La sconfitta dell’Occidente di Emmanuel Todd

E’ nel profondo dell’anima occidentale che Todd si propone di ricercare, oltre le forme, le ragioni intime del nevralgico tornante epocale, che investe ogni latitudine, con scricchiolii e stridori, che sottendono un mondo in ebollizione cronica e accelerata, alla ricerca di un sempre più difficile equilibrio.


La sconfitta dell’Occidente di Emmanuel Todd

Mentre Oswald Spengler pubblicava il primo volume del monumentale Tramonto dell’Occidente, in quel fatidico 1918, si consumava il primo, cruento macro-segnale di una impasse strutturale, quasi “metafisica”, di quella porzione del sistema-mondo che, dopo aver celebrato ed enfatizzato nelle superficiali pirotecnie progressiste della Belle Èpoque e contemplato narcisisticamente l’incedere trionfale della propria guida planetaria alla civilizzazione, scopriva traumaticamente le voragini nichilistiche di un’inadeguatezza sostanziale a mantenere le recentissime promesse di felicità universale, generosamente elargite, tanto come inebriante autoinganno culturale, quanto come specchietto per le allodole per quei settori delle masse popolari, cui si era fatto intravedere un futuro prodigo di briciole appetitose. La guerra mondiale (conflitto feroce e tendenzialmente totale nato nel seno di quella civiltà, a cominciare da quelle “sonnamboliche” classi dirigenti, che avevano ritenuto di poterne governare con agio forme e modi, oltre che gli esiti), Lenin insegnava, era solo il primo, poderoso segnale di un’insufficienza originaria della borghesia del tempo a farsi e conservarsi metastorica classe generale; e Rosa Luxemburg, dal suo canto, poneva con forza l’urgenza di una fuoriuscita dal sistema capitalistico, colto nella sua dimensione virtualmente pantoclastica, cui opponeva l’unica seria obiezione a una guerra imperialista dai connotati epifanici: il socialismo, pensato come taglio alla radice delle contraddizioni e degli incagli sistemici, “salto” verso una rivisitazione radicale dei quadri della convivenza e “scarto” verso un futuro di autodirezione della società umana. La guerra disvelava la verità profonda dell’alternativa “socialismo o barbarie” anche se, tolto il sussulto russo-sovietico, e le tante, disseminate e sfortunate convulsioni progressive, il mondo avrebbe proseguito (e a che prezzo) il suo percorso sotto l’egida dell’ethos borghese, così approfondendo il solco tra le speranze suscitate da quel primo esperimento e le rovinose inerzialità involutive intrinseche al modo di produzione capitalistico, ancora libero di secernere e diffondere a piene mani tossine, spesso e volentieri cristallizzate in sanguinosi conflitti di portata devastante.

Molta acqua, e molto liquame, sono passati da allora sotto i ponti della storia contemporanea e dopo la caduta del Muro di Berlino, in condizioni di possibile e libera esplicazione di ogni virtuosa potenzialità liberatoria dell’endiadi capitalismo-democrazia, il sistema dominante ha in realtà preso a dispensare molto di meno delle decantate virtù di diffusione della prosperità generale. Anzi, da qualche decennio, in coincidenza col pieno e conclamato svolgersi di quelle potenzialità, ha evidenziato crepe e linee di faglia, esterne ed interne, che denunciano un affanno non congiunturale, un’incapacità a far fronte ai dilemmi del futuro e alle aporie da esso stesso generate. E il “capitalismo spaziale”, di cui l’esuberante neofita governativo Elon Musk si è fatto araldo e pionieristico artefice, fatica a dissimulare il carattere di via di fuga verso un’espansione avveniristica che si pensa illimitata, chiaramente compensativa di uno stallo storico e strategico, e pure beffardamente confermativa del marchio ristretto ed elitario della “salvezza” prospettata.

Sono tutte solidissime ragioni per mettere a fuoco la questione rotonda dei destini della civiltà umana, a quello stadio del suo cammino, implicato in quelli che lo storico Luigi Cortesi definiva “problemi finali”, in tutta la potenza profetica di una formulazione catastrofica. E il fatto che vi si impegni lo storico, sociologo e antropologo francese Emmanuel Todd in questo libro di successo, contribuisce a sottolinearne l’imprescindibilità e la drammatica attualità, già attivamente scaturente dalla diffusa consapevolezza che si è di fronte a un passaggio cruciale della nostra vicenda collettiva. Noto per aver predetto con largo anticipo (in oggettiva ma occasionale ed estrinseca convergenza con la connazionale Hélène Carrère d’Encausse) dapprima il crollo del cosiddetto impero sovietico, quindi la crisi finanziaria del 2008, Todd si misura con la disamina dello stato di acuta fibrillazione della società contemporanea, di cui individua il cardine nella sofferenza sistemica dell’Occidente, a suo tempo protagonista solitario e orgoglioso dei processi seguiti all’implosione dell’Urss, ora alle prese con un’estenuazione e un dissesto, rivelativi di un’obsolescenza strutturale, credibilmente terminale, proprio per questo più pericolosa e devastante dell’esercizio attivo e tradizionale di uno sciagurato dominio, lastricato di lacrime e sangue [1]. E quando nomina l’Occidente, asse della sua ricognizione eziologica della crisi attuale, Todd gioca di sponda con tutte quelle realtà, che hanno sinora fatto da sfondo più o meno subalterno alle dinamiche imposte da questa parte del pianeta, uscite tuttavia di recente dalla loro ancillarità, proprio grazie a quella globalizzazione, che fino a qualche tempo fa pareva costituire il vanto, e l’indiscusso campo d’esercizio, dell’egemonia “bianca”. La stessa magnificata globalizzazione, pensata come riserva sconfinata di audaci scorribande solitarie dai trionfatori della guerra fredda [2], progressivamente palesatasi area insospettata e creativa di dispiegamento di protagonismi e soggettività, più che capaci di affrontare quella sfida, giunti alla fine a incrinare seriamente le pretese di esclusività e dominio di chi l’aveva a suo tempo promossa, anche simbolicamente, come sigillo di una superiorità civile e antropologica, cui era naturalmente associata una sorta di apriorica e indiscussa extraterritorialità morale. Ci si riferisce, com’è ovvio, a quella brulicante realtà economico-politica, che va lievitando intorno e accanto ai Brics che, pur non costituendo un’alternativa di sistema in senso stretto o canonico, rappresenta tuttavia un più fluido e plurale campo d’articolazione e iniziativa del confronto internazionale, che fluidifica in modo inedito e “aperto”, confermando il venir meno di assetti che la caduta del “Muro”, mentre imponeva unilateralmente, sembrava poter linearmente eternizzare.

Ma anche a prescindere dalla rinnovata e fertilissima intraprendenza dei nuovi attori, è nel profondo dell’anima occidentale che Todd si propone di ricercare, oltre le forme, le ragioni intime del nevralgico tornante epocale, che investe ogni latitudine, con scricchiolii e stridori, che sottendono un mondo in ebollizione cronica e accelerata, alla ricerca di un sempre più difficile equilibrio. Esse non possono non radicarsi nel cuore dell’impero, in quegli Stati Uniti, da tempo sotto la lente incuriosita e trepidante degli osservatori, tanto quelli arruolati nella difesa d’ufficio ideologica e nell’apologetica servile, quanto la vastissima area dei critici che, allo stesso tempo, ne contemplano i numerosi segnali di decadenza, ma anche ne paventano (empiricamente computandoli) i rovinosi colpi di coda reattivi, molto prima prima della significativa rielezione di Donald Trump.

L’originale percorso seguito da Todd, come la sua prospettiva metodologica, non si limitano ai tratti marxianamente rilevanti delle scoperte dinamiche economiche, che descrivono non da oggi il travaglio del tracotante e superficiale trionfatore della Guerra fredda. Riproponendo un antico ma fertile dualismo interpretativo, il sociologo e storico della cultura preferisce un approccio neo-weberiano, nel quale dimensione sociologica, psicologica e di storia della cultura (e della religione cristiana, segnatamente nella sua declinazione protestante) compongono un quadro che, se non esaustivo (nonostante l’ampiezza, vastità ed “eccentricità” dei terreni esplorati), consente di penetrare i recessi di una società (l’“Occidente”, nella sua accezione trasversale, nelle sue articolazioni interne e nelle sue gerarchie) e di una modalità della vita storica, che si trovano oggi di fronte a una difficoltà inedita, cui mostrano di reagire in modi scomposti e irrazionali, al tempo stesso rivelando un’attitudine per così dire caratteriale verso un esito nichilistico. Nichilismo è, infatti, per Todd la parola magica (e l’idea-forza) che riassume con efficacia estrema la sostanza del lungo cammino che dal XVI secolo informa il profilo cosmico-storico della società europea e atlantica, indirizzandola verso il cul-de-sac odierno, l’ingorgo e il collasso, che ne descrivono le attuali convulsioni. Un progressivo e inesorabile “incaprettamento”, si potrebbe suggerire, che mostra i tratti vistosi di una più generale e irreversibile crisi di civiltà, intimamente legata a quella secolarizzazione che, pregio e vanto di un ostinato processo di emancipazione dai vincoli della natura, si rivela alla fine fautrice di una fatale e irreparabile labilizzazione delle strutture sociali, dei legami coesivi e dei principi, che ne avevano tenuto egemonicamente in piedi l’assetto e lo scheletro umanistico e valoriale. Che ne avevano, insomma, sostanziato il vanto di una capacità di mediazione, fatta anche di sapienti pratiche imperiali di divisione del lavoro e redistribuzione, oggi venute al dunque di una guerra di tutti contro tutti.

E l’opzione sovrastrutturale, intesa come chiave descrittiva ed esplicativa di un’indagine storico-sociale dell’oggi, consente a Todd di ricavare e proporre una sintomatica, ma allo stesso tempo una diagnostica, che non lascia molto spazio alle tante apologie dell’esistente, o alle vibranti e insistite rivendicazioni di eccellenza di quell’arrogante formazione storica, che il battitore libero Diego Fusaro ribattezza icasticamente, e non in modo peregrino, uccidente [3].

La si può anche chiamare solennemente “Morte di Dio”, evocando in modo estemporaneo il Nietzsche critico della cultura, ma qui si pone laicamente un problema che non da oggi inquieta il corso della nostra storia, quello del limite e della correlata hybris – da un lato la volontà di potenza di una formazione storico sociale proiettata alla cieca messa a resa universale della totalità dell’esistente, dall’altro la prudenza filosofica (e più o meno direttamente politica) che non da oggi intuisce i rischi di medio-lungo periodo inerenti una gestione deregolata e anarchica del reale a fini di controllo assoluto su di esso e i costi in termini di vera e propria conservazione della civiltà umana e dell’ecumene. 

Per Todd, “centro del ( … ) modello” esplicativo è il progressivo sbiadire e degradare, quindi la “disintegrazione” della religione, protestantesimo in primis, l’incedere di un disincanto che spoglia il mondo di un’aura fondativa e qualsivoglia orizzonte di senso [4]. Il connesso, successivo e conseguente, crollo novecentesco di ideologie surrogatorie e “sostitutive” e dunque della politica come diretto e salvifico agente trasformativo, apre poi uno scenario in cui irrompe in modo distruttivo la deriva inerziale di un’atomizzazione individuale crescente e dilaga un ethos anomico e predatorio, ormai privo di argini e contrappesi. Passata, insomma, nel corso dei secoli, dallo “stadio attivo”, nel quale ha “strutturato la vita sociale” (p. 161), a quello “zombie” (nel quale essa trascolorava in mero valore e consuetudine esteriore o lasciava intravedere una surroga da parte delle visioni del mondo laiche), infine a quello “zero”, descritto come “vuoto religioso assoluto”, nel quale “gli individui sono privi di qualsiasi credenza collettiva”, non più liberi, da esso “sminuiti” (p. 163) la religione cristiana trascina nella sua dissolvenza anche quello Stato-nazione per così dire supplente, che aveva inizialmente garantito che le società rimanessero “coerenti e capaci di agire” (p. 162) [5]. Ma anch’esso ha ormai attinto quel “grado zero della moralità”, dal quale i vertici della società che una volta chiamavamo affluente coerentemente deducono la maturata insussistenza e superfluità di qualsivoglia nesso organico tra sistema e governo della società, da un lato, e domanda di vita, conservazione e incremento dei popoli, ormai consegnati a un limbo di irrilevanza e brutalmente derubricati a res nullius o sacrificati sull’altare delle guerre per la democrazia. Un vero naufragio storico, cui il termine nichilismo perfettamente si attaglia e i cui contraccolpi, in ogni sfera del vivere comune, si distribuiscono metastaticamente soprattutto nei tradizionali luoghi geo-politici di produzione di senso, la cui evoluzione civile, dopo aver occultato o soppiantato qualunque questione sociale, ha progressivamente visto anche il declino di quegli istituti familiari, che in altre parti del mondo continuano a garantire un minimo di coesione e solidarietà di sostanza. La “fuga in avanti nichilista” (p. 165), promossa da una erosione libertaria e presuntamente liberatoria del Super-Io, si è nutrita di una superfetazione individualistica, di cui il “matrimonio per tutti” (p. 164), costituisce uno dei tanti spazi simbolici (che Todd enumera puntualmente, snocciolando tutta la panoplia rivendicativa di una sinistra liberale ansiosa di legittimazione presso la buona borghesia progressista). 

È dentro questo perimetro del tempo e nello spazio fluido di una periclitante globalizzazione, che si agitano i contraccolpi di un processo largamente ingovernabile, e mentre gli Stati Uniti misurano nevroticamente modi e ritmi della propria implosione (anche cercando di restaurare brutalmente la postura del bullo planetario), l’antico soggetto-Europa sconta la fase finale della propria eclisse storica. Un’Europa marchiata da “narcisismo ideologico” (p. 36), “inaffidabile” (p. 15) ed “evanescente” (p. 34), precipitata nel gorgo di una inconsistenza politico-progettuale che da un lato ne esaspera i tratti convenzionali di soggezione all’alleato americano, dall’altra sembra averla irretita in un semi-consapevole cupio dissolvi, di cui l’obliqua e ottusa partecipazione alla guerra in Ucraina sembrerebbe testimoniare i tratti tragici dell’autoannullamento, in una sorta di ipnotico incantamento per la propria eterogenesi dei fini. Un’Europa , passata dalle professioni di fede “neo-kantiane” al piano inclinato di un “suicidio assistito”, “scomparsa appresso alla NATO” (p. 168), del tutto incapace di pensarsi soggetto autonomo o “terzo” nell’attuale congiuntura, costringe Todd a evocare la nozione di “mistero”, che si fa sempre più “fitto”, per cercar di orientarsi in un agire a dir poco controproducente [6]. Atteso, infatti, che “la Russia non rappresenta alcuna minaccia per l’Europa occidentale”, e che, soprattutto a partire dalla controffensiva del giugno 2023, era chiaro che essa non sarebbe stata sconfitta, l’”ostinazione dei leader europei sta diventando un fenomeno intrigante”, confermando che “gli obiettivi ufficiali del conflitto si basano su una visione aberrante della realtà” (p. 172). Se non di un fallimento epocale, di che altro si tratta?

Né lo “sparigliatore” Trump ne allevia le pene, se è vero che la deflagrante irruzione del tycoon rovescia il tavolo della politica internazionale, provocandone lo sbigottimento isterico e la paralisi decisionale, ben espressa dal draghiano “non so cosa, ma fate qualcosa!”, vera silloge dello stato confusionale nel quale la vacua Unione Europea già prodiana versa, dopo aver a suo tempo ambito a farsi regolatore ed equilibratore della vita mondiale e aver incarnato orgogliosa il ruolo di front runner nella schiera della guerra alle “autocrazie”, pompando risorse nella causa persa del “guitto” (il solito Fusaro) Zelensky

Contabilizzando ma sormontando le vicissitudini “locali” del nostro continente, Todd illumina e spiega la deriva globale, che riverbera i suoi veleni sull’intera comunità umana, nelle tante e sfumate articolazioni della sua riflessione. Mostra come la metonimia “bianca” giunga così a una resa dei conti con se stessa e le proprie miserie, ne svela il falso universalismo, mentre trascina il mondo nella sua stessa rovina. La sua analisi va a rafforzare quella suggestione declinista, che da alcuni decenni inquieta i sogni dei settori più avvertiti della società e della cultura. E la cui gestione, da parte delle attuali classi dirigenti dell’Occidente, può solo prefigurare il pozzo senza fondo della guerra di tutti contro tutti. 

 Note:

  1. “A emergere sarà una verità semplice: la crisi dell’Occidente è il motore del momento storico che stiamo vivendo ora” ( … ) e quando la guerra [in Ucraina, NdR] sarà finita nessuno potrà più negarlo” (p. 52)

  1. “La globalizzazione non è stata altro che una ricolonizzazione del mondo da parte dell’Occidente, questa volta sotto la guida americana…” (p. 300)

  1. In Filosofico.net, 30 giugno 2024

  1. “L’estinzione religiosa ( … ) ha condotto alla scomparsa della morale sociale e del sentimento collettivo” (p. 48).

5.“… l’emergere di uno stato zero della religione ha spazzato via il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, il concetto di una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per una comunità ( … )” (p. 163)

6.“Per quale motivo, in assenza di qualsiasi minaccia militare, gli europei, e in particolare il nucleo dei sei paesi originari, si sono impegnati in un conflitto così contrario ai loro interessi e il cui intento ufficiale è così moralmente dubbio?” (p. 172).

21/02/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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