Il dibattito sul ritorno o meno del fascismo a un secolo esatto dalla marcia su Roma, appare per molti versi assolutamente paradossale, evidenziando per l’ennesima volta la scarsa qualità intellettuale della gran parte dei commentatori italici, siano essi politici, giornalisti o altro.
Sembra quasi che taluni di costoro si aspettino o temano il ritorno dalle tenebre dell’aldilà di energumeni in fez e orbace, dotati di manganelli, magari elettrificati per adeguarli ai tempi tecnologici che viviamo. E che lancino oscure profezie su possibili liquidazioni rapide e brutali dell’attuale regime “democratico”.
Le cose, ovviamente, non stanno affatto così. Ma se è indiscutibile la provenienza di Giorgia Meloni, del neopresidente (eletto col probabile appoggio occulto dei renziani, di qualche calendiano e di qualche piddino) La Russa e di altri loro accoliti, dal ventre maleodorante della tradizione fascista, occorrerà pure porsi qualche domanda sul melonismo, come possibile fascismo per il Terzo Millennio.
La prima cosa che va detta, al riguardo, è che, oggi come ieri, il fascismo si configura come carta di riserva del capitale. Da questo punto di vista impossibile non rilevare come l’avvento al potere della Meloni sia stato fortemente agevolato e favorito dalle scelte del gruppo dirigente del PD, con alla testa il geniale stratega Enrico Letta, il quale prima, appoggiando il governo Draghi ha consentito alla Meloni di pavoneggiarsi come unica opposizione esistente ai “Migliori”, e poi, liquidando senza motivo apparente l’alleanza coi Cinquestelle, ha permesso alla destra di vincere facilmente nella grande maggioranza dei collegi uninominali e di accumulare così, senza proprio merito ma a causa della stupidità altrui, un notevole vantaggio in termini di seggi parlamentari.
Difficile capire fino a che punto questa serie di sbagli madornali risponda a una precisa strategia volta alla propria sconfitta o se si tratti solo di demenza più o meno senile e di incapacità totale di comprendere la realtà da parte di un partito ridotto oramai solo a un branco di rappresentanti istituzionali. Il tribunale della storia non provvede d’altronde solitamente a distinzioni sottili buone per i legulei, come quelle tra dolo e colpa grave. L’elemento importante da cogliere è che si è data una situazione del tipo di quella che stiamo vivendo e che tale situazione si dà per i motivi accennati.
Diciamo però pure che il governo dei “Migliori”, apprezzato solamente da ristretti gruppi sociali più che altro direttamente collegati al ceto politico, era ormai logoro, e che si necessitava un cambio di pelle, ma per portare avanti lo stesso progetto complessivo del capitale che è comune nella maggior parte dei suoi aspetti a Draghi e Meloni.
Questo mi pare il punto fondamentale che conferma l’assunto che il fascismo, oggi come cento anni fa, costituisce una carta di riserva o se volete di ricambio per il capitale. Identici sono infatti i capisaldi del programma dragomeloniano, e sono essenzialmente due: salvaguardia ad ogni costo dei profitti nell’attuale situazione di acuta difficoltà sociale determinata da guerra, pandemia e devastazioni ambientali, da un lato, e supina subalternità agli Stati Uniti e alla NATO fino al sacrificio supremo nell’olocausto nucleare purtroppo possibile, dall’altro.
Su entrambi tali terreni non è infatti possibile cogliere alcuna differenza significativa tra Draghi e Meloni, se non un’ulteriore accelerazione che peraltro sembra più rispondere alle dinamiche proprie della crisi che a presunte differenze qualitative tra i soggetti politici in campo e i rispettivi progetti.
Non esiste quindi alcun valore aggiunto politico, sociale e culturale che le destre, e in particolare la loro componente meloniana, siano in grado di apportare a tale progetto complessivo del capitale italiano nella difficilissima e per molti versi drammatica situazione che stiamo vivendo?
Vediamo partitamente le varie componenti. Forza Italia del vecchio Berlusconi, oramai definitivamente avviato verso il tramonto, sembra più che altro attenta, more solito, alle faccende del suo stagionatissimo leader, che dimostra peraltro, oltre alla verve espressa nel gustoso vaffa rivolto a La Russa, la sua proverbiale concretezza che gli fa in ultima analisi considerare importanti solo i ministeri (giustizia e telecomunicazioni) direttamente legati ai suoi interessi, al punto da reputare tutto sommato secondario il fatto che il Ministero degli affari esteri sia attribuito a un esponente del proprio raggruppamento politico, quale lo sbiadito Tajani. Infatti il vecchio volpone sa bene che chiunque vada agli Esteri sarebbe uno yesman totalmente sottomesso ai voleri dell’alleato occidentale, tanto è vero che alla Farnesina abbiamo avuto finora l’improbabile Di Maio, la cui unica attività degna di nota e in qualche modo onorevole è stata il contrabbando di vaccini con l’Albania.
La Lega, in evidente crisi di consensi e di prospettiva, si aggrappa al gruppo dirigente oramai screditato, con in testa Salvini, che tenta di replicare stancamente il suo repertorio antimigranti, e il suo subalterno Giorgetti, riciclato all’Economia in qualità di improbabile tecnico, mentre qualcuno sullo sfondo si affanna a riesumare parole d’ordine e temi dell’era bossiana, incentrati sostanzialmente sulla parola d’ordine dell’autonomia differenziata, fatta propria peraltro ora dalla maggioranza dell’arco costituzionale con in testa il papabile nuovo segretario del PD Bonaccini. Per altri versi Salvini & C. imitano FdI che, con ben maggiore tempismo e la scelta vincente di non entrare nel governo Draghi, li aveva imitati a sua volta. Scimmiottamento reciproco continuo a destra, quindi, alla ricerca spasmodica di una connessione sentimentale con un popolo sempre più disorientato di cui tende come al solito a solleticare le peggiori pulsioni. Tanto la sedicente sinistra non fa neanche quello è si limita a rimbrottare stancamente gli avversari ironizzando sugli errori di ortografia del plurilaureato Fontana o lanciando patetici allarmi su presunto putinismo di questo stesso o di altri, in una vergognosa gara a chi è più atlantista, laddove ogni dissociazione dal verbo di Biden, Blinken e Stoltenberg costa infondate accuse di complicità colla Russia.
Fratelli d’Italia, infine, presenta un’identità nettamente bipolare se non schizofrenica, oscillando fra la Giorgia buona che garantisce la continuità con Draghi e quella cattiva che sfodera il peggiore bagaglio identitario della destra intervenendo poco prima delle elezioni al comizio di Vox. Ma a ben vedere la schizofrenia è solo apparente e le due Giorgie possono ben essere riconciliate tra di loro. Si teme fortemente, quindi, che omofobia, razzismo scippato a Salvini e, a dispetto dell’identità di genere della sua leader, maschilismo, con conseguente riduzione dei diritti delle donne, a cominciare da quelli riproduttivi, costituiranno il nuovo condimento per il progetto del Capitale. Non pare del resto che Draghi & C. si siano fatti particolarmente notare sul terreno dei diritti civili. Presidenzialismo, annullamento dell’autonomia della magistratura e istituzionalizzazione compiuta dei diversi livelli di sviluppo del Paese costituiscono per altri versi altrettanti tasselli di un progetto di ristrutturazione normativa filopadronale che ha per obiettivo la liquidazione della Costituzione repubblicana e che, prima che della Meloni, fu fatto proprio da Gelli, Renzi e numerosi altri esponenti della vera destra e della finta sinistra.
La Giorgia nazionale procede alla formazione del nuovo governo con intelligenza ed efficienza. Il ridimensionamento di Berlusconi e delle sue ben note peculiarità fa parte a buon diritto di un progetto di razionalizzazione promosso dal Capitale interno e internazionale e così pure ne fa parte la melonizzazione della Lega. Berlusconi del resto è oramai bollito e si affanna a salvare il salvabile, essenzialmente le sue aziende, mentre su altri temi di suo diretto e personale interesse, come la museruola ai giudici, è totale la comunanza d’intenti non solo nella destra.
Forse l’approccio padronale ancora più sfacciato che si preannuncia determinerà il venire in essere di reazioni degne di nota da parte del popolo italiano, che risulta in misura crescente estraneo all’andazzo deprimente delle sue forze politiche. E si spera che ritorni in campo l’antifascismo vero, da non confondere con quello strumentale e finto di Letta & C. La riscossa è quindi possibile. Sempre a condizione che si creino condizioni adeguate di auto-organizzazione e una relazione costruttiva con coloro che ancora ambiscono a porre le basi della necessaria alternativa politica, sociale e culturale, di cui l’Italia, l’Europa e il mondo hanno urgente bisogno.
Si potrebbe in quest’ottica sperare che gli storici del futuro, se mai ci sarà un futuro, possano constatare come il fascismo meloniano e le sue varianti sparse per il mondo, da Bolsonaro ai polacchi, da Vox alla Le Pen, abbiano costituito l’ultimo grido del vecchio mondo in sfacelo che ha preceduto la nascita del mondo nuovo. Ma, oltre che sperare si dovrebbe operare in tal senso rilanciando l’auto-organizzazione politica e sociale del popolo italiano e creando la forza politica unitaria ed alternativa di cui abbiamo oggi più che mai bisogno, come dell’aria per respirare.