Intervistato il 21 aprile da Report, durante una puntata incentrata sulle cave di marmo di Massa Carrara, il presidente e amministratore delegato dell’azienda Franchi Umberto Marmi, l’imprenditore Alberto Franchi, in un fuori-onda ha attribuito la responsabilità degli incidenti sul lavoro nelle cave di marmo ai lavoratori, che non adottano le procedure di sicurezza previste. “Qua si fanno male perché sono deficienti, gli incidenti che ci sono stati negli ultimi 10 anni, mi dispiace dirlo, ma purtroppo è colpa dell’operaio. Che fai lo picchi? Ma se di qua non ci devi passare e mi vai sotto lì e mi vai a rutere [cadere, nel dialetto locale, ndr] di chi è colpa, mia o tua? Non fan niente. Se ti devi legare per stare sopra lassù e non ti leghi cioè…o sto qui come un cecchino…Nel caso ci stiamo come un cecchino...” sono state le parole di Alberto Franchi.
Le affermazioni dell’imprenditore della nota pmi del marmo, con una quarantina di dipendenti e un fatturato di circa 75 milioni di euro l’anno, hanno fatto montare la protesta spontanea nella città di Carrara. A poco sono servite le “scuse tardive e ipocrite” di Alberto Franchi. A una partecipata assemblea nel palazzo comunale della città è seguito uno sciopero di 24 ore del distretto del marmo apuo-versiliese, indetto il 24 aprile da Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil per il salario e la sicurezza sul lavoro. Durante lo sciopero hanno manifestato nella città di Carrara 1500 lavoratori del settore, accompagnati dalle istituzioni locali e dai familiari delle vittime sul lavoro nelle cave di marmo. Una manifestazione importante per la città di Carrara e il settore del marmo, un sussulto di dignità operaia ferita dall’arroganza padronale presente nelle parole dell’imprenditore Alberto Franchi, parole di chi “è nato con la pappa pronta”. Una mobilitazione quella di Carrara, fatta detonare dalle dichiarazioni di Alberto Franchi, sebbene le motivazioni per scioperare ci fossero anche prima delle parole dell’imprenditore, che, però, hanno rimesso in chiaro quali sono i rapporti sociali di produzione, come ben evidenziato dai manifesti apparsi nella mobilitazione: “Alberto Franchi non è un mostro ma il figlio sano dell’estrattivismo…Perché questa infondo è una delle conseguenze dirette dell’estrattivismo: l’idea che pochi, pochissimi imprenditori si sentano talmente intoccabili da sputare in faccia non solo a istituzioni, leggi e ambiente, ma persino a chi la mattina si alza alle 5 per arricchirli. E allora diciamolo con fermezza, ma Franchi ci fa schifo ma non è né un mostro né un’eccezione: è la regola che governa il nostro territorio e si chiama estrattivismo”. Dato il suo carattere settoriale e la dimensione territoriale, lo sciopero di Carrara non è in grado di arrestare la strage quotidiana che avviene nei luoghi di lavoro, con una media per l’anno 2023 di 4 lavoratori morti al giorno, “un morto ogni sei ore”, come scritto da Stefano Massini il primo maggio sul la Repubblica.
Tema quello dell’assenza di sicurezza sui luoghi di lavoro, con i conseguenti infortuni e morti, che ha caratterizzato anche il recente concerto del primo maggio a Roma. Ciclicamente le prime pagine dei giornali sono investite da notizie su incidenti mortali nei luoghi di lavoro, e nonostante ciò non cambia mai nulla. Eppure, solo un paio di settimane fa, sabato 20 aprile, CGIL e UIL avevano indetto a Roma una manifestazione nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro, per il diritto di cura e la sanità pubblica, per una riforma fiscale e la tutela dei salari. Una manifestazione che aveva visto scendere in piazza 50000 lavoratori e lavoratrici per dire basta morti sul lavoro, più soldi alla sanità pubblica e aumento dei salari. Tutte richieste che si scontrano contro un comun denominatore, la brama sempre maggiore di plusvalore dei possessori dei mezzi di produzione.
Per gli imprenditori è facile eludere le richieste dei lavoratori, perché oltre a detenere il potere economico hanno anche il potere politico schierato completamente dalla loro parte. Il governo Meloni ha confermato nel DEF incompleto l’indirizzo economico già prospettato in autunno. Dopo la pantomima dell’astensione sul patto di stabilità in Parlamento europeo, ha spostato di fatto le politiche di lacrime e sangue per la classe lavoratrice a dopo le elezioni europee, quando emergeranno più chiaramente quali saranno i tagli e le riduzioni delle spese. Affossato in autunno il salario minimo, che avrebbe dovuto rendere la vita un po’ migliore per le fasce di lavoratori più sottopagate, prosegue con la stessa politica di bonus “marchette elettorali”, tagliando invece il salario indiretto. La vita delle persone è sempre più precaria, con la crescente difficoltà di accesso alle cure necessarie e con il rischio di non tornare a casa dal lavoro. Purtroppo non è all’orizzonte nessuna prospettiva di miglioramento delle condizioni di lavoro, anche perché i rapporti di forza sono decisamente sfavorevoli per la classe lavoratrice.
In un quadro così sfavorevole, la CGIL ha lanciato una campagna di raccolte firme per quattro quesiti referendari, mirati a mitigare lo strapotere dei padroni. Il primo quesito prevede di cancellare le norme del Jobs Act che consentono il non reintegro dei lavoratori licenziati illegittimamente; il secondo di cancellare il tetto massimo al risarcimento del licenziato nelle imprese con meno di quindici dipendenti; il terzo di cancellare la liberalizzazione dei contratti a termine, limitando l’uso di causali specifiche e temporanee; e l’ultimo di cancellare la norma che deresponsabilizza l’impresa committente in caso di infortunio o malattia professionale del lavoratore in appalto e subappalto. Sicuramente una buona iniziativa, da sostenere, ma temo non sufficiente ad invertire la rotta. Il nostro paese è immerso in una lunga stagione di sconfitte operaie che ha visto sempre più erosi i diritti dei lavoratori e i salari. Parallelamente è sempre più in aumento la quota di ricchezza sociale che dai salari è andata verso i profitti. Sintomo che se c’è crisi, questa la sta pagando una parte sola.
Una maggiore combattività delle organizzazioni sindacali, che di certo non brillarono nell’opporsi al varo del Jobs Act e di altre pesanti riforme, è sicuramente un elemento importante per ogni riscossa della classe lavoratrice; tuttavia è necessario anche un maggiore protagonismo dei lavoratori. Protagonismo, che oggi, a parte spontanei sussulti come quello di Carrara, non trova la necessaria consapevolezza. Se i quadri sindacali sono poco propensi a lottare è anche perché manca la spinta della base, elemento imprescindibile per ogni riscatto sociale. Il calo della partecipazione agli scioperi è strettamente interconnesso con la loro efficacia, è come un cane che si morde la coda. Per trovare una via di uscita da questo impasse, dove le condizioni di vita declinano insieme alla propensione alla lotta, è necessario offrire una prospettiva vincente alla classe lavoratrice. Prospettiva non certo semplice con un governo blindato come quello attuale, che sembra poter procedere spedito nelle proprie politiche a favore del capitale; tuttavia colo così ci sarà quella riscossa sociale necessaria oggi più che mai, con un sistema di rapporti di produzione che non è in grado di offrire nulla, se non miseria e distruzione. Un nuovo ordine sociale è sempre più necessario, ma deve anche essere credibile, e questo non è possibile senza una prospettiva politica per la classe lavoratrice. Sta a noi lavorare perché ciò si realizzi.