Tortura e carceri, un male tutto italiano. Intervista a Giovanni Russo Spena

“Ho assistito, in Parlamento, a dibattiti sconvolgenti. Ho sentito parlamentari dire che non può essere punita la sofferenza psichica prodotta dalla tortura. O che la tortura, per essere tale, deve essere ‘reiterata’. Abbiamo sentito il governo spiegare che in Italia manca un reato specifico, perché la tortura è ‘lontana dalla nostra mentalità’”.


Tortura e carceri, un male tutto italiano. Intervista a Giovanni Russo Spena

Dopo 30 anni dall’impegno con la convenzione internazionale, nel codice penale italiano non c’è ancora il reato di tortura. Il principio dell’ “habeas corpus” va difeso. La vittoria a Strasburgo del compagno Arnaldo Cestaro. L’Italia condannata dalla Corte europea. Il sovraffollamento nelle carceri. La situazione attuale nei penitenziari

di Alba Vastano  

“Ho assistito, in Parlamento, a dibattiti sconvolgenti. Ho sentito parlamentari dire che non può essere punita la sofferenza psichica prodotta dalla tortura. O che la tortura, per essere tale, deve essere ‘reiterata’. Abbiamo sentito il governo spiegare che in Italia manca un reato specifico, perché la tortura è ‘lontana dalla nostra mentalità’”.

Una testimonianza coraggiosa che da sola genera inquietudine profonda e rabbia in chi si batte affinché la giustizia faccia il suo corso e sia uguale per tutti. È di Russo Spena, ex senatore di Rifondazione comunista nella X, XI e XIV legislatura. Una vita da militante spesa per la difesa dei diritti e per il garantismo sociale. Partecipa ai comitati per la difesa della Costituzione. È membro del comitato politico nazionale del Prc. Un politico impegnato quotidianamente nella lotta alle repressioni, alla corruzione, alle politiche liberiste.

 

Russo Spena, perché la tortura non è ancora reato in Italia? Dopo il voto favorevole espresso dalla Camera dei deputati, il 10 aprile u.s., qualcosa finalmente cambia?

La tortura è un crimine specifico, non generico. Ha radici antiche. È stato, per lunghi tratti della storia dell'umanità, un mezzo di prova consentito. Lo è tuttora in Paesi importanti. Basti pensare al dibattito pubblico tra gli stessi giuristi in sistemi giuridici pur così diversi come Usa, Israele, Paesi arabi. In Europa fu l'Illuminismo a considerare la tortura una barbarie. Ad oggi, nel paese di Beccaria, “Dei delitti e delle pene”, abbiamo più di cinquemila leggi penali, ma non il reato di tortura nel codice penale. Eppure, da quasi 30 anni, l'Italia si è impegnata formalmente con le Nazioni Unite, firmando la convenzione internazionale, ad introdurre il reato. È una storia che allude al prevalere dei poteri militari e della loro impunità rispetto alle forze politiche, comprese quelle di centrosinistra. La stragrande maggioranza dei sindacati di polizia è stata sempre contraria. In Parlamento, anche nei confronti delle proposte del gruppo parlamentare Prc, è sempre prevalsa la tecnica dilatoria delle forze di destra e di parte del centrosinistra. Abbiamo raccolto, insieme a tante organizzazioni, associazioni e centri sociali decine di migliaia di firme in calce ad una proposta di legge di iniziativa popolare che riproponeva letteralmente le parole della definizione Onu, secondo cui la tortura è un delitto proprio del pubblico ufficiale. Chi è in mano ad un agente della forze dell'ordine non deve essere torturato. La sua vita va difesa come fosse quella del carceriere. È il principio del pretore romano dell’“habeas corpus” su cui si fonda il nostro stesso stato di diritto. La tortura riguarda, quindi, sempre la sfera pubblica, statuale, sia che concerne l'acquisizione di prove estorte, sia il potere di vessazione del sovrano che punisce il disobbediente. La tortura non riguarda, quindi, le relazioni tra privati (che configurano violenza e altri reati simili).

 

Parliamo della Diaz. Strasburgo ha dato ragione ad Arnaldo Cestaro ed ha condannato l’Italia. Cosa accadrà ai responsabili delle torture. Saranno infine condannati? 

Ora, finalmente, dopo la pesante condanna da parte della Corte europea, che abbiamo fortemente voluto (il ricorso è stato presentato dal nostro splendido compagno Arnaldo, torturato dentro la Diaz a Genova) a 14 anni dal luglio 2001 del G8 di Genova e della uccisione di Carlo Giuliani, in fretta e furia un ramo del parlamento ha introdotto il reato di tortura. Non ancora i codici identificativi dei poliziotti (il minimo per uno stato di diritto). Non a caso, in assenza del reato di tortura, la magistratura ha irrogato pene lievi per i responsabili. Nessuno di loro ha trascorso nemmeno un giorno in carcere e tutti sono ancora ai loro posti (tranne quelli rimossi automaticamente dai magistrati). Molti dei condannati sono stati addirittura promossi. De Gennaro, uomo degli Usa, della Nato, di Napolitano e del Pd è il funzionario più potente d'Italia. La legge approvata alla Camera (che rischia di essere peggiorata al Senato) non riconosce la tortura, come prevede la Convenzione,come fattispecie specifica per i funzionari pubblici. Perché il governo usa il potere militare per reprimere dissensi e movimenti assicurando in cambio l'impunità. Il potere teorizza lo "stato di eccezione".

Alti magistrati (non bolscevichi, vi assicuro) sostengono che la legge al Senato va migliorata, perché l'attuale testo non è detto fosse applicabile alle torture alla Diaz. Il testo attuale, infatti, scrive: "per essere considerate torture le violenze e le minacce devono cagionare acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale ...". Alla Diaz i massacrati non erano "privati della libertà personale". Inoltre, solo il reato connesso specificamente all'azione di un funzionario dello Stato non si prescrive. È ovvio sostenere, come fanno molti parlamentari democratici, che è meglio avere una legge mediocre (che, comunque, aumenta le pene ed è un deterrente) che nessuna legge. Ma non dobbiamo arrenderci a questo ricatto. Come giuristi democratici, infatti, già pensiamo ad azioni giurisdizionali future. Stiamo anche costruendo assemblee con settori di movimento, sindacalismo militante, ecc. 

Passiamo al sistema carcerario. Con il decreto sfolla-carceri che ha concesso uno sconto del 10%della pena e risarcimenti in denaro ai detenuti che hanno sofferto per una detenzione molto critica dovuta al sovraffollamento, sembra che la situazione di vivibilità all’interno delle case di pena sia lievemente migliorata. Anche se ci sono ancora almeno 5000 detenuti in eccedenza. Qual è in effetti l’attuale situazione rispetto al sovraffollamento nelle carceri italiane?

Il regime carcerario italiano è incostituzionale e fuorilegge in base alle normative europee. Basti pensare al numero dei detenuti in custodia cautelare. Siamo ad un record negativo europeo (il 54% della popolazione carceraria). Il dettato costituzionale sulla presunzione di non colpevolezza è calpestato. Non dimentichiamo che l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sia per la mancata introduzione del reato di tortura sia perché i detenuti sono costretti a vivere in soli 7 metri quadrati di spazio. Vi è un conflitto strutturale, di sistema tra ossessione sicuritaria (e conseguente bulimia carceraria) da una parte, e garantismo sociale (diritto penale "minimo") dall'altra parte. Con previsione di pene diverse dal carcere, che deve diventare luogo afflittivo di ultima istanza. Penso che, contro quell'amnistia surrettizia dei "colletti bianchi", ricchi e con buoni avvocati, che si chiama prescrizione automatica per ingolfamento del sistema giudiziario, occorra una politica egualitaria vera e scientifica di indulto e di amnistia condizionata, collegata a quella che chiamiamo "detenzione sociale". Il carcere e la giustizia sono sempre più classisti. In carcere oltre tre quarti sono immigrati, tossicodipendenti, poveri "cristi", border line, militanti del conflitto sociale. Mentre il governo, nonostante le pronunce di incostituzionalità, continua a difendere leggi come la Bossi Fini, la proibizionista Fini Giovanardi, la ex Cirielli (incredibile e infame, perché i dati ufficiali parlano chiaro: chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva superiore al 60%; chi usufruisce di pene alternative ha una recidività inferiore al 15%).

Dovremmo darci, allora, come militanti democratici e comunisti, di fronte a riforma del governo e del Parlamento mediocri e molto modeste, due parole d'ordine: decarcerizzazione e depenalizzazione. È evidente, invece, che occorrerebbe varare riforme radicali e reali tese ad abrogare il codice penale fascista, mettendo mano al progetto di un nuovo codice penale, che innovi profondamente nella tipologia dei reati (oggi fondata soprattutto su reati contro la proprietà) e nel sistema sanzionatorio. Prevediamo, infatti, sanzioni detentive non carcerarie ma, soprattutto, pene non detentive (interdittive, prescrittive, oblative e, previo consenso del condannato, attività riparatorie e lavori socialmente utili). Pene irrogate, in caso di condanna, già dal giudice di merito. Mi interessa molto sottolineare la necessità di un nuovo garantismo sociale. Non a caso vengono colpiti, dalla custodia cautelare in carcere, movimenti e avanguardie conflittuali. Penso ai processi contro i No Tav, i No Muos, gli antifascisti, il diritto all'abitare, ecc. 

Insomma, è stato delegato all'ordinamento penale il contenimento forzato e violento delle soggettività critiche che pongono il tema dell'alternativa. E, guarda caso, la "pericolosità sociale" del militante viene valutata in base alla sua combattività. Sostanzialmente, per farla breve, alcune decisioni di arresto a Roma sono avvenute su questa considerazione: “Nunzio D'Erme è comunista, è un'avanguardia autorevole e, quindi, al di là delle modalità di fatto,va arrestato perché è proclive alla reiterazione”.

 

Alle vittime delle torture nelle carceri, alle vittime della Diaz, alle famiglie Cucchi, Aldrovandi, Uva, Verbano e alle altre che hanno perso un loro caro picchiato selvaggiamente fino alla morte dalle forze dell’ordine, cosa resta da fare per rivendicare i loro cari e per avere giustizia? In cosa possono sperare, dopo gli ultimi processi che hanno dimostrato che la legge non è uguale per tutti?

Nelle carceri, come nelle caserme, nelle "salette" delle questure, nelle galere etniche è ridiventata (anche per uno sfibramento della coscienza democratica e per una bancarotta ideale ed etica del centrosinistra) pratica sistematica la tortura. Pensiamo ai tanti Stefano Cucchi quotidiani, spesso ignoti. Non penso che l'introduzione del reato di tortura nel codice penale (speriamo prossima, anche se la legge sarà, come abbiamo detto, mediocre e incompleta) possa agire su procedimenti giudiziari del passato. Anche se, in casi di sentenze manifestamente scandalose, come la recente che ha assolto gli imputati del delitto Cucchi, le Procure potrebbero intervenire, perché devono valutare i fatti in base ad una tipologia nuova di reato, che è, tra l'altro, non prescrittibile. Questo può portare a risarcimenti dei familiari delle vittime molto più alti ed intensi, come pubblico riconoscimento della gravità dell'offesa subita. 

Vorrei, in conclusione, fare un'ultima considerazione che pare, a me, rilevante. La "governabilità" si nutre, sempre più di "stati di eccezione". I governi pongono in essere strategie di contenimento sociale per risolvere, con la repressione, l'insorgenza del conflitto sociale. Il governo teme, nella recessione, "tempi di rivolta". Quanta democrazia sopporta il capitalismo in questo contesto? Capitalismo e democrazia appaiono sempre più incompatibili. Crescono le "zone rosse", le zone militari, già sperimentate in Val Susa, nella "terra dei fuochi" napoletana, ecc. 

Penso a norme incivili come la legge Lupi contro diritti di residenza e cittadinanza. L'avanzamento dello "stato penale globale" va di pari passo con il dissolversi dello Stato sociale, con la spoliazione privatistica dei beni comuni, dei saperi, della formazione. Siamo immersi dentro lo "Stato del controllo". Il mercato del lavoro precarizzato proietta la sua intrinseca violenza sulle istituzioni, che mettono a punto strumenti repressivi sempre più aspri e sofisticati. L'immaginario della sicurezza imposta (anche attraverso i mass media, pensiamo alle campagne contro Rom e Sinti) la percezione di insicurezza indotta diventano metafora di una nuova "legge marziale". 

In questo contesto dobbiamo anche sviluppare una campagna sul diritto costituzionale alla "resistenza" contro l'assolutismo della "ragion di Stato". I poveri sono considerati, come due secoli fa, "classe pericolosa". Il potere combatte i poveri, non la povertà. Dobbiamo sapere che lotta anticapitalista e lotta per gli spazi di libertà, contro la repressione, sono sempre più intrecciati. Diventi una strategia unitaria.

25/04/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alba Vastano

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