La distruzione della ragione

Il 4 settembre riprendono i corsi dell’Università popolare A. Gramsci con il primo incontro di un ciclo filosofico, a cura di Renato Caputo, dedicato alla critica, in una prospettiva marxista, delle principali correnti conservatrici e reazionarie dall’inizio del XIX secolo ai nostri giorni


La distruzione della ragione Credits: https://www.unigramsci.it/corsi-e-seminari/la-distruzione-della-ragione/prima-lezione/

Come ricordava Lenin non esistono, come l’attuale ideologia postmoderna vorrebbe farci credere, tanto differenti visioni del mondo. Al contrario, esse si riducono, quando non ci si ferma alle parvenze empiriche, a fondamentalmente due: l’ideologia dominante, volta a preservare i privilegi della classe di sfruttatori al potere e la concezione scientifica del mondo, di cui avrebbe bisogno la massa di sfruttati per uscire dalla condizione tradizionale di oppressione. A questo scopo, di contro allo spontaneismo piccolo borghese, che non fa che declinare in salse diverse il vecchio mito del buon selvaggio, i subalterni sono tali proprio perché egemonizzati dal pensiero unico dominante. Da qui il ruolo essenziale non dell’intellettuale tradizionale, più o meno consapevolmente al servizio della classe dominante, ma di un intellettuale collettivo organizzato in un partito di quadri rivoluzionario in grado di divenire comunista, ovvero avanguardia del proletariato, in quanto riesce a divenire egemone fra gli oppressi e sfruttati mediando una visione del mondo antagonista a quella delle classi dominanti.

D’altra parte, come già sapevano i giovani Marx ed Engels, l’ideologia dominante è sempre l’ideologia della classe dominante. Per cui sino a quando i rivoluzionari non conquisteranno il potere, la loro capacità di egemonia sugli sfruttati è sempre a rischio. Inoltre, i subalterni, oppressi e sfruttati, difficilmente hanno la possibilità di formarsi una visione del mondo autonoma e per questo finiscono generalmente per dipendere da intellettuali del blocco sociale dominante che tradiscono la loro classe di provenienza, magari perché sono in via di proletarizzazione o semplicemente per comprendono dal punto di vista della filosofia della storia quale sia l’unica alternativa alla crisi di civiltà a cui il capitalismo ci sta conducendo. D’altra parte tali intellettuali non sono sempre affidabili, sia perché nei momenti decisivi del conflitto di classe tendono a ripiegare nelle classi di provenienza, sia perché generalmente mantengono del loro modo di pensare elementi dell’ideologia dominante. Perciò è essenziale che i subalterni siano in grado, per uscire da questa condizione di oppressione, di elaborare intellettuali a loro organici.

Alla formazione di questi ultimi è decisiva, in primo luogo, una critica dell’ideologia dominante, per poter elaborare una visione del mondo antagonista. Non a caso Marx ha inserito come sottotitolo, volto a chiarire la funzione della sua opera fondamentale, Critica dell’economia politica. Tale opera resta decisiva per contrastare l’ideologia dominante al decisivo livello delle strutture economiche e sociali. D’altra parte, come sottolinea Gramsci, gli individui sviluppano la propria coscienza socio-politica a livello delle sovrastrutture e la battaglia che si combatte nel loro campo per l’egemonia sulla società civile è decisiva per le sorti della Rivoluzione in occidente. Quindi, come contributo alla lotta di classe sul piano delle sovrastrutture, abbiamo pensato di iniziare quest’anno accademico dell’Università popolare Antonio Gramsci con un corso di taglio filosofico-politico dedicato alla critica dell’ideologia dominante (conservatrice e/o reazionaria) dalla prima metà del diciannovesimo secolo ai nostri giorni.

Questa controstoria del pensiero filosofico e politico dominante, in quanto assunto come proprio dalla classe al potere, prende spunto dall’importantissimo studio pionieristico in questo campo di György Lukács: La distruzione della ragione. Per sottolineare il nostro debito con questo grande classico del marxismo filosofico abbiamo utilizzato anche noi questo titolo per il nostro corso.

Muovendo da Lukács, sulla base di una analisi della storia del pensiero filosofico e politico dal punto di vista del materialismo storico e dialettico, cercheremo di mostrare come gli intellettuali borghesi, che dall’autunno del medioevo alla conquista del potere da parte della borghesia – con la rivoluzione industriale e la lunga rivoluzione francese 1789-1871 – avevano svolto una decisiva lotta progressista e rivoluzionaria dal punto di vista delle sovrastrutture contro aristocrazia, alto clero e, infine, assolutismo monarchico, una volta che la borghesia diviene stabilmente classe dominante, tendono a sviluppare posizioni sempre più conservatrici. Tale tendenza è accelerata e radicalizzata dal fatto che la borghesia per sconfiggere il vecchio blocco sociale costituito intorno alla monarchia assoluta da aristocrazia e altro clero ha dovuto costituire, nel corso dei secoli della sua lotta per il potere, un blocco sociale antagonista di cui dovevano far parte, in funzione subordinata le masse popolari, come indispensabile base di manovra per fronteggiare il monopolio della violenza legale da parte della classe dominante.

A questo scopo gli intellettuali borghesi, non essendoci ancora intellettuali organici alle classi popolari, nella loro lotta contro il potere e l’ideologia dominante avevano dovuto sviluppare un pensiero politico-filosofico in grado di mobilitare anche le masse popolari. Queste ultime, essendo per la prima volta dotate di strumenti intellettuali e partecipando per la prima volta da protagoniste ai grandi conflitti rivoluzionari, sebbene egemonizzate ancora dalla borghesia, non accettano poi di tornare a essere la plebe sempre all’opra china senza ideali in cui sperar. Non potendo più contare come prima sugli intellettuali borghesi, che li avevano anche spinte a insorgere, tenendole al contempo sempre sotto l’egemonia borghese, le masse popolari hanno cominciato a elaborare intellettuali a esse organici, di pari passo al progressivo sviluppo del moderno proletariato urbano.

In tal modo, le masse popolari hanno iniziato a sviluppare progressivamente un’autonoma visione del mondo e di conseguenza hanno iniziato a svolgere un’azione autonoma sul piano storico-politico. Ciò non poteva che allarmare sempre più la grande borghesia al potere, anche perché alcuni intellettuali della piccola borghesia, tenuta a un livello molto subordinato nel blocco sociale dominante, cominciavano a dare manforte al proletariato. Si trattava perciò di sviluppare, da parte dei nuovi intellettuali borghesi, ormai parte integrante della nuova classe dominante, una nuova visione del mondo, a partire proprio dalla critica degli aspetti rivoluzionari della loro precedente visione del mondo. Immediatamente dopo si sviluppa fra la borghesia intellettuale al potere una filosofia politica sempre più indirizzata in modo diretto o indiretto a contrastare la costituente visione del mondo proletaria, che potrà considerarsi definita grazie all’opera di Marx ed Engels. Perciò la successiva visione del mondo borghese si orienterà sempre di più, in modo diretto o indiretto, a contrastare il marxismo.

In seguito al progressivo sviluppo in senso imperialistico delle società borghesi, in corrispondenza alle prime grandi crisi di sovrapproduzione, che lasciavano emergere in modo sempre più evidente le contraddizioni di fondo strutturali e insuperabili all’interno del modo di produzione capitalistico, gli intellettuali borghesi hanno sviluppato un’ideologia non più conservatrice, ma reazionaria, non più soltanto volta a contrastare il marxismo, ma in grado di contrattaccare. Da una parte portando alle estreme conseguenze il progressivo attacco all’universalismo della ragione, in corrispondenza alle esigenze di difendere dei privilegi sempre più enormi e ristretti nelle mani di pochi grandi monopolisti e, dunque, sempre più irrazionali, ingiusti, antieconomici e antisociali.

Mentre nell’epoca precedente era la borghesia, dal momento che il suo modello di società era più universale e progressivo di quello sempre più in crisi e decadente dell’ancien régime, a sviluppare una visione del mondo razionale o, quantomeno, razionalistica, nella fase attuale anche questa bandiera abbandonata dalla precedente classe universale è stata raccolta e fatta propria dal proletariato per l’elaborazione della propria visione del mondo.

Inoltre la crisi, restringendo i margini politici, costringe la classe dominante a un governo sempre più apertamente dittatoriale e totalitario, generalmente sul modello del cesarismo, poi bonapartismo regressivo. In tale fase anche l’ideologia e di conseguenza la visione politica e filosofica borghese dominante tende a divenire totalitaria.

Tale tendenza, che subisce una decisa battuta d’arresto dopo la sconfitta, a opera in primo luogo dei comunisti, della reazione nazi-fascista, intenzionata a rilanciare su scale internazionale un regime sostanzialmente schiavistico, la reazione borghese contro la diffusione a livello internazionale dell’ideologia proletaria si riorganizza ben presto in funzione della guerra fredda. I principali intellettuali borghesi al servizio della classe dominante, di cui si sentono o aspirano a fare parte, come Popper, Von Hayek e H. Arendt partono al contrattacco tendendo a identificare nella pseudocategoria di totalitarismo il nazismo e il comunismo, aprendo così la strada al revisionismo storico che tende a giustificare il primo come reazione necessaria all’aggressività del secondo. In tal modo, queste tendenze anti-emancipatorie mirano a far sì che la democrazia – quale visione del mondo della piccola-borghesia, che aveva accettato di fare fronte comune con il proletariato dinanzi all’aperta reazione nazi-fascista – divenisse una componente subordinata del blocco sociale dominante egemonizzato dal liberalismo. Così, se per un certo tempo la forza e l’avanzamento delle forze progressiste e rivoluzionarie – anche per il grande movimento antimperialista guidato dai paesi socialisti e paesi ex-coloniali – aveva fatto sì che il socialismo riuscisse a egemonizzare la democrazia e, quest’ultima, in quanto socialdemocrazia a influenzare il liberalismo fino a mutarlo nella liberal-democrazia, con la sostanziale conclusione di questo grande movimento di emancipazione nel corso degli anni settanta, sono le forze che si battono per la dis-emancipazione del genere umano a riprendere progressivamente l’egemonia sulla società civile.

In tal modo le forze democratiche riprendono l’egemonia sulle forze socialiste e la maggioranza dei partiti comunisti tendono a divenire socialdemocrazie. Queste ultime, a loro volta, sono sempre più egemonizzate dal pensiero liberale, tanto che finiscono spesso per fare il lavoro sporco per quest’ultimo, garantendogli con politiche neo-corporative la pace sociale. Infine, lo stesso liberalismo tende sempre di più a tornare, con il neoliberismo, alle origini rompendo ogni precedente compromesso prima con la socialdemocrazia e, po,i con la stessa democrazia. Infine, negli anni più recenti, sempre più spesso le forze liberali subiscono l’egemonia delle forze reazionarie, che si sono nel frattempo riorganizzate anche dal punto di vista ideologico.

In tal modo, riconquistando crescenti spazi all’interno dell’ideologia dominante, le concezioni reazionarie tendono a divenire egemoni fra quelli intellettuali e, di conseguenza, fra quelle forze politiche e sociali nei confronti delle quali il marxismo ha progressivamente perso la sua capacità di egemonia. Così, negli ultimi decenni, sempre più intellettuali di “sinistra” hanno abbandonato il marxismo e si sono progressivamente avvicinati agli intellettuali reazionari di maggior spessore. In tal modo, la visione del mondo del nemico di classe ha finito a poco a poco per conquistarsi spazi crescenti di egemonia nello stesso “popolo di sinistra”. Per questo ci pare decisivo ripartire facendo piazza pulita nel nostro stesso campo delle ideologie reazionarie che vi si sono infiltrate. Da questo punto di vista ci gioveremo del grande lavoro svolto in questo senso da Domenico Losurdo, a cui il nostro corso non a caso è dedicato.

31/08/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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