La Prima guerra mondiale

La spartizione del mondo fra potenze imperialiste e la crisi di sovrapproduzione portano alla Grande guerra.


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Segue da Le cause della prima guerra mondiale / Link al video della lezione corrispondente

Il riesplodere nel 1907 della prima grande crisi transnazionale di sovrapproduzione spinge gli imprenditori a fare pressioni sempre più intense sui politici affinché: conquistino nuovi mercati e nuovi territori in cui poter investire i propri capitali e da cui ricavare manodopera e materie prime a prezzi molto bassi. D’altra parte, però, i territori africani, asiatici e oceanici sono già in massima parte stati spartiti fra le prime grandi potenze coloniali, in particolare Inghilterra e Francia, lasciando pochissimo spazio a chi, come la Germania, si è sviluppata in ritardo in senso imperialista.

Inoltre il grande capitale finanziario sempre più accentrato e sempre più in grado di incidere sulle politiche di governo ottiene, grazie alle forti pressioni in tutti i paesi a capitalismo avanzato, un forte aumento degli investimenti pubblici negli armamenti e nell’amplissimo indotto – settori generalmente protetti dalla concorrenza internazionale che garantiscono prezzi di monopolio – in cui gli impresari producono sulla base di commesse statali, trovando così una preziosa alternativa agli investimenti sempre più a rischio a causa della saturazione dei mercati. Sotto la spinta in particolare dei settori industriali siderurgici, meccanici e tessili si innesca una vera e propria corsa agli armamenti, considerato che ogni potenza non intende rimanere indietro alle rivali nella spartizione del mondo in aree d’influenza economica.

Dal punto di vista sociale la guerra consente di ridurre al minimo il salario, colpendone la sua componente indiretta – il cosiddetto Stato sociale – visto che la maggior parte delle risorse pubbliche sono progressivamente impegnate nell’ormai mastodontico complesso militare-industriale. Ciò comporta necessariamente un aumento della tassazione diretta e indiretta che colpisce in misura maggiore i ceti medio-bassi che percepiscono redditi tassati alla fonte e non possono quindi eludere il fisco. Inoltre un riarmo di tali proporzioni non può che preludere a una guerra di analoghe abnormi proporzioni, considerato che anche le merci prodotte per l’apparato militare-industriale debbono essere consumate, per non essere sovraprodotte.

Tanto più che la guerra all’esterno e la conseguente militarizzazione all’interno, la diffusione di concezioni scioviniste e improntare alla volontà di potenza sul piano sovrastrutturale, si rivelano un efficacissimo strumento per bloccare lo sviluppo dei conflitti sociali e delle rivendicazioni di classe – che parevano inarrestabili – portate avanti dalle organizzazioni sindacali e dai partiti socialisti, in costante espansione nei principali paesi a capitalismo avanzato. Il clima militarista che prelude allo scoppio della guerra favorisce inevitabilmente le derive bonapartiste, caratterizzate dal prevalere di un governo sempre più autoritario, che tende a riunire sotto il proprio controllo oltre al potere esecutivo anche il potere legislativo, visto che lo spazio per la discussione in parlamento è sempre più contingentato. Con l’inizio della guerra, lo stesso potere giudiziario finisce con l’essere sottoposto al dispotismo militaresco che impone, con il sempre più frequente ricorso alla legge marziale, uno stato di eccezione che diviene progressivamente permanente. Con la militarizzazione della società e in primo luogo della classe operaia, anch’essa sempre più soggetta al regime militare, si affermano – in primo luogo in Germania, ma poi in praticamente tutti gli stati belligeranti – i moderni Stati totalitari.

Inoltre il nazionalismo è funzionale all’imposizione di governi di unità nazionale, volti a comprimere ogni risposta dal basso alla lotta di classe condotta unilateralmente dall’alto che la militarizzazione e la conseguente gerarchizzazione della società tendono a naturalizzare. Infine, l’entrata in guerra restituisce alle classi dominanti, i cui esponenti svolgono la funzione di ufficiali, il pieno controllo sulla loro manodopera ridotta a truppa irreggimentata. Gli ordini imposti dalla classista gerarchia militare debbono essere immediatamente eseguiti, altrimenti si rischia di essere rinviati a giudizio davanti ai tribunali militari.

Dal punto di vista ideologico-culturale si afferma progressivamente in tutti i paesi belligeranti, a partire dal pangermanismo tedesco, un movimento culturale sciovinista che esalta la guerra e soffia sul fuoco dei conflitti latenti. I movimenti sciovinisti sono, inoltre, favoriti dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, a partire dalla radio, generalmente controllati da Stati o da grandi imprese private favorevoli alla diffusione di un’ideologia che renda appetibile la guerra alle masse.

Si passa così dai movimenti e dalle lotte di liberazione nazionale, che si battevano per affermare il diritto dei popoli all’autodeterminazione – generalmente portati avanti in primis da forze rivoluzionarie – allo sciovinismo imperialista fondato sulla volontà di potenza. Sono gli anni in cui si afferma il pensiero di Nietzsche, sino ad allora praticamente sconosciuto, che contrappone la morale dei signori a quella degli schiavi, l’aristocrazia della forza dei ben nati alla democrazia e all’eguaglianza considerati frutto del ressentiment dei malnati. In questo stesso periodo si affermano anche a livello dell’accademia delle scienze il darwinismo sociale spenceriano, il razzismo già affermatosi con il positivismo nell’età dell’imperialismo e il mito della guerra purificatrice. Lo sciovinismo, in particolare, porta a spezzare i legami internazionalisti fra le organizzazioni dei lavoratori e dei partiti proletari che si erano faticosamente venute costruendo e rafforzando nei decenni precedenti.

Tanto più che quasi tutti gli intellettuali borghesi, democratici compresi, finiscono per schierarsi a favore della guerra. Solo i socialisti, in un primo momento, vi si oppongono. Tuttavia l’ideologia della guerra è così pervasiva da egemonizzare anche una parte del movimento internazionalista, mandando in frantumi la Seconda Internazionale in cui, sino al 1912, dominavano le parole d’ordine del pacifismo e dell’internazionalismo. In particolare, nel partito guida dell’Internazionale, la SPD tedesca, si affermano le posizioni dei revisionisti, già favorevoli al colonialismo e ora disponibili a votare i crediti di guerra, in nome di una crociata per affermare la civiltà mitteleuropea contro la barbarie e il dispotismo asiatico dei russi.

Tale repentina svolta su posizioni interventiste della maggioranza della SPD e della quasi totalità dei suoi parlamentari condiziona sensibilmente il dibattito negli altri partiti socialisti, in particolare in Francia dove, in seguito al barbaro assassinio del dirigente socialista Jean Jaures, che aveva fino a quel momento guidato il fronte pacifista, si afferma una corrente favorevole a votare anch’essa i crediti necessari a una guerra difensiva dinanzi all’aggressione degli Imperi centrali. Fra i partiti socialisti che non sono travolti dall’ideologia della guerra spicca il Partito Socialista italiano (PSI) che – con l’eccezione di Benito Mussolini prontamente espulso perché repentinamente trasformatosi dal più estremo oppositore alla guerra al più acceso interventista – è rimasto schierato su una posizione pacifista e il partito bolscevico russo fautore del rovesciamento della guerra imperialista fra i popoli nella guerra sociale rivoluzionaria dei proletaridi tutto il mondo contro i loro comuni oppressori.

Dal punto di vista geo-politico, l’esigenza della borghesia di costruire un mercato unico, quantomeno su basi nazionali, rendeva più urgente la soluzione delle questioni nazionali ancora aperte in Europa. D’altra parte gli imperi multinazionali asburgico, zarista e ottomano sono sempre più in crisi, al punto che quest’ultimo, nei soli anni tra il 1908 e il 1914, perde un terzo dei suoi territori. Nei Balcani vi è una situazione esplosiva dovuta da una parte alle mire espansioniste degli imperi asburgico e russo, dall’altra dalle lotte dei movimenti indipendentisti sviluppatisi fra sloveni, croati, cechi, bosniaci e ungheresi che minano l’esistenza stessa dell’Impero austro-ungarico.

Nel sud di tale impero cresce la capacità di attrazione sui popoli slavi, ancora sottoposti al giogo imperiale, della Serbia che, nel 1912, aveva condotto una guerra contro lo storico nemico turco, infliggendogli una memorabile sconfitta tanto da scacciarlo, dopo secoli, dall’Europa. L’anno successivo, tuttavia, la Serbia è aggredita e sconfitta dalla Bulgaria, istigata alla guerra dagli Asburgo. Nei successivi accordi di pace, con la complicità dell’Impero germanico, la diplomazia asburgica favorisce la costituzione dello Stato di Albania, precludendo così alla Serbia l’importantissimo sbocco sul Mar mediterraneo.

Nel frattempo l’Impero germanico, costretto a scegliere se mantenere l’alleanza con l’Austria o la Russia, opta per la prima e ciò spinge i russi ad accordarsi con i francesi – da cui provenivano gli investimenti necessari per lo sviluppo del capitalismo in Russia, e poi con gli inglesi, quando si trova a un accordo per la spartizione dei territori contesi in Asia.

Si creano così due sistemi di alleanze contrapposti, da una parte la Triplice alleanza, che lega Germania, Austria e Italia, dall’altra la Triplice intesa che unisce Inghilterra, Russia e Francia. Considerato che ogni paese è tenuto a entrare in guerra nel momento in cui un alleato venga attaccato, vedremo come si genererà una tragica catena che finirà con il trascinare in una sanguinosissima guerra tutte le grandi potenze e con esse le loro colonie e aree di influenza, finendo per coinvolgere nel conflitto il mondo intero.

12/05/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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