Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, i principali teorici marxisti, come Lenin, Rosa Luxemburg, Kautsky, e anche altri, marxisti e non marxisti, hanno approfondito ed analizzato il problema dell’imperialismo perché in quella fase esso costituiva il problema teorico principale e quindi è comprensibile che soprattutto intellighenzia marxista dell'epoca si mettesse a studiare questo problema che la storia aveva ormai fatto emergere.
L'opera di Lenin è considerata una delle analisi più complete dell'imperialismo. Sebbene l’autore utilizzi un linguaggio accessibile e uno schema chiaro, il suo lavoro è il risultato di un'elaborazione scientifica profonda, basata su statistiche, dati economici e uno studio sistematico delle correnti di pensiero del suo tempo. Per chi è curioso di vedere la mole di documenti e appunti che l’autore ha consultato prima di sintetizzare il concetto di imperialismo può consultare il volume 39 delle opere complete del noto rivoluzionario russo per farsi un’idea del lavoro propedeutico che ha portato poi al famoso saggio popolare.
Lenin esamina criticamente sia le posizioni borghesi che marxiste, integrandole in una sintesi che definisce, a suo modo di vedere, l'imperialismo della fase terminale del capitalismo.
Un'altra teorica importante che a quell’epoca si è interrogata sulle radici economiche dell'imperialismo, ma da una prospettiva più teorica, è la grande rivoluzionaria polacca Rosa Luxemburg. Mentre Lenin parte da una prospettiva che potremmo definire più sperimentale, la Luxemburg si sofferma principalmente sul nocciolo teorico centrale dell’imperialismo ossia sul concetto di accumulazione e riproduzione allargata.
Nel suo libro L'accumulazione del capitale (1912), Luxemburg analizza il fenomeno della riproduzione su scala allargata, mettendo in evidenza come il capitalismo necessiti di mercati esterni per sopravvivere. L’accumulazione e riproduzione su scala allargata è ciò che distingue il capitalismo dai modi di produzione precedenti per la sua capacità di espansione e rinnovamento su scala globale. Allo stesso tempo, questa spinta all'espansione genera contraddizioni economiche e sociali che caratterizzano il capitalismo moderno. Dunque lo studio di questo processo e il testo di Luxemburg sono fondamentali.
La stessa rivoluzionaria ammette di aver avuto grosse difficoltà nell’elaborazione del suo scritto, difficoltà che ha incontrato nel comprendere questo aspetto del capitalismo nei confronti del quale, ella afferma, lo stesso Marx presenta nella sua opera principale e in particolare nel secondo volume un approccio contraddittorio e non risolutivo.
La questione quindi dell'imperialismo è una questione complessa e dunque non ci deve stupire che tendenze e correnti marxiste che condividono le leggi generali dell'economia così come individuate da Marx, poste di fronte a questa categoria, pur partendo dalle medesime concezioni economiche giungono a interpretazioni completamente differenti. Questo non è scandaloso ma è del tutto comprensibile perché appunto questa parola è densa di contenuto. E’ appunto una categoria complessa.
#### **Interpretazioni Differenti dell’Imperialismo**
Un’idea generale dell’imperialismo che viene spesso proposta da Lenin, non solo nell'opuscolo ma anche in altri articoli legali all'imperialismo, è questa idea secondo cui l'imperialismo prefigura una sorta di fase di trapasso verso il socialismo. Cioè sostanzialmente Lenin vede nell'imperialismo -quale fase superiore del capitalismo- la decadenza, la putrescenza di questo modo di produzione e, al contempo, l’emergere delle condizioni per il trapasso verso il socialismo. Un trapasso che però non è un fatto naturale e dovuto ma che richiede una rottura rivoluzionaria con il passato ormai putrescente e dunque una coscienza soggettiva di questa necessità .
Da questo punto di vista non ci deve stupire che, appunto, ci sono alcune correnti del marxismo che, proprio calcando la mano su quest'idea del trapasso verso il socialismo, cioè verso una società maggiormente regolata, centralizzata, dove la logica della pianificazione è la logica fondamentale dell'organizzazione sociale, interpretano questo fatto come qualcosa che necessariamente si realizzerà grazie ad una sorta di legge di tendenza generale che inevitabilmente condurrà al trapasso.
Queste correnti tendono a vedere nell'imperialismo soprattutto la fase del trapasso e le leggi generali che lo contraddistinguono. La globalizzazione economica e la spartizione del mondo tra potenze imperialistiche sarebbero i segni di un sistema prossimo alla fine. Queste correnti tendono a vedere le cose dal punto di vista generale delle leggi economiche di lungo corso, esaltando quegli aspetti unitari, che pure ovviamente ci sono, a differenza di chi tende a vedere quelli particolari.
Ora è chiaro che questa tendenza lo stesso Lenin la intravede. Cioè c'è effettivamente una tendenza del modo di produzione capitalistico nella sua fase finale, a divenire globale , unitario, a formare grandi trust transnazionali a prefigurare cioè forme mondiali di centralizzazione, però queste tendenze, lo stesso Lenin lo sottolinea più volte, stentano a divenire reali perché cozzano con l’altra legge generale dello sviluppo capitalistico che è la legge dello sviluppo ineguale. L’imperialismo nasce dal libero mercato, prova a superarlo ma finisce per riprodurre i medesimi scontri e meccanismi su scala allargata.
Basta osservare la realtà. La realtà fatta di guerre, di scontri, di collisioni inter imperialistiche, per vedere che non c'è assolutamente un unico centro di comando mondiale e regolatore dell’economia e della politica, e nemmeno appare in via di superamento tale situazione conflittuale.
All’interno di queste correnti di interpretazione dell’imperialismo si distinguono quelle tendenze che seppur introducendo, più correttamente, il tema delle collisioni imperialistiche e cioè riconoscendo la legge dello sviluppo diseguale e gli scontri per il potere, giungono pur sempre a considerare ormai l’imperialismo quale norma mondiale, quale stadio dell’economia diffuso e radicato in tutte le principali potenze e per tanto la possibilità di una qualsiasi analisi particolare, differenziale, che possa condurre quindi ad un politica manovrata è sostanzialmente inutile per non dire dannosa: di qui ne deriverebbe che tutte le potenze sono imperialiste, donde l’unica parola d’ordine possibile è quella che esorta tutti i proletari del mondo ad unirsi. Anche questa visione del mondo, però, pur introducendo un tratto di maggiore realismo, rimane su una posizione sostanzialmente attendista e rimanendo fuori alle contraddizioni incapace di esprimere una politica manovrata per la guerra di posizione. Secondo questa prospettiva che coglie molti aspetti importanti dell’imperialismo e cioè quegli aspetti più strettamente economici e di lungo corso, c’è una coincidenza logica, tra imperialismo e multipolarismo.
Di contro a queste tendenze che calcano molto sugli aspetti di fondo e potremmo dire economicistici, dove con l’approccio della notte in cui tutte le vacche sono nere, ci conducono ad un internazionalismo astratto, vi sono le tendenze opposte che al contrario marcano eccessivamente la mano sugli aspetti contingenti e particolaristici o potremmo dire geo-politicistici .
Secondo queste ultime correnti di pensiero praticamente esiste un unico polo imperialista, che è quello statunitense e quindi tutta la lotta politica deve essere concentrata contro questo polo. Da questa prospettiva si entra maggiormente nell’analisi delle peculiarità dei singoli paesi ma non si vedono più le tendenze generali finendo per perdere di vista ad esempio la funzione imperialista dell'Unione europea e del proprio paese, finendo per abbracciare o fiancheggiare posizioni scioviniste. Questo approccio semplifica eccessivamente le dinamiche globali, ignorando le relazioni economiche e politiche complesse tra paesi.
Se da un lato si accede dunque in una visione economicistica, -potremmo dire interpretando in modo più lasco le famose cinque caratteristiche dell’imperialismo elaborate da Leni- dall'altro si eccede in una visione politicista, con l'effetto, in entrambi i casi, di non poter sviluppare una politica manovrata, in entrambe le visioni paradossalmente si cade nella posizione kautskyana dell’unico imperialismo .
Ovviamente io sto citando le visioni più estreme, non tutte le correnti del marxismo sono richiudibili in questi estremi. Poi ci sono intrecci tra queste letture e probabilmente è proprio nell'intreccio e cioè nella dialettica tra queste posizioni radicali probabilmente è lì che si intravede una visione più realistica e dagli sbocchi più concreti sul piano politico.
Il caso dove più scoppiano le contraddizioni è quello cinese. La Cina che cos'è? Un paese imperialista o è un paese socialista? Chi vede maggiormente le leggi di tendenza economica interpreta la funzione della Cina attuale come polo imperialista, chi, al contrario, tende a cogliere più gli aspetti particolari e a leggere in modo più stringente le condizioni leniniane (ad esempio quella sulla esportazione di capitale) può giungere addirittura a definire la Cina non solo antimperialista ma addirittura socialista.
Ecco, tra questi due estremi probabilmente la verità è che si tratti di un paese che sta sviluppando al meglio il capitalismo. Sta sviluppando il capitalismo perché la sua economia è ancora fortemente incentrata sulla produzione e l’esportazioni di merci. E grazie a questo sviluppo mastodontico del capitalismo, cioè del mercato delle merci, dell'esportazione delle merci, sta intervenendo anche in paesi arretrati, con delle dinamiche che ricordano molto il capitalismo delle origini.
La Cina mostra un enorme sviluppo capitalistico che potrebbe condurla a questa fase che però non è ancora la norma. Le sue politiche di investimento in Africa, come la costruzione di infrastrutture, ricordano il capitalismo delle origini. Tuttavia, il predominio della produzione di merci rispetto all’esportazione di capitali distingue la Cina dalle potenze imperialiste classiche. Lenin aveva evidenziato che, giunta alla sua fase suprema, un'economia capitalista deve scegliere tra il passaggio al socialismo o all’imperialismo. La Cina, con il suo vasto mercato interno e le sue relazioni economiche globali, si trova a un bivio che influenzerà il futuro del sistema globale.
Non solo è necessario vedere la differenze e le sfumature tra poli imperialistici, chi è imperialista chi è antimperialista oggettivamente ma non soggettivamente etc.., ma anche nel medesimo paese, bisogna cogliere e distinguere le diverse dinamiche tra piccole, medie e grandi borghesie altrimenti non è possibile sostanzialmente sviluppare una politica di fase.
L’Imperialismo Europeo e il caso italiano
Per venire al nostro contesto l'Italia è indubbiamente un paese imperialista. Le sue banche e industrie sono fortemente concentrate e hanno un ruolo significativo nell’esportazione di capitali speculativi e nell’influenza su paesi esteri. Sebbene il peso dell’Italia sia inferiore a quello di altre potenze europee come Germania e Francia, ciò non elimina la sua partecipazione al sistema imperialistico globale. Potrebbe essere un’esercizio utile provare ad identificare la radice nazionale di alcuni trust europei e sicuramente ne potremmo dedurre che in molte catene del valore il ruolo dell’italia rispetto ad altri trust è minore, ma ciò non dimostrerebbe affatto che l’Italia non sia un paese imperialista quanto più semplicemente potrebbe essere un ragionamento utile a individuare i reciproci rapporti di forza tra potenze globali.
L'Unione Europea rappresenta una configurazione specifica dell’imperialismo, caratterizzata dalla coordinazione tra i grandi capitali nazionali cresciuti qualitativamente e approdati al tavolo del mercato globale. Questi trust, composti da capitale bancario, industriale e commerciale, perseguono una strategia globale che non sempre coincide con gli interessi delle borghesie nazionali. In questo senso si tratta di un trapasso qualitativo e non semplicemente quantitativo.
L'imperialismo europeo non è la semplice sommatoria lineare degli imperialismi nazionali ma è un prodotto dialettico, dell'incessante processo di centralizzazione. Gli interessi dell'imperialismo europeo possono anche differire dall’interesse particolare di taluni capitali medio piccoli di base nazionale. Ovviamente la linea la dettano i rapporti di forza, però, queste contraddizioni non smettono di esistere.
Il caso della guerra in Ucraina è emblematico di come i capitali speculativi che investono nell’industria delle armi hanno interesse a proseguire la linea guerrafondaia quanto al contrario i capitali maggiormente legati all’esportazione delle merci di consumo o di produzione vedrebbero con maggiore favore un periodo di pacificazione utile a ricostruire le catene del valore.