Proprio all’inizio de L’imperialismo fase suprema del capitalismo Lenin sente il bisogno di chiarire: “nelle pagine seguenti vogliamo fare il tentativo di esporre con la massima brevità, e in forma quanto più si possa accessibile a tutti, la connessione e i rapporti reciproci tra le caratteristiche economiche fondamentali dell’imperialismo. Non ci occuperemo, benché lo meritino, dei dati non economici del problema” [1]. Dunque si tratta di un saggio popolare, in quanto in esso il suo autore si sforza di sintetizzare al massimo e di rendere comprensibili potenzialmente a tutti i possibili lettori gli ampi studi che aveva condotto sull’imperialismo. Inoltre, in parte per aggirare i problemi della censura zarista, in parte per contrastare le concezioni revisioniste esemplarmente rappresentate dall’Ultraimperialismo di Kautsky, Lenin ci tiene a precisare che nel suo celebre opuscolo si analizza in un’ottica necessariamente parziale il fenomeno più complesso dell’imperialismo, in quanto si indagano esclusivamente gli aspetti economici della questione. Le precisazioni sono importanti in quanto costituiscono un essenziale anticorpo a ogni interpretazione dogmatica, semplicistica ed economicista dell’opera di Lenin. In effetti, se i revisionisti ai tempi di Lenin non tenevano nel dovuto conto gli aspetti economici del concetto di imperialismo (capitalistico), oggi si cade spesso nell’errore opposto, cioè non si prendono in considerazione gli altri aspetti della questione, sebbene come precisa Lenin “lo meritino”, a partire dai risvolti politici, benché in particolare questi ultimi siano incontestabili persino dal punto di vista del senso comune. Andare contro il riduzionismo politicista del senso comune e delle concezioni borghesi e antileniniste dell’imperialismo non può portare a una negazione astratta e assoluta degli aspetti politici, che naturalmente caratterizzano anche l’imperialismo inteso come fase superiore e suprema del capitalismo. Al contrario, la negazione per essere dialettica, deve essere sempre determinata, cioè bisogna togliere gli aspetti unilaterali, cioè il riduzionismo politicista, ma tesaurizzare gli aspetti validi, ovvero che l’imperialismo non ha solo un significato economico.
Ciò non toglie che l’aspetto economico sia essenziale per comprendere la forma attuale dell’imperialismo e, più in generale, l’imperialismo quale fase di sviluppo del capitalismo. Così, per riassumere la genesi storica dell’imperialismo capitalista, può essere utile un parallelismo con la parabola di involuzione in senso monopolista del capitalismo. Come osserva Lenin, a tal proposito, “pertanto i risultati fondamentali della storia del monopolio sono i seguenti: 1) 1860-1870, apogeo della libera concorrenza. I monopoli sono soltanto in embrione. 2) Dopo la crisi del 1873, ampio sviluppo dei cartelli. Sono però ancora l’eccezione e non sono ancora stabili. Sono un fenomeno di transizione. 3) Ascesa degli affari alla fine del secolo XIX e crisi del 1900-1903. I cartelli diventano una delle basi di tutta la vita economica. Il capitalismo si è trasformato in imperialismo” (50). Il parallelismo fra la dinamica economica e la dinamica politica dello sviluppo dell’imperialismo è del resto ben evidenziata da Lenin quando ricorda: “il periodo di massimo sviluppo del capitalismo premonopolistico, col predominio della libera concorrenza, cade tra il sesto e il settimo decennio. Ora vediamo che specialmente dopo tale periodo s’inizia un immenso «sviluppo» delle conquiste coloniali e si acuisce all’estremo la lotta per la ripartizione territoriale del mondo” (118). Dunque di contro al revisionismo e al riduzionismo politicista, che porta ancora oggi troppi comunisti a meravigliarsi che anche i governi di “sinistra” dei paesi a capitalismo avanzato portino avanti una politica filoimperialista – necessaria a meno che non si intenda superare questo modo di produzione nel senso della transizione al socialismo – occorre sempre ricordare che “è quindi fuori discussione il fatto che al trapasso del capitalismo alla fase del capitalismo monopolistico finanziario è collegato un inasprimento della lotta per la ripartizione del mondo” (118). Quindi, è la stessa storia che non fa che dimostrate l’esattezza delle concezioni di Lenin contro le teorie revisioniste dell’ultraimperialismo, dell’impero o dell’imperialismo transnazionale. Tali cattive interpretazioni non tengono nel dovuto conto che anche la negazione della libera concorrenza da parte del monopolio avviene sempre in modo determinato e non assoluto, tanto che la concorrenza si riproduce sul piano più elevato della concorrenza fra monopoli. Questi ultimi, in quanto naturalmente è l’economica società civile ad avere il sopravvento sullo Stato politico nella società capitalista, porteranno a un sempre più generalizzato conflitto e scontro fra Stati. Anche l’attuale conflitto in Ucraina ha questa natura, è la politica dei paesi imperialisti a capitalismo avanzato a tendere a portare a termine la spartizione del mondo, prendendo il controllo delle repubbliche ex sovietiche e questo non può che portare a un conflitto con la Russia che si sente sempre più accerchiata e minacciata. La Russia a sua volta finisce inevitabilmente con l’entrare in competizione con Stati uniti e Unione europea in primo luogo, con Turchia e Giappone in secondo luogo, per la spartizione del mondo in aree di influenza. Un po’ come avveniva per la Russia zarista o l’Italia giolittiana, che pur non essendo imperialiste nel senso di giunte alla fase suprema di sviluppo del capitalismo, portavano avanti delle politiche imperialiste per motivi di prestigio interno e internazionale e per mantenere un equilibrio rispetto ai paesi imperialisti a capitalismo avanzato, in cui l’espansione colonialista è imposta come indispensabile dal tentativo di aggirare, o meglio rinviare o attutire gli effetti negativi della crisi di sovrapproduzione.
Tornando al parallelismo fra sviluppo economico del capitalismo in senso monopolistico e spartizione del mondo fra potenze imperialiste osserva Lenin: “la salvezza sta nei monopoli – dicevano i capitalisti – e formavano cartelli, sindacati e trust; la salvezza sta nei monopoli, tenevano bordone i capi politici della borghesia e si affrettavano ad arraffare le parti del mondo non ancora divise” (119). Come si vede chiaramente vi è, a conferma della validità del materialismo storico, una priorità delle strutture economiche rispetto alle sovrastrutture politiche e una dipendenza dei capi di governo rispetto alla loro classe (borghese) di riferimento alla quale “tengono bordone”.
Il passaggio dal capitalismo originario alla sua fase imperialista è databile all’inizio del Novecento. Vediamo, ancora una volta, innanzitutto la base materiale, economica di questa metamorfosi: “l’inizio del secolo XX rappresenta un’epoca che segna una svolta non solo, come già si è detto, nei riguardi dell’incremento dei monopoli (cartelli, sindacati, trust) ma anche nei riguardi del capitale finanziario” (96). E ancora, in modo ancora più esplicito: “l’inizio del secolo XX segna il punto critico del passaggio dall’antico al nuovo capitalismo, dal dominio del capitale in generale al dominio del capitale finanziario” (79). Ed ecco subito la conseguenza, sul piano sovrastrutturale, delle politiche imperialiste: “allorché furono occupati già nove decimi dell’Africa (verso il 1900), allorché fu terminata la divisione del mondo, allora, com’era inevitabile, s’inizio l’età del possesso monopolistico delle colonie, e quindi anche di una lotta particolarmente intensa per la spartizione e ripartizione del mondo” (174). Ancora una volta emerge il fondamento economico delle guerre che caratterizzano la nostra età dell’imperialismo: il monopolismo e il domino del capitale finanziario. Perciò se si vuole realmente la fine delle attuali guerre (imperialiste in massima parte) si deve conseguentemente volere la fine del capitalismo, almeno nella sua necessaria forma di sviluppo imperialista.
Un altro aspetto che è importante chiarire, in risposta a le posizioni inconsapevolmente revisioniste che considerano superata la problematica fondamentale messa in evidenza dal marxismo dell’aristocrazia operaia, quale principale ostacolo alla realizzazione della rivoluzione in occidente, è che “tanto la disuguaglianza di sviluppo che lo stato di semiaffamamento delle masse sono essenziali e inevitabili condizioni e premesse di questo sistema della produzione”. Dunque, sottolinea a ragione Lenin, “finché il capitalismo resta tale, l’eccedenza dei capitali non sarà impiegata a elevare il tenore di vita delle masse del rispettivo paese, perché ciò importerebbe diminuzione dei profitti dei capitalisti, ma ad elevare tali profitti mediante l’esportazione all’estero, nei paesi meno progrediti” (99). È dunque evidente che l’aristocrazia operaia, come del resto anche il termine stesso chiarisce, non si riferisce alle condizioni di vita del proletariato in generale o addirittura del sottoproletariato, quanto piuttosto di quei burocrati sindacalisti e agli istituzionali dei partiti di sinistra che sono, di fatto. comprati dal padronato mediante gli extraprofitti messi a disposizione dalle politiche imperialiste.
Un altro aspetto significativo e attuale del ragionamento di Lenin, che mette in luce le posizioni volgarmente ideologiche di Schumpeter e dei suoi apologeti della a-sinistra, è che quella in corso “non è più la lotta di concorrenza tra aziende piccole e grandi, tra aziende tecnicamente arretrate e aziende progredite, ma lo iugulamento [strozzare, scannare; spesso fig., costringere uno a fare qualche cosa, imporgli condizioni inique, approfittando di un suo stato d’inferiorità], per opera dei monopoli, di chiunque tenti di sottrarsi al monopolio, alla sua oppressione, al suo arbitrio” (55). Non si tratta, dunque, come vorrebbero far credere gli schumpeteriani, di un aspetto in fin dei conti positivo del capitalismo sviluppato, per cui le aziende progredite hanno al meglio su quelle arretrate, ma del fatto che i monopoli, in barba a ogni forma di libera concorrenza, strozzano chiunque osi sottrarsi al loro arbitrario dispotismo, proprio al contrario degli aspetti progressivi della libera concorrenza.
Note:
[1] Lenin, Vladimir, Ilic, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Laboratorio politico, Napoli 1994, p. 42. D’ora in poi indicheremo direttamente nel testo, per i brani citati da quest’opera, il numero di pagina in parentesi quadre di questa edizione.