Alcune riflessioni sull’imperialismo dei nostri giorni

In questo articolo gli autori completano le risposte alle domande, fatte da Renato Caputo, in due videointerviste, disponibili nel canale youtube de La Città Futura. In particolare, sotto la forma di risposta alle domande dell’intervistatore, chiariscono, in modo più completo, la loro concezione di imperialismo.


Alcune riflessioni sull’imperialismo dei nostri giorni

Per chiarezza, le domande poste dall’intervistatore, Renato Caputo, non rappresentano la posizione del compagno ne de “La Città Futura” sull’imperialismo e i paesi imperialisti. Sono state fatte agli autori dell’articolo, in quanto emerse come posizioni di intervistati nel corso di altre videointerviste. Scopo dell’intervista era suscitare il dibattito sull’imperialismo tra le diverse posizioni della sinistra di classe. Con tal fine riteniamo utili i chiarimenti degli autori dell’articolo.

La Redazione

Premessa.

Questo articolo nasce come risposta a varie interviste sul tema dell’imperialismo effettuate dal compagno Renato Caputo in questi ultimi mesi. Tra vari compagni ed intellettuali Caputo ha intervistato anche noi, autori del presente articolo. Dopo una prima videointervista – tecnicamente un po’ difettosa (ma che comunque consigliamo ai lettori di vedere) – se ne fece una seconda tecnicamente migliore. In essa, dopo che esponemmo la nostra visione di vari punti teorici importanti sul tema dell’imperialismo, l’intervistatore ci pose alcune obiezioni rispetto alla nostra visione, che erano emerse durante tutte le altre interviste sul tema. Noi rispondemmo – giocoforza in modo sintetico – nella videointervista stessa ad alcune di queste obiezioni, riservandoci di rispondere in modo più puntuale in forma scritta, e lo facciamo qui.

Abbiamo scelto di conservare nell’articolo la forma “domanda (D) – risposta (R)” riprendendo le domande così come ci sono state poste dall’intervistatore, con le stesse precise parole. Questo forse ostacola la fluidità di lettura ma probabilmente ha il pregio di concentrare meglio l’attenzione sui punti in questione. Ovviamente consigliamo ai lettori di guardare almeno la nostra seconda videointervista per comprendere meglio la nostra visione e quindi l’articolo stesso. Indichiamo inoltre qui con precisione i tempi – nella videointervista – delle varie domande posteci, in modo che chiunque possa andare a controllare.   

D  (minuto 52 dell’intervista).

Rispetto al presunto imperialismo cinese si fa notare (da vari intervistati) che i paesi vicini alla Cina, anche quelli presuntamente comunisti, temono molto l’intrusione dell’imperialismo sub-regionale cinese, tanto che persino il Vietnam preferisce fare accordi con gli USA nonostante la feroce guerra subita a suo tempo dagli USA; perché teme di più l’espansionismo cinese. Anche le Filippine avevano provato a sganciarsi dagli USA, ma poi, avendo più vicino la Cina, ora si sono riavvicinati agli USA perché sembrano temere di più la Cina.

R.

primo: chiariamo che noi non riteniamo oggi comunista nessun paese al mondo; il modo di produzione è sempre quello capitalista in tutti i paesi del mondo, anche se in varie forme; forme che dipendono dalla loro particolare storia passata; in ogni nazione c’è sempre lo sfruttamento operaio in fabbrica (o in aziende agricole o minerarie) anche quando tali fabbriche (o aziende agricole o minerarie) sono di proprietà statale; c’è quindi sempre una appropriazione di plusvalore, spesso anche notevole. Inoltre, anche in passato, in tutte le nazioni sedicenti socialiste è comunque stata sempre presente la produzione privata, ed oggi anche i relativi miliardari privati. Detto questo, è poi naturale, per questioni geo-strategiche oggettive, che ogni nazione capitalista tema di più le potenze capitaliste più vicine, che possono invaderla più facilmente; anche per questo, ad es. il Messico, Cuba, Venezuela ed altre nazioni sud-americane temono molto più gli USA, e temerebbero di più anche il Canada rispetto alla Cina che è più lontana. 

Secondo: espansionismo o volontà espansionista non vuol dire capitalismo imperialistico...anche l’Irak di Saddam Hussein voleva espandersi ai danni del confinante Iran, ma non lo si può certo considerare imperialista. A suo tempo avemmo una discussione con i “bordighisti” di Programma Comunista – era ancora vivo il loro segretario che era una persona umanamente stimabile – presentammo i nostri ragionamenti derivati dal libro di Lenin...non seppero controbattere ma per loro l’Irak restava una nazione imperialista...non sappiamo se sono dello stesso parere ora che è ridotto a cenere! 

Terzo: rispetto al presunto imperialismo cinese, rispondiamo che la Cina non ha affatto un’aristocrazia operaia come esiste in Occidente (pur se la fascia costiera oggi ha un reddito medio pro capite da secondo mondo). E la presenza di una vasta aristocrazia operaia è una delle migliori “cartine al tornasole” per considerare imperialista una nazione, anche quando non si vuol fare una analisi di fondo, cioè produttiva (in altre parole analizzare i dati per vedere se la Cina è davvero leader in alta tecnologia, etc.). Perché?

Perché la presenza di un’aristocrazia operaia è legata ad un’altra “cartina al tornasole”: l’essere imperialisti si può vedere anche indagando se annualmente nella nazione si consuma (e si reinveste produttivamente, o si esporta all’estero) più oppure meno valore di quanto ne producono annualmente gli stessi operai della nazione. Se si consuma nettamente più valore di quello che si produce, allora questo è un buon indice per considerare quella nazione imperialista; perché vuol dire che si estorce valore anche da operai che non fanno parte della nazione. E questo, oltre ad arricchire ulteriormente il Capitale della nazione stessa, permette di elargire una parte dei profitti rubati all’estero, agli operai della propria nazione, facilitando quindi internamente lo sviluppo della leniniana aristocrazia operaia. 

Infine: una nazione può anche subire estrazione di plusvalore da un imperialismo più forte, ad es. annualmente di una quantità X, ma se estrae a sua volta dall’esterno e cioè da altre nazioni, una quantità di plusvalore nettamente superiore ad X probabilmente è perché ha i numeri per essere imperialista; un caso recente è quello di varie nazioni europee (Italia compresa) costrette a pagare un alto –  più del valore – prezzo per il gas USA, cedendo plusvalore agli USA, ma che, però, drenano molto più plusvalore di quello che cedono agli USA da tanti altri paesi situati fuori dell’Europa.

D (minuto 53).

C’è poi la Russia, che molti sostengono che ha mira di rilanciare l’impero zarista e quindi ha mire imperialiste sia rispetto ai popoli vicini che anche – alcuni dicono – in Africa.

R.

Primo: un proverbio dice che “tra il dire o volere, e il fare, c’è di mezzo il mare”... sempre se è vera l’intenzione, il che è poco probabile; tant’è vero che da alcuni decenni i popoli vicini – che prima facevano parte dell’ex impero zarista –  la Russia li ha persi, ed alcuni di essi si sono avvicinati agli USA!!

Secondo: abbiamo già argomentato su come la Russia possa avere alte conoscenze scientifiche e tecnologiche solo in limitati campi militari (es. la balistica, la missilistica) e nemmeno in tutti (nell’intervista abbiamo fatto l’esempio dei droni per i quali la Russia dipende dalle tecnologie – non proprio all’avanguardia – iraniane); la Russia, in parole povere, non possiede altissime conoscenze scientifiche e tecnologiche in tanti altri campi importanti e fondamentali per produrre merci di monopolio e fare quindi profitti monopolistici (cosa che per noi è l’indice più importante che caratterizza una nazione come imperialista). I suoi profitti li fa soprattutto come esportatrice di materie prime.

D (minuto 53).

Molti sostengono che la Turchia abbia tendenze imperialiste: occupa una parte della Siria, recentemente ha bombardato in Irak, in Siria...alcuni sostengono che anche l’India ha una posizione, per quanto regionale, sub-imperialista...l’India aveva invaso lo Sri Lanka quando esso aveva provato a uscire dalla sua orbita, anche militarmente...

R.

Completando l’esempio precedente dell’Irak con quelli della Turchia e dell’India che hai fatto tu (riportando le obiezioni di altri che a nostro avviso poco capiscono di imperialismo) ripetiamo che, espandersi a spese di altre nazioni, confinanti o meno, o avere la volontà di farlo, è un attributo comune a qualsiasi nazione capitalista che ne abbia la forza o pensi di averla; ma questo non le da automaticamente la patente di nazione imperialista; e nemmeno hanno senso le categorie di sub-imperialismo, di imperialismo regionale, etc.; una nazione o è imperialista o non lo è; infatti: o riesce ad ottenere più plusvalore di quello che producono i propri operai, oppure di meno, tertium non datur. E se una nazione non è imperialista, generalmente deve cercare (riuscendoci più o meno bene) di difendersi dall’oppressione dell’imperialismo. Insomma, una cosa sono le aspirazioni, altra è la realtà. Per essere imperialisti occorre avere in primis la capacità di ottenere alti profitti monopolistici con lo scambio ineguale; è la condizione necessaria! Poi tali profitti drenati dall’esterno della propria nazione possono essere innalzati anche di più con la finanza, col signoraggio, etc.; cioè tali elevati profitti si ottengono dominando in esclusiva le conoscenze più avanzate dell’alta tecnologia piegata alla produzione di merci di monopolio (e applicate alla maggior parte dei settori produttivi), e in secundis dominando l’economia con la finanza (anche attraverso gli interessi sui debiti con FMI e BM) e infine con un apparato militare adeguato (o almeno essere inserita in un gruppo di nazioni che lo hanno); tutto questo poi permette di redistribuire ricchezza all’interno della nazione e creare una consistente aristocrazia operaia. 

Nulla di tutto questo (se non un non trascurabile apparato militare, ma di media potenza) possiedono la Turchia e l’India (nonostante la sua mole di abitanti); per quest’ultima, con un bassissimo reddito medio pro-capite, sarebbe addirittura comico parlare di aristocrazia operaia!

D (minuto 54).

Poi rispetto alla questione interessante del reddito pro capite che avete elaborato per distinguere tra paesi imperialisti e non...si potrebbe obbiettare, come avete detto anche voi, che esistono forme di imperialismo anche non capitaliste...anche pre-capitaliste...o forse anche post-capitaliste...e quindi anche paesi che hanno un reddito pro capite più basso potrebbero essere considerati (es. la Cina) delle potenze imperialiste, non nel senso dell’imperialismo come fase suprema del capitalismo, ma in senso differente...o del capitalismo non giunto nella fase suprema di sviluppo; oppure, per chi considera questo paese socialista, come una forma di social-imperialismo...concetto che aveva già elaborato Lenin e che fu poi utilizzato dai comunisti di sinistra contro l’Unione Sovietica [stalinista].

R.

Nell’intervista abbiamo dimenticato di dire perché Lenin, pur riportando l'esempio russo e ottomano, non si occupò nel suo libro degli imperialismi corrispondenti a modi di produzione precedenti a quello capitalista. Il motivo è che egli valutava che i modi precedenti di produzione si sarebbero col tempo estinti, soppiantati da quello capitalista...e con loro si sarebbero estinti anche i corrispondenti imperialismi. E la storia gli ha dato ragione.

Quindi oggi non esistono più forme di imperialismo pre-capitalista. Tantomeno possono esistere forme di imperialismo post-capitalista, poiché – per il marxismo – al modo di produzione capitalista può succedere solo il modo di produzione socialista, come prima fase di quello comunista; e già in tale prima fase ci deve essere – secondo il marxismo – l’abolizione del denaro; questo per impedire l’accumulazione privata di capitale. Certo in una nazione, in fasi di rivoluzione sociale (e certo non oggi) ci possono essere anche fasi di transizione...ma, in tempi non lunghi, il punto d’approdo (che tra l’altro è determinato soprattutto dalle condizioni esterne, mondiali) deve essere o il socialismo o il capitalismo. Ed è evidente che, poiché l’abolizione del danaro è un fenomeno mai successo ancora nella storia, non ci sono state finora nazioni socialiste. Non ci sono altri modi di produzione intermedi. 

Altrimenti tale modo di produzione millantato come socialista, o di transizione, non è altro che un'altra forma di capitalismo, fosse pure di Stato, cioè con lo Stato che controlla gran parte della produzione.

Infine, per una nazione come la Cina, che è un capitalismo a tutti gli effetti (compresi i suoi grandi miliardari privati), questo “senso differente” per il quale essa potrebbe essere considerata imperialista non vediamo proprio quale possa essere. 

Sappiamo invece certamente che, col suo basso reddito medio pro capite di 8 mila euro annuali, ai lavoratori cinesi viene estorto dall’estero molto più (plus)valore di quello che, eventualmente la Cina ricaverebbe (e non è detto che lo faccia) dagli Stati esteri (africani etc.) con cui interagisce; mentre l’opposto è certamente vero per la Spagna e per l’Italia, che hanno redditi medi pro capite intorno ai 25 mila e 30-35 mila euro rispettivamente (i capofila USA sono intorno ai 45 mila, ci sembra). 

Sappiamo inoltre di sicuro (da dati ufficiali) che i profitti delle sue industrie, anche quelle di medio-alta tecnologia, sono molto inferiori a quelli monopolistici delle rispettive industrie occidentali.

Questo non vuol dire che in futuro la Cina, che è già una grande potenza capitalista, non potrebbe diventare imperialista...ma potrebbe farlo solo dopo una guerra globale, sconfiggendo militarmente l’Occidente (sempre se dopo saremo ancora vivi, come specie, sul pianeta).

Per quanto riguarda il concetto di social-imperialismo che sarebbe stato elaborato da Lenin, sinceramente non ricordiamo in quale occasione Lenin elaborò questo concetto, e avremmo piacere di sapere la fonte. Per quanto riguarda la sua applicazione da parte dei comunisti di Sinistra all’Unione sovietica di Stalin, potremmo dire che, certamente, per quanto vari Stati del patto di Varsavia fossero sotto il knut dell’URSS staliniana, essi, dallo scambio di merci con l’URSS, non hanno, in pratica, subito depredamenti di plusvalore, attraverso nessuno dei meccanismi elencati prima che caratterizzano le nazioni imperialiste moderne...a partire dallo scambio ineguale. Quindi, se oppressione politica c’è stata, e c’è stata, però non c’è stato sfruttamento, ossia depredamento di valore, ma ”solo” imposizione, pur dura quanto vogliamo, di un certo assetto politico che garantiva meglio l’URSS dagli attacchi dell’imperialismo occidentale. E tale oppressione corrispondeva quindi più ad un tipo di imperialismo relativo a modi di produzione precedenti...come lo Zarismo. Solo in questo senso si potrebbe forse parlare in quel caso di socialimperialismo (un vecchio tipo di imperialismo attuato da un falso socialismo)…  

D (minuto 56).

Riguardo alla questione che avete brevemente accennato, e che per Lenin era un carattere fondamentale dell’imperialismo, cioè “l’esportazione di capitali”...voi dite che oggi è diventato un aspetto “caduco”. Si dovrebbe chiarire meglio perché apparentemente non sembrerebbe; ad es. la FIAT che prima era tutta concentrata in Italia, oggi, come Stellantis, investe sempre più capitali all’estero, sposta sempre più la produzione all’estero...quindi sembrerebbe che l’esportazione dei capitali all’estero sia più sviluppata oggi che ai tempi di Lenin.

R.

Pensavamo di avere già chiarito che tale aspetto oggi è caduco solo “come metro per vedere se una nazione è imperialista”; non che oggi non si esportino più capitali, tutt’altro; ma oggi può capitare che una nazione non imperialista possa esportare più capitali all’estero di una nazione imperialista (ad es. la Cina o la Russia paragonati alla Spagna). Il problema – e già se si studia bene il libro di Lenin lo si capisce – non è l’esportazione dei capitali per l’esportazione in se stessa, ma del tasso di profitto che ci fai sui capitali che esporti (insieme agli eventuali vantaggi che ne hai a livello diplomatico, militare, finanziario, etc.). 

E di questo abbiamo già parlato, a proposito ad es. della Cina e degli USA, nell’intervista: oltre ai profitti del 3% per le industrie elettronico-informatiche cinesi contro il 30% delle corrispondenti aziende statunitensi (per tagliarla con l’accetta!!), i cinesi con i dollari che esportano negli USA possono solo comprare buoni del tesoro USA che danno bassi profitti; mentre le aziende USA ed europee che esportano capitali all’estero impiantando fabbriche all’estero, sfruttano il basso costo della manodopera estera per far alti profitti, o comprano materie prime a basso costo; inoltre i dollari che gli USA ricevono dalla Cina in cambio dei titoli USA, vengono reinvestiti in aziende ad alto tasso di profitto.

D (minuto 57).

Volevo chiedervi un chiarimento su un altro aspetto interessante che però avete solo accennato, e che è il legame tra imperialismo e fascismo, di cui purtroppo non ha parlato ancora praticamente nessuno di quelli che abbiamo intervistato...ma a me sembra invece un aspetto molto significativo, anche perché altrimenti diventa difficile spiegare questa enorme affermazione e diffusione del fascismo in tutto l’emisfero occidentale, dall’Europa all’America Latina, con punte anche in Asia (nelle Filippine, parte in Indonesia...)

R.

Ci limitiamo a poche battute perché questo sarà argomento del nostro quarto volume, ancora in fase di lavorazione. Di questo aspetto il primo ad accorgersene è stato Amedeo Bordiga; contrariamente a Gramsci che valutò il fascismo più come un fenomeno del passato, legato alla politica dei proprietari terrieri, Bordiga lo qualificò subito come un fenomeno moderno. D’altra parte i maggiori finanziatori italiani di Mussolini, del suo giornale, della sua propaganda, non furono i proprietari terrieri simpatizzanti, bensì le industrie italiane più avanzate del momento (Fiat, Ansaldo...) attive anche nel settore degli armamenti (oltre a finanziamenti stranieri da parte di nazioni imperialiste, se ben ricordiamo). In pratica, nelle nazioni imperialiste, la democrazia borghese (anche con forme politiche di governi di sinistra) è la veste politica di solito più adatta per il Capitale nelle fasi di affluenza del ciclo mondiale di accumulazione, mentre il fascismo e il suo controllo serrato sulle persone è di solito più adatto ai tempi di crisi profonda; infine, nelle nazioni oppresse le forme dittatoriali sono generalmente più diffuse perché per prime risentono delle crisi economiche, visto che le nazioni imperialiste spesso le scaricano su di esse. D’altronde il Capitale sceglie la sua veste politica a seconda delle situazioni, in cui anche la risposta di effervescenze sociali proletarie è una variabile importante. 

D (minuto 57).

Poi rispetto al discorso che facevate sull’indipendenza dei paesi rispetto all’imperialismo, sicuramente è interessante quello che avete detto, d’altra parte sembra però un po difficile sostenere che la Cina non è indipendente rispetto all’imperialismo occidentale

R.

Invece la Cina è stata, anche esaminando solo gli ultimi decenni, molto dipendente dalla divisione del lavoro che è stata imposta dall’imperialismo occidentale che gli ha assegnato il ruolo di “fabbrica del mondo” per sfruttare con le joint-venture, etc. una manodopera cinese capace e disciplinata di centinaia di milioni di lavoratori. Ma il ruolo di “fabbrica del mondo”  era solo per produrre merci al massimo di medio-alta tecnologia (le parti di altissima tecnologia, come abbiamo detto nell’intervista, sono quasi sempre occidentali). In effetti questo ruolo ha fatto comodo per un certo periodo anche alla Cina...ma oggi cerca di svincolarsi...per ora non riuscendoci ancora troppo...ma il futuro non possiamo prevederlo, vista l’intrinseca instabilità del modo di produzione capitalista nella sua fase imperialista. 

Certamente un vantaggio politico per la Cina, soprattutto per il futuro, è il vacillamento in gran parte del mondo oppresso del modello ideologico americano, ed i progressivamente crescenti sentimenti di odio da parte di sempre più grandi masse oppresse del mondo nei confronti dell’Occidente, USA in testa. Oggi c’è un imperialismo occidentale (non un impero, perché comunque composto da più nazioni con interessi in parte divergenti) in crisi sistemica strutturale sempre più profonda; che, per non cadere, deve opprimere sempre più il resto del mondo…e la Cina potrà raccogliere politicamente anche i frutti di questa rabbia popolare e proletaria…se all’interno delle masse non sorgeranno movimenti realmente rivoluzionari. 

D (minuto 58).

E anche dal punto di vista dell’alta tecnologia...forse non è proprio ai livelli dell’imperialismo occidentale ma...il cellulare che abbiamo tutti noi proletari è prodotto in Cina...per non parlare delle auto elettriche che sono le auto del futuro e sono prevalentemente cinesi...allo stesso modo, come dicevate anche voi, si è creato questo polo di BRICS che ormai rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale, che cercano di essere autonomi dall’imperialismo occidentale...poi c’è la Russia...voi dicevate giustamente l’imperialismo delle portaerei...però la Russia sembra essere indipendente anche militarmente dall’imperialismo occidentale...e anche potenze minori, come l’Iran, il Venezuela, sembrano essere sostanzialmente indipendenti.

R.

Sui cellulari e sul fatto che sia essi che altre merci, dai PC agli apparati di telecomunicazione, dalle armi agli spettacoli di intrattenimento, dagli elettrodomestici ai mezzi di trasporto, etc. contengono tutte, oggi, componenti a vari e diversissimi livelli di tecnologia...e che le componenti più tecnologiche sono praticamente tutte occidentali e che sono vendute come merci di monopolio, con scambio ineguale e quindi con profitti molto più alti, abbiamo già parlato nell’intervista e ne parla anche meglio, portando una mole di dati concreti, il libro di King che abbiamo citato sempre nell’intervista [1]. 

Questo è un aspetto economico.

Quello dei BRICS e delle altre nazioni che si stanno allontanando dal fascino discreto della borghesia imperialista occidentale per difendersi da essa, invece, è un aspetto politico. 

Queste borghesie non imperialiste sono spinte a questa azione, oltre che per i loro interessi capitalistici, in buona parte a causa dell’effervescenza delle masse dei loro paesi. Solo una grande effervescenza delle masse può rallentare il carrarmato imperialista nel suo tentativo di continuare a far pagare una crisi mondiale sempre più profonda alle altre nazioni economicamente più deboli.

E comunque anche il gruppo dei BRICS non sembra poi tanto unito, viste le ultime uscite dei governi argentino e indiano: non c’è nulla da fare, nel capitalismo l’aspetto della concorrenza non è eliminabile in modo stabile a nessun livello, e queste nazioni sono fortemente concorrenti tra loro nelle produzioni di fascia non altissima!!

Ma questi aspetti politici saranno oggetto del nostro quarto volume...se riusciremo a finirlo.

D (minuto 59).

Per quanto riguarda lo scambio ineguale, alcuni sostengono che anche la Cina porta avanti una prospettiva di scambio ineguale con i paesi più poveri, con i paesi africani...  quindi per alcuni anche la Cina avrebbe delle attitudini equivalenti, analoghe a quelle dell’imperialismo occidentale.

R.

Rispondiamo brevemente che, dai dati riportati da King nel suo libro, questo non ci risulta affatto...i tassi di profitto sono bassi (non sono affatto quelli di strozzinaggio imposti dal FMI a tanti paesi poveri, non solo africani e sudamericani, per capirci) e questo non perché la Cina sia più buona, ma perché deve cercare di far fruttare i suoi capitali in eccesso, anche a tassi più bassi; e per di più non tutti questi stati africani saranno in grado di ripagare i debiti fatti con la Cina...  

D (minuto 60).

Un altro aspetto di cui non avete parlato è che Lenin dice chiaramente che l’età dell’imperialismo è l’età delle guerre imperialiste ma anche l’età della rivoluzione socialista...e da qui appunto l’importanza di individuare l’imperialismo del proprio paese anche perché la rivoluzione la fai innanzitutto nel tuo paese...anche perché la puoi fare solo nel tuo paese...noi non possiamo fare la rivoluzione negli USA.

R.

A questa obiezione ha risposto in parte Mario nella videointervista. Aggiungiamo: perché la rivoluzione iniziata nel 1917 è fallita? Perché, come il modo di produzione capitalista-imperialista era già allora (e ancor di più oggi) diffuso a livello mondiale, anche la rivoluzione socialista o è mondiale o non è. E questo vale oggi ancora di più che ai tempi di Lenin. La rivoluzione russa si riaccartocciò proprio perché non riuscì a diffondersi oltre la Russia, non diventò dapprima europea e poi mondiale. Lenin capiva bene questo fatto, tant’è vero che tentò di andare in soccorso, con l’armata rossa, ai rivoluzionari della Germania, ma l’armata rossa fu fermata in Polonia dai polacchi guidati da Pilsudski (ci furono anche errori militari tra cui una sottovalutazione di Stalin...errori peraltro non molto evitabili in situazioni complesse). 

Quindi, a maggior ragione oggi, non ha senso dire, a nostro avviso, che noi rivoluzionari possiamo fare la rivoluzione ognuno solo nel proprio paese. Come appartenenti ad una futura Internazionale Comunista (cioè ad un futuro Partito comunista mondiale) abbiamo la possibilità e il dovere di intervenire in tutti i vari modi che possiamo anche nei problemi di altre nazioni che si ribellano all’imperialismo.

Anche questo è il senso dell’internazionalismo che deve connotare i veri comunisti, anche se è ovvio che, se si vive, come noi, in un paese imperialista, un comunista deve denunciare innanzitutto l’imperialismo della propria nazione.

Ma, oggi che, più di un secolo fa, le economie dei vari paesi sono intrecciate e le crisi capitalistiche diventano sempre più contemporanee in tutti i paesi, diventano sempre più mondiali, allora diventa deviante e limitante l’ottica di combattere solo contro l’oppressione e lo sfruttamento che avvengono nel proprio paese...ancor più grave se è un paese imperialista come il nostro.

In questa falsa e deviante ottica non dovremmo occuparci di quello che avviene altrove, ma, come affermano (e nemmeno fanno) i “bordighisti” indifferentismi italiani, occuparci solo dei problemi del nostro proletariato, della nostra classe operaia...tanto (loro affermano) la guerra tra NATO e Russia è interimperialista e ancor di più sono beghe interimperialiste gli attriti tra USA e Cina.  

Note:

[1] Sam King: “Imperialism and the development myth” ovvero “Imperialismo e il mito dello sviluppo”. Il testo è reperibile in rete in inglese. Per una versione italiana potete contattare gli autori di questo articolo.

29/11/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

Altro in questa categoria: « L’imperialismo nella fase attuale

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: