A parere di Vladimir I. U. Lenin la stessa Rivoluzione russa del 1905, nonostante la sua sconfitta, è stata un’esperienza storica decisiva che ha permesso al movimento operaio di conquistare per sé e per l’intera popolazione in soli tre anni “ciò che ad altri popoli costò decenni di lotta. Conquistò la liberazione degli operai dall’influenza del liberalismo” consentendogli di divenire la forza “egemone nella lotta per la libertà, per la democrazia come condizione per la lotta in favore del socialismo” [1]. Più in generale, tale esperienza diede a tutte le classi subalterne della Russia “la capacità di condurre quella lotta rivoluzionaria di massa senza la quale in nessun luogo al mondo si è mai raggiunto nulla di serio nel progresso dell’umanità” [2]. Ponendo dunque Karl Marx e Lenin “l’iniziativa storica delle masse al disopra di tutto” [3], non potevano che disprezzare il dogmatico marxista che non riconosce e non sostiene il tentativo delle masse “di dare l’assalto al cielo!” [4].
Persino una rottura rivoluzionaria prematura come la Comune di Parigi, contro la quale avevano messo in guardia Marx e Friedrich Engels – sostenendola e difendendola, però, con tutte le forze una volta scoppiata – nonostante le carenze e gli errori commessi dal suo quadro dirigente essa elevò “l’intiero movimento a un livello superiore” [5]. Per Lenin, infatti, vi sono frangenti storici nei quali anche “una lotta disperata delle masse, sia pure per un’impresa senza prospettive, è necessaria, per l’ulteriore educazione di queste masse e la loro preparazione alla prossima lotta” [6].
Inoltre i critici dogmatici della Rivoluzione d’ottobre non si rendevano conto di come le “successive rivoluzioni nei paesi dell’Oriente, paesi incomparabilmente più ricchi per popolazione e per l’infinita varietà di condizioni sociali, presenteranno senza dubbio un’originalità ancor maggiore di quella della rivoluzione russa” [7]. Per dirla in termini gramsciani, “i nostri piccoli borghesi europei” – come li appella ironicamente Lenin – non riuscivano nemmeno a immaginarsi che le future rivoluzioni in oriente (come la storia seguente ampiamente dimostrerà) saranno rivoluzioni contro il capitale, ancora più di quanto l’era stata la Rivoluzione socialista in Russia. Tale varietà non deve essere considerata, come credono i pedanti pseudomarxisti, un limite, ma la molteplicità di approcci alla transizione al socialismo, le differenti esperienze ne arricchiranno e perfezioneranno il concetto e la realizzazione storica. Come osserva Lenin ogni nazione “darà la sua impronta originale a questa o quella forma di democrazia, a questa o quella variante di dittatura del proletariato, a questo o quel ritmo di trasformazione socialista dei vari aspetti della vita sociale. Niente è più meschino teoreticamente e ridicolo praticamente che dipingere, “in nome del materialismo storico” [8], questo aspetto dell’avvenire con una tinta grigia e uniforme.
Il marxismo, dunque, è per Lenin una “guida viva per l’azione” [9] che deve essere costantemente aggiornata per riflettere le trasformazioni “nelle condizioni della vita sociale” [10]. Si finisce altrimenti nell’incapacità d’agire di chi pretende contrapporre al multiforme sviluppo del processo reale una formula stolidamente mandata giù a memoria. Al contrario, come insegnava Marx, “nei momenti rivoluzionari occorre la massima duttilità” [11], non si può mancare di ripensare la teoria sulla base della trasformazione, mai del tutto prevedibile, del reale. Tale duttilità è ancora più essenziale per portare a termine il complesso processo di transizione al socialismo in un paese come la Russia in cui, come ricordava Lenin, “nella situazione concreta e storicamente originalissima del 1917, è stato facile iniziare la rivoluzione socialista, mentre sarà per la Russia più difficile che per i paesi europei continuarla e condurla a termine” [12]. Tanto più che limitandosi a una interpretazione alle lettera si fa del marxismo una “cosa unilaterale, deforme e morta” [13], lo si priva del suo contenuto vivo, del suo fondamento teorico: la dialettica dello sviluppo storico multiforme e pieno di contraddizioni. Come chiarisce Lenin, conoscere un oggetto dialetticamente (ovvero in modo concreto) implica analizzarne gli aspetti multiformi nelle relazioni che lo legano ad altri oggetti finiti, il suo sviluppo storico e la sua relazione con il fine umano, ovvero dal punto di vista di filosofia della prassi. Quindi, “la logica dialettica esige che si vada oltre. Per conoscere realmente un oggetto bisogna considerare, studiare tutti i suoi aspetti, tutti i suoi legami e le sue «mediazioni». Non ci arriveremo mai integralmente, ma l’esigenza di considerare tutti gli aspetti ci metterà in guardia dagli errori e dalla fossilizzazione. Questo in primo luogo. In secondo luogo, la logica dialettica esige che si consideri l’oggetto nel suo sviluppo, nel suo «moto proprio» (come dice talvolta Hegel), nel suo cambiamento. (..) In terzo luogo, tutta la pratica umana deve entrare nella «definizione» completa dell’oggetto, sia come criterio di verità, sia come determinante pratica del legame dell’oggetto con ciò che occorre all’uomo. In quarto luogo, la logica dialettica insegna che «non esiste verità astratta, la verità è sempre concreta»” [14].
Così, in polemica con i critici della Rivoluzione d’ottobre in nome di una concezione ortodossa del marxismo, Lenin si domanda polemicamente come altro avrebbe dovuto comportarsi un popolo posto durante la guerra in una situazione rivoluzionaria che non prevedeva vie di fuga se non accingendosi a una lotta che gli apriva almeno “qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un ulteriore progresso della civiltà?” [15]. Del resto, come sottolinea polemicamente Lenin, “la nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l’azione, dicevano Marx e Engels, e l’errore più grave, il massimo delitto dei marxisti «patentati» come Karl Kautsky, Otto Bauer, ecc., è di non aver compreso, di non aver saputo applicare questo principio nei principali momenti della rivoluzione del proletariato” [16].
D’altra parte occorre guardarsi dai cultori della novità e della revisione a ogni costo, dal momento che Lenin ritiene che gli “obiettivi generali e fondamentali” posti da Marx ed Engels non siano da ritenere inadeguati sino a che non cambieranno “i rapporti fondamentali tra le classi” [17]. Dunque, per Lenin, la componente strategica del marxismo sarà da porre in discussione solo in momenti di profonda svolta del corso del mondo.
Tanto più che esiste anche una forma di dogmatismo particolarmente perniciosa, il dogmatismo eclettico che Lenin rimprovera a Nikolaj Bukharin: “perché Bukharin non fa il minimo tentativo di analizzare in modo autonomo, dal suo punto di vista, tutta la storia del dibattito (cosa che il marxismo, cioè la logica dialettica, esige assolutamente), e tutto il modo di affrontare la questione, tutta l’impostazione o, se volete, tutto l’orientamento del problema in un determinato momento, in determinate circostanze concrete. In Bukharin non c’è neppure l’ombra di un simile tentativo! Egli affronta la questione senza il minimo studio concreto, con delle nude astrazioni e prende un pezzetto da Zinoviev, un pezzetto da Trotski. Questo è eclettismo” [18].
Note:
[1] Vladimir I. U. Lenin, Il significato storico della lotta all’interno del partito in Russia [settembre-novembre 1910], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 126.
[2] Ibidem.
[3] Id., Prefazione all’edizione russa del “Carteggio di J. Ph. Becker, J. Dietzgen, F. Engels, K. Marx e altri con F. A. Sorge e altri” [aprile 1907], in op. cit., p. 59.
[4] Ivi, p. 60. Come ricorda Lenin: “Marx seppe mettere in guardia i capi da un’insurrezione prematura. Di fronte al proletariato che dava l’assalto al cielo, si comportò, però, da consigliere pratico, da partecipante alla lotta delle masse che, nonostante le false teorie e gli errori di Blanqui e di Proudhon, elevavano l’intiero movimento a un livello superiore” ivi, p. 61. In effetti, Marx seppe sempre porre “l’iniziativa storica delle masse al disopra di tutto”, tanto che se “sei mesi prima della Comune, aveva messo addirittura in guardia gli operai francesi: l’insurrezione sarebbe una follia”, con la rivoluzione ormai in corso sosterrà che si trattava di un tentativo “di spezzare la macchina burocratico-militare, anziché trasmetterla semplicemente in altre mani. E intona un vero osanna agli «eroici» operai parigini, capeggiati da proudhoniani e da blanquisti” ivi p. 59. Perciò Lenin si domanda “quanto avrebbero schernito” – i sostenitori della Seconda internazionale che condannavano come avventurista la Rivoluzione d’ottobre – il materialista, l’economista, il nemico delle utopie che si inchina dinanzi al «tentativo» di dare l’assalto al cielo!” ivi, p. 60.
[5] Ivi, p. 61.
[6] Ivi, p. 62.
[7] Id., Sulla nostra rivoluzione [gennaio 1923], in op. cit., p. 585.
[8] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 278.
[9] Osserva a tal proposito Lenin: “la nostra dottrina, diceva Engels parlando di se stesso e del suo celebre amico, non è un dogma, ma una guida per l’azione. Questa classica formula sottolinea con forza e concisione meravigliose quell’aspetto del marxismo che a ogni istante viene perso di vista. E perdendolo di vista, noi facciamo del marxismo una cosa unilaterale, deforme e morta; lo svuotiamo del suo vivo contenuto, scalziamo le sue basi teoriche fondamentali: la dialettica, la dottrina dell’evoluzione storica multiforme e piena di contraddizioni; indeboliamo il suo legame con i precisi compiti pratici dell’epoca, che possono cambiare a ogni nuova svolta della storia (…). Non parlo naturalmente degli obiettivi generali e fondamentali, che non mutano con le svolte della storia se non si modificano i rapporti fondamentali tra le classi” id., Alcune particolarità dello sviluppo storico del marxismo [23 dicembre 1910], in op. cit., p. 138.
[10] Ivi, p. 142. Come osserva, a questo proposito, Lenin: “appunto perché il marxismo non è un dogma morto, non è una dottrina compiuta, bell’e pronta, immutabile, ma una guida viva per l’azione, esso doveva necessariamente riflettere il cambiamento eccezionalmente brusco avvenuto nelle condizioni della vita sociale” ibidem.
[11] Id., Sulla nostra…, op. cit., p. 581. Nota, a tal proposito, Lenin, polemizzando con la pedanteria del marxismo riformista, che lo porta a perdere di vista la dialettica rivoluzionaria e la necessaria duttilità: “essi si definiscono tutti marxisti, ma intendono il marxismo con incredibile pedanteria. Essi non hanno affatto compreso ciò che vi è di decisivo nel marxismo, e cioè la sua dialettica rivoluzionaria. Nemmeno la precisa affermazione di Marx, secondo cui nei momenti rivoluzionari occorre la massima duttilità, essi non l’hanno assolutamente compresa” ibidem.
[12] Id., L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in op. cit. p. 450.
[13] Id., Alcune particolarità…, op. cit., p. 538.
[14] Id., Ancora sui sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski e di Bukharin [25 gennaio 1921], in op. cit., p. 514. Di contro ai pericoli di una lettura dogmatica del marxismo, che prescinde dalle situazioni specifiche, Lenin è sempre attento all’analisi determinata della situazione determinata. Così, ad esempio, a proposito dei caratteri essenziali del movimento operaio anglo-americano, Lenin osserva: “questi caratteri sono: l’assenza di qualsiasi obiettivo democratico importante e nazionale per il proletariato; la totale subordinazione della classe operaia alla politica borghese; il distacco settario dei piccoli gruppi e circoli socialisti dal proletariato; neanche un minimo successo elettorale dei socialisti davanti alle masse. (…) Se Engels insiste sull’importanza di un partito operaio autonomo, anche se con un cattivo programma, lo fa perché si tratta di paesi dove non esisteva in precedenza traccia alcuna di indipendenza politica degli operai, dove gli operai si trascinavano e si trascinano, sul piano politico, a rimorchio soprattutto della borghesia” Id., Prefazione all’edizione russa…, op. cit., pp. 66-7.
[15] Id., Sulla nostra…, op. cit., p. 583.
[16] Id., L’estremismo…, op. cit., p. 458.
[17] Id., Alcune particolarità…, op. cit., p. 138.
[18] Id., Ancora sui sindacati…, op. cit., p. 515.