L’ennesima controrivoluzione colorata

Confondere una controrivoluzione con una rivoluzione la prima volta è umano, ma persistere nel sostenere tutte le (contro)rivoluzioni colorate è oggettivamente diabolico, oltre che vergognoso.


L’ennesima controrivoluzione colorata Credits: https://www.cuba-si.ch/it/imperialismo-e-autodeterminazione-dei-popoli-bielorussia-lukasenka-non-e-pronto-a-svendere-il-paese/

Sono almeno vent’anni che assistiamo, con cadenza annuale, alle ormai note in tutto il mondo controrivoluzioni colorate. Tali colpi di Stato volti a rovesciare ogni governo legittimamente eletto che in un modo o nell’altro non si piega al pensiero unico dominante, neoliberista, ha da tempo una sua dottrina, raccolta in un manuale da Gene Sharp e ben presto adottata dal Dipartimento di Stato statunitense. Tali golpe, più o meno sponsorizzati e promossi dall’imperialismo statunitense ed europeo, in primo luogo tedesco, si sono sviluppati in particolare in quei paesi ex socialisti i cui governi non erano sufficientemente proni al pensiero unico dominante. Tale scenario costantemente ripetuto, a cominciare dalla Jugoslavia terminando con l’Ucraina, ha altrettanto costantemente portato al governo forze della destra più o meno radicale e sempre completamente prone all’imperialismo.

Per portare a termine questa tattica neocoloniale in Est Europa mancava un’ultima significativa fortezza da espugnare, la Bielorussia. Nonostante che, da anni, le potenze imperialiste e i loro scagnozzi locali, dalla Polonia ai Paesi Baltici, abbiano tentato in ogni modo di rovesciare il governo antimperialista – sempre nettamente vincitore anche nelle elezioni parlamentari borghesi – fino a quest’anno avevano subito una disfatta dopo l’altra. D’altra parte la Bielorussia, l’unico paese a mantenere parte significativa delle conquiste sociali dell’Unione sovietica, con un presidente che fu l’unico a votare contro lo scioglimento dell’Urss, era uno smacco troppo grande per i sostenitori imperialisti del pensiero unico. Tanto più che una tale politica economica, che aveva resistito all’ondata di privatizzazioni galoppanti in tutti i paesi ex socialisti, mantenendo sotto il controllo pubblico il 70% della proprietà, non poteva essere ulteriormente tollerata dallo Stato capitalista russo, che ha sempre avuto come principale forza di opposizione i comunisti. Comunisti che, al contrario che in Russia e negli altri paesi ex socialisti, sono rimasti sino a ora sempre al governo, anche se mantenendo la propria indipendenza e autonomia rispetto al partito guidato da Lukashenko.

Nel momento in cui il governo bielorusso, a causa della crisi dovuta al sostanziale embargo dei paesi imperialisti e alle conseguenze della pandemia, ha dovuto operare dei tagli alla spesa sociale, diminuendo la propria capacità di egemonia, sono passati all’attacco in vista delle elezioni presidenziali non solo le solite potenze imperialiste della Nato, ma anche la stessa Russia. Entrambe sostenendo un proprio candidato per porre fine al “cattivo esempio” dato a livello internazionale dal capitalismo di Stato bielorusso. In tal modo il piccolo paese si è trovato circondato dalle più grandi potenze mondiali, praticamente isolato visto il difficilissimo momento che stanno vivendo le potenze antimperialiste a livello internazionale. Dal momento che le pressioni internazionali hanno portato, come di consueto, tutte le opposizioni ad unirsi, può considerarsi davvero eccezionale la capacità del capitalismo di Stato bielorusso di non cedere dinanzi a potenze così soverchianti.

Soltanto paesi come Cuba, la Siria, il Venezuela e l’Iran hanno dimostrato una altrettanto sviluppata capacità di resistenza allo Stato d’assedio imposto dall’imperialismo transnazionale. Tutto questo non può che dimostrare come, nonostante tutti i tentativi, da parte del pensiero unico dominante, di far apparire isolati il governo e il capitalismo di Stato bielorusso, questi continuano a godere di un vasto consenso nel loro paese e di una notevole capacità di egemonia. Del resto, a questo proposito, i  risultati delle più recenti elezioni parlano da soli, con le forze che sostengono Lukashenko, al solito in coalizione con i comunisti, che hanno raggiunto l’80% dei suffragi. Naturalmente, sebbene le forze al potere, come in ogni paese del mondo, avranno sfruttato la loro posizione per massimizzare il risultato, una differenza così imponente, rispetto al completo fiasco elettorale del fronte unito delle opposizioni, non può che dimostrare il grande consenso elettorale di cui continua a godere il capitalismo di Stato bielorusso.

Nonostante evidenze così lampanti, diverse forze sedicenti di sinistra o addirittura comuniste per l’ennesima volta, dimostrando ancora una volta di non aver imparato nulla dai pesanti errori del passato, si sono schierate a favore dell’ennesima controrivoluzione colorata. Dimostrando, ancora una volta, di non essere più – oggettivamente, da questo punto di vista – una componente moderata delle forze che si battono per l’emancipazione del genere umano, ma di essere divenute l’ala “sinistra” delle forze internazionali che agiscono in funzione della dis-emancipazione del genere umano.

Peraltro, dovrebbe essere chiaro a tutti che le forze che si ribellano a un governo, per altro più che legittimamente eletto, non sono necessariamente volte a una trasformazione in senso progressista o rivoluzionario, ma possono benissimo essere, come tutta la storia dimostra, forze oggettivamente regressive, se non reazionarie. Non a caso non esistono purtroppo soltanto le rivoluzioni, ma anche le controrivoluzioni, come chiunque ha la sventura di vivere nella nostra epoca dovrebbe ormai aver imparato, visto che queste ultime sono divenute sempre più dominanti.

Nel caso specifico della Bielorussia, ovvero di un paese in cui da tempo domina il capitalismo di Stato, che – come dovrebbe essere noto – è una forma intermedia fra il capitalismo e il socialismo, evidentemente una rivolta progressista-rivoluzionaria dovrebbe aver come obiettivo il passaggio, immediato, a una società socialista, mentre una rivolta controrivoluzionario-reazionaria punta a imporre il capitalismo neoliberista. Ora nessuno crede o sostiene che nell’opposizione siano prevalenti le forze favorevoli al socialismo, mentre numerosissime evidenze dimostrano l’egemonia delle forze filo-imperialiste. Anzi, sostanzialmente, forze organizzate progressiste e rivoluzionarie risultano sostanzialmente assenti fra i ribelli, mentre sono chiaramente visibili e riconoscibili le forze reazionarie e controrivoluzionarie. Come nei casi precedenti di controrivoluzione è sufficientemente guardare alle bandiere e ai vessilli egemoni fra i contestatori, fra cui spicca la bandiera della Bielorussia filonazista e dove sono, completamente assenti bandiere e vessilli inneggianti al socialismo.

Anche in questo caso un minimo di memoria storica non guasterebbe, basterebbe tornare alla controrivoluzione ucraina o libica – per citare due fra i più recenti casi – per ritrovare una situazione analoga. Come era evidente a chi fosse in buona fede, il richiamo costante a una simbologia controrivoluzionaria dominante nelle rivolte ucraine e libiche non poteva che preannunciare un futuro di grave regresso da ogni punto di vista per le masse popolari di quei paesi. Uno spaventoso regresso che oggi rischia di travolgere le masse popolari bielorusse.

Da più parti si sente dire, come del resto nel caso di tutte le precedenti rivoluzioni colorate, che è un intero popolo che si sta levando contro il dittatore – per quanto eletto generalmente con un margine di voti inimmaginabile nei paesi imperialisti – quindi non si potrebbe che stare dalla parte del primo. Il ragionamento, per quanto apparentemente ineccepibile, fa in realtà acqua da tutte le parti. Come abbiamo visto, il presunto dittatore o addirittura satrapo, è in realtà il presidente che ha vinto con un netto distacco tutte le elezioni da venticinque anni a questa parte. Dall’altra parte, evidentemente, non vi sono le masse popolari, altrimenti con l’appoggio della borghesia e dell’imperialismo transnazionale avrebbero già da tempo portato a compimento la controrivoluzione. Inoltre, come è noto a chiunque conosce un po’ di storia, non solo ogni tirannia, ma anche ogni oligarchia ha potuto imporsi con la forza solo riuscendo a egemonizzare la parte meno consapevole e più arretrata del popolo. Discorso che vale anche per i governi di destra radicale oggi al governo o per le forze di destra radicale che guidano l’opposizione. Persino Trump, Bolsonaro, Boris Johnson o Erdogan sono al governo in quanto in grado di egemonizzare una parte del popolo del loro paese, ma un discorso analogo vale in Italia per la destra, a partire dalla Lega.

Per altro è ancora la stessa storia più recente a mostrarci come anche ribellioni popolari contro regimi di fatto dittatoriali, prive di una direzione consapevole da parte di forze progressiste e rivoluzionarie, hanno portato a dei regimi o più oppressivi dei precedenti, come in Egitto, o a un peggioramento ulteriore delle condizioni di vita dei ceti subalterni, come in Tunisia, o a un riallineamento su posizioni filoimperialiste e filosioniste come in Sudan, o hanno portato a mettere all’angolo le forze della resistenza antimperialista, come in Libano e in Iraq, o hanno portato al potere il fondamentalismo islamico e forze filoimperialiste come in Libia, o hanno prodotto una terribile guerra ed alla spartizione del paese – da sempre auspicata dalle forze imperialiste – come in Siria. Infine non è possibile dimenticare neanche cosa hanno prodotto alcune recenti ribellioni in America Latina. La ribellione, per quanto sacrosanta contro il governo dell'Ecuador, priva di direzione consapevole, ha portato a una repressione ancora più dura delle forze antimperialiste da parte del governo, mentre la ribellione contro i presunti brogli elettorali che avevano portato alla rielezione di Evo Morales in Bolivia, hanno portato la minoranza oligarchica, ancora una volta risultata minoritaria, con la violenza al potere. Qualcosa di simile è avvenuto con le pur giuste manifestazioni popolari in Brasile contro il governo di Dilma Rousseff che, sono state strumentalizzate dalla destra. Così, attraverso un colpo di Stato istituzionalizzato, è tornata al governo la destra radicale, favorendo la sconfitta dei governi antimperialisti che si erano formati in America latina.

Il punto determinante che ci si ostina a non voler intendere è che la democrazia parlamentare è ben vista dal capitalismo solo come strumento di egemonia, per governare con il consenso dei subalterni, nel caso raro in cui servisse a mettere in discussione il dominio di classe della grande borghesia, sono le forze liberali e liberaldemocratiche le prime a non accettare i risultati delle elezioni e, anzi, a utilizzare tutti i mezzi necessari per rovesciare il governo democraticamente eletto. Altro tipico caso, a questo proposito, è quello della Palestina, dove si sono volute per forza imporre elezioni borghesi a un popolo sottooccupazione e – dal momento che non sono state vinte, come sperato, dalle forze collaborazioniste degli occupanti – l’intera striscia di Gaza è stata trasformata in un enorme carcere all’aperto.

Inoltre, prima di arrivare a uno scontro aperto con un governo bisogna necessariamente – se non si vuol cadere nella trappola dell’avventurismo e dell’opportunismo di sinistra – tenere nel debito conto i rapporti di forza sul piano nazionale e internazionale. Altrimenti si finisce sempre nel paradosso di favorire la vittoria del male sul bene in nome di un ottimo del tutto astratto. Come peraltro avrebbe dovuto insegnare il sostegno dato da forze di “sinistra” e sedicenti comuniste alle forze controrivoluzionarie che hanno rovesciato i governi del blocco sovietico, favorendo l’affermarsi in quei paesi – e di fatto a livello mondiale – dell’attuale restaturazione neoliberista. Anche a quei tempi, giova ricordarlo, alcuni settori della stessa classe operaia, a partire da Solidarnosc, furono parte attiva di movimenti di rivolta egemonizzati da forze reazionarie. Con il brillante risultato di portare al governo in Polonia le forze più retrive.

30/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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