli, autori dello spaventoso genocidio e della successiva espropriazione e schiavizzazione delle popolazioni native. Vi sono poi i meticci, ovvero i mezzo sangue che fungendo da base di massa a difesa degli oligarchi, sono generalmente accettati, in funzione subordinata, nel blocco sociale dominante, svolgendo la funzione della piccola borghesia e dei ceti medi. Vi sono infine le popolazioni autoctone, maggioritarie nonostante il genocidio perpetuato dai colonizzatori europeo e gli ex schiavi neri quasi sempre ridotti al ruolo di proletari o sottoproletari.
D’altra parte questa struttura castale, fondata su un profondo razzismo per cui i creoli non si riconoscono negli altri gruppi e i meticci non si riconoscono negli indigeni etc., rende necessario – come avveniva nel medioevo a opera della chiesa – che gli elementi più svegli, capaci, ambiziosi e cinici dei ceti, sostanzialmente chiusi, subalterni fossero cooptati nelle “caste” superiori, a patto che rompano ogni relazione e soprattutto ogni forma di solidarietà con i gruppi etnico-sociali di provenienza. Anzi vediamo che ai più decisi a fare propria la morale dei dominatori, sulla base della propria volontà di potenza, e a essere perciò i più spietati nei riguardi dei subalterni – per distinguersi dai quali debbono dimostrarsi i più impietosi – grazie alla carriera militare finiscono più volte per occupare posti dirigenziali sino a divenire in più di un caso massimo dirigente del paese. A dimostrazione che le differenze etniche e presunte raziali, sono sempre più strumentalizzate ai fini del conflitto sociale, in funzione degli interessi del partito dell’ordine. Tali divisioni, artatamente gonfiate dalle classi dominanti, costituiscono uno degli elementi di debolezza principale dei tentativi di ribellione dei gruppi sociali subalterni.
Discorso sostanzialmente analogo viene sviluppato da Evangelisti per quanto riguarda la lotta di classe a livello di genere. Anche in questo caso – sebbene vi sia un deciso rapporto di riconoscimento diseguale che vede quasi sempre in funzione subalterna la donna, a tutti i livelli sociali, tanto che un riequilibrio avviene solo quando una donna ha un rapporto con un uomo di un gruppo etnico-sociale considerato inferiore –tale conflitto è sovradeterminato e strumentalizzato dalla lotta di di classe. Così vediamo donne delle classi o dei gruppi etnici dominanti che pur, subendo anche gravissime violenze sessuali da parte degli stessi agenti degli apparati repressivi dello Stato, generalmente non esitano a schierarsi con essi quando vengono messi in discussione dai subalterni, anche del proprio genere, i propri privilegi di classe, per quanto ingiusti e irrazionali.