Il giovane Hegel e la tragedia del suo mondo storico

Nella cultura del nostro popolo non vive un Armodio, accompagnato da eterna gloria per aver abbattuto i tiranni e per aver dato uguali leggi e diritti ai concittadini. Quali sono le sue conoscenze storiche? (…) La memoria e la fantasia sono riempite dalla preistoria dell’umanità, della storia di un popolo straniero, dei fatti e dei misfatti dei suoi re che non c’interessano affatto.


Il giovane Hegel e la tragedia del suo mondo storico

A parere del giovane Hegel, il genio dello spirito naturale del popolo, in cui la politeia non opprime la natura [1] che ha abitato l’antica Ellade, appartiene ad un passato ideale; esso non può vivere, sentirsi a casa in un mondo come quello esperino, dominato da intelletto calcolatore e dal dualismo, dalla dissociazione. “Noi conosciamo questo genio – osserva Hegel – solo per sentito dire; solo pochi tratti di esso, in copie postume della sua figura, è a noi concesso di considerare con amore e ammirazione; ed essi risvegliano una dolorosa nostalgia dell’originale. Egli è il bel giovane che noi amiamo anche nella sua frivolezza con l’intero corteggio delle grazie; e con esse il balsamico respiro della natura, l’anima che ne traspira, e che egli ha succhiato da ogni fiore; ma è fuggito dalla terra” [2]. Eppure non si tratta di una soluzione consolatoria attraverso la fuga in un idilliaco passato [3]; piuttosto questo modello è necessario alla serrata critica del mondo moderno, serve a mostrare come la sua tragedia non sia altro che il prodotto del suo destino. Un altro mondo appariva possibile, un mondo conciliato, che la Grecia sembrava fornire come modello a molti intellettuali del tempo [4]. 

È, dunque, decisivo considerare tutti i riferimenti al mondo greco non tanto come una fuga dalla storia, una debole nostalgia romantica che, di fronte alla tragedia della sua epoca, si illude di potersi sottrarre alla tragedia della propria epoca rifugiandosi in un mitico passato pre-coscenziale, piuttosto si tratta della virile opposizione ai drammi della modernità attraverso un ideale di conciliazione [5]. Detto altrimenti, lo stesso costituirsi dell’ideale ellenico ha il suo imprescindibile fondamento proprio nella critica dell’esistente, della modernità cristiana e delle sue profonde lacerazioni. Il mondo greco, su cui si era basata più che sul moderno la formazione di Hegel, gli fornisce esempi di una società radicalmente diversa dalla cristiana, la sua distanza storica permette di farne un modello straniante, nella tradizione della Persia di Montesquieu, che permette di mettere in discussione l’adesione incondizionata ai valori del mondo esistente. L’apparente naturalità delle credenze, degli usi e costumi della modernità sono denunciati nella loro positività, grazie agli esempi di una società lontana nel tempo e nello spazio e dotata di istituzioni e rappresentazioni religiose maggiormente conformi alla ragione. Ecco, così, che il modello greco è funzionale allo smascheramento della lacerazione che si produce nel mondo moderno tra le rappresentazioni religiose tradizionali, istituzionalizzate in sistemi teologici sempre più astratti, e la vita reale degli uomini. Scrive Hegel: “non appena si verifica una scissura tra vita e dottrina, oppure soltanto una separazione o un ampio allontanamento reciproco, sorge il sospetto che la forma della religione difetti in qualcosa, sia che faccia troppe ciance, sia che faccia agli uomini richieste esorbitanti di falsa devozione, agli impulsi di una sensibilità bene ordinata, tes sofrosunes” [6]. Ritorna qui, nella radicale denuncia del nesso tra credenze religiose e istituzioni dispotiche, l’influenza di un certo illuminismo, scettico e materialista, già timidamente manifestatosi nel periodo di Stoccarda, cui Hegel non intende affatto rinunciare pur nella sua sostanziale adesione alla filosofia critica. Tale influenza si fa sentire tanto nella critica graffiante e a tratti ingenerosa del cristianesimo, quanto nella profonda attenzione alle questioni storico-fenomeniche.

L’interesse di Hegel per la religione greca è, quindi, in massima parte dovuto alla necessità di restituire un collante ideologico-spirituale a un popolo come quello tedesco, frammentato politicamente e confessionalmente in una miriade di entità distinte, spesso in lotta tra loro. A questo scopo il cristianesimo appare insufficiente, perché irrimediabilmente estraneo allo spirito del popolo tedesco: “nella bocca del nostro popolo, nei suoi canti, non vivono un Armodio o un Aristogitone, accompagnati da eterna gloria per aver abbattuto i tiranni e per aver dato uguali leggi e diritti ai loro concittadini. Quali sono le conoscenze storiche del nostro popolo? Manca a lui una sua propria tradizione patria: la memoria e la fantasia sono riempite dalla preistoria dell’umanità, della storia di un popolo straniero, dei fatti e dei misfatti dei suoi re che non c’interessano affatto” [7].

In quest’ottica Hegel verrà opponendo al sublime e all’orrido, che contraddistinguono l’arte cristiana-moderna, il bello, caratteristico dell’arte greca, nel tentativo di recuperare uno stretto legame tra arte e religione, che segna l’importanza dell’estetica per il progetto di una religione popolare [Volksreligion]. Osserva a questo proposito Hegel: “la religione cristiana garantisce alla fantasia un ampio spazio, su cui il nostro più grande poeta epico cristiano ha creato quadri più maestosi, scene più spaventose e tratti più commoventi di quelli che prima d’ora si fossero mai presentati all’anima di un poeta; ma essi non sono mai discesi al popolo comune, né lo potevano, non sono pubblicamente riconosciuti, non sono sanzionati da niente; inoltre una ragione che possa comprendere l’idea di questo poema ed un cuore che per fine e profonda sensibilità abbia ricettività per esso vengono disgustati dalle molte cose che risultano invece comprensibili e credibili ad uomini rozzi, mentre vengono da questi ultimi trascurate le più alte bellezze che sono tali solo per una ragione e un cuore formati. 

L’immagine del popolo non ha nessuna guida, nessuna bella presentazione di immagini, postegli dinanzi dalla pittura o dalla scultura o dalla poesia, da poter seguire o da potervisi legare; tali immagini si sarebbero ritenute perfino sconvenienti ad una religione che insegna ad adorare Dio in spirito e verità e che per la sua antica origine ha dichiarato guerra ad ogni rappresentazione dell’essenza divina” [8]. In questo lungo brano emerge un tema destinato ad avere ampi sviluppi nell’opera hegeliana: il carattere di passatezza dell’opera d’arte nell’epoca moderna, in cui la forma sensibile è avvertita come esteriore rispetto alla forma in cui la religione cristiana si rappresenta la verità. Qui, tuttavia, Hegel non coglie tanto, come farà in seguito, l’importanza di questo superamento della religione nei confronti della sua immediata identificazione con l’arte nel mondo antico, ma si limita a mettere in luce un elemento valido alla sua critica di stampo illuminista del cristianesimo, legata alla polemica con l’ascetismo. Da ciò deriva la preferenza per il mondo greco, nella prospettiva di una religione popolare superiore al cristianesimo, ferma restando la preminenza per la religione razionale del periodo dei lumi, di cui ora ritrova le tracce anche in Grecia.

Inoltre Hegel, in netto contrasto con il tentativo compiuto dal protoromanticismo di questi anni di rivalutare lo stile gotico, contrappone la serenità dello spirito greco al gusto gotico-cristiano per l’orrido: “già nel modo di costruire si mostra il genio diverso dei greci e dei tedeschi: quelli abitavano liberi, in strade ampie: nelle loro case c’erano cortili aperti, scoperti; nelle loro città erano frequenti le grandi piazze; i loro templi erano costruiti in uno stile bello e nobile, semplice come lo spirito dei greci, sublime come il dio cui erano dedicati. Le immagini degli dèi erano il supremo ideale della bellezza. La forma umana più bella, quale può resultare nell’aurora della resurrezione, tutto era presentato nella più alta forza del suo esserci e della sua vita; nessuna immagine della putrefazione; l’orrenda larva della morte era per i greci un genio mite, il fratello del sonno” [9]. Così prosegue la riflessione hegeliana: “quel che nel culto cristiano è bello è derivato dai greci e dai romani, l’incenso odoroso e le belle madonne; ma le chiese sono masse gotiche; le più grandi opere d’arte sono usualmente sepolte in un angolo e in generale con puerili e meschini ornamenti, come il fanciullo, la cui anima non è ancora pervenuta alla giovinezza e alla maturità del gusto, non può comprendere ancora un qualche cosa di grande o di elevato” [10]. Qui ciò che colpisce è la netta preferenza accordata all’interpretazione winckelmanniana rispetto a quella sturmeriana. “La gioia dei greci era più aperta, più gaia, più temperata, più spensierata: i tedeschi non hanno mai bevuto un bicchiere socraticamente, senza pensieri, bensì solo bicchieri presso i quali o si strepitava al modo delle baccanti o, il che era più sobrio, ci si angustiava. Il modo di costruire gotico: orrido, sublime” [11].

Note:

[1] Hegel si riferisce qui, oltre al Simposio, all’ultimo capitolo Del Sublime dello Pseudo-Longino.

[2] Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner 1968, vol. I, p. 112, Id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 198.

[3] Il richiamo al modello classico, che accomuna i più diversi intellettuali dell’epoca, può assumere significati estremamente diversi, per non dire opposti. Può infatti rappresentare, in una linea ideale che lega l’umanesimo con la Rivoluzione Francese, un modello per così dire “straniante” da contrapporre alla cultura e alle istituzioni politiche esistenti, capace di relativizzarne, di storicizzarne la presunta assolutezza, fondata sulla rivelazione o sulla tradizione, ma può anche assumere il significato di una fuga di fronte alla “tragedia” della modernità in un mondo presuntivamente pacificato e privo di contraddizioni, una sorta di “stato di natura”, pensato sul modello del paradiso terrestre, più originario di quella Ur-teilung su cui si fonda tanto la capacità di giudizio, quanto l’autonomia della ragione.

[4] A questo proposito ha osservato Cantillo: “tuttavia proprio per il legarsi della rivoluzione etica e religiosa kantiana con la rivoluzione francese Hegel avverte il bisogno di un suo inverarsi all’interno di una comunità etica. Da qui nasce la nostalgia e il mito della Grecia che fornisce il modello a cui inspirarsi nel progetto di una nuova religione popolare in grado di fungere da collante ad un nuovo stato etico in grado di colmare la scissione prodottasi nel mondo moderno tra universale e individuo, tra ragione e sensibilità” Cantillo, Giuseppe, Le forme dell’umano. Studi su Hegel, Guida, Napoli 1996, p. 258. Utile anche quanto scrive su questa problematica Janicaud: “non bisogna dunque rappresentarsi l’ellenismo che regna a Tubinga né come una mania da eruditi, né come una moda intellettuale. Allo stesso titolo che presso i rivoluzionari francesi, è una profonda aspirazione a fondare l’avvenire su ciò che di migliore si ritrova nell’antichità.” Janicaud, Dominique, Hegel et le destin de la Grèce, Paris, Vrin 1975, p. 35.

[5] Come ha ben visto Janicaud: “per il giovane Hegel, l’ideale greco non ha nulla della ricerca erudita, al riparo delle attuali preoccupazioni; non si separa da uno slancio rivoluzionario che comporta il rigetto dell’ordine politico tradizionale e del dogmatismo teologico. (…) Se abbiamo il diritto di definirlo un mito, significa allora che dobbiamo riconoscervi un mito costitutivo della modernità stessa, attraverso cui questa sperimenta, e compensa in parte, le sue manchevolezze e le sue devianze. (…) Non è sorprendente, in queste condizioni, che la relazione alla Grecia si manifesti, nel modo più immediato, nella forma di una nostalgia per la vera patria, che tuttavia non può essere raggiunta, una patria abitabile solo per mezzo del pensiero, per mezzo dell’immaginazione, come sostiene Schiller alla fine del poema Gli dei della Grecia, poema che ha così tanto inspirato Hegel e Hölderlin.” Janicaud, D., Hegel et …, op, cit., p. 24.

[6] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, pp. 109-10; Scritti…, cit., p. 196. Si affaccia qui un elemento destinato a svolgere un ruolo decisivo nel superamento hegeliano della concezione morale di Kant, ovvero il concetto greco di fronesis, che Hegel doveva aver incontrato già nella lettura giovanile dell’Etica Nicomachea di Aristotele.

[7] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 80; Scritti…, cit., p. 165.

[8] Ivi, p. 79; p. 164.

[9] Ivi, p. 80; p. 165.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, pp. 81-2; p. 168.

21/04/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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