Lotta di classe o lotta tra poveri?

Contro il razzismo non basta l’etica, occorre la lotta di classe nei luoghi di lavoro.


Lotta di classe o lotta tra poveri?

“L’antisemitismo è il socialismo degli idioti” diceva Lenin e si potrebbe estendere la sua definizione al razzismo in genere. Tuttavia la constatazione deve essere approfondita, nel senso che è necessario capire la natura di tale “idiozia”, che non è poi principalmente una deficienza individuale, ma uno stato di coscienza ideologica, ovvero condizionato socialmente.

Nell’Italia di questi giorni caldi e faticosi, si spara alle bambine rom dai balconi di Roma, agli operai dalla pelle nera in Veneto, si uccide il compagno sindacalista dell’Usb Soumaila Sacko in Calabria e, ancora pochi giorni fa, un cittadino marocchino ad Aprilia in provincia di Latina e, infine, si ferisce un’atleta “di colore” a Torino. Ma l’epidemia del razzismo si era diffusa in Italia già molto tempo prima che l’ex frequentatore del Leoncavallo, poi sostenitore del federalismo, quindi “comunista padano”, successivamente secessionista e, infine, “nazional-populista” occupasse lo scranno del Viminale. Tuttavia, le quotidiane esternazioni di Matteo Salvini su presunte invasioni di immigrati, sui loro ancor più presunti privilegi e sulla loro immaginaria pericolosità sociale potenziano il virus e conferiscono la legittimità atta a rendere esplicite queste posizioni senza troppi prezzi da pagare, a renderle opinioni tra le altre, temi nella pubblica agenda insomma.

L’antirazzismo etico

L’irrompere di questa propaganda nelle vene del dibattito pubblico italiano provoca anche una immediata e naturale opposizione di tipo etico. Essa si manifesta naturalmente in una larga parte del mondo cattolico, in particolare in quello impegnato nel volontariato solidale con la sorte degli ultimi della società, italiani o stranieri che siano.

Suscita, inoltre, un’avversione molto forte in quella parte della cosiddetta società civile (leggasi piccola borghesia) arruolatasi più volte nel corso degli ultimi decenni nelle tante battaglie contro la corruzione, la mafia, per i diritti civili, contro il conflitto d’interesse tra il potere mediatico-economico e quello politico, per la difesa dell’ambiente e dei beni culturali. Battaglie promosse da diversi soggetti politici (Radicali, le mille sigle della sinistra socialdemocratica dal Pds a Sel, l’Italia dei Valori, la Rete, in parte gli stessi 5 Stelle, ecc.) e molto spesso approdate a esiti piuttosto deludenti. Si tratta di un segmento sociale in grande sofferenza che vede aggiungersi a una condizione materiale in declino (si pensi ai lavoratori della scuola pubblica e della pubblica amministrazione in genere), una delusione per le aspettative mancate derivanti dalla modernizzazione del Paese e dall’integrazione nell’Unione Europea e dalla obiettiva aggressione nei confronti della propria identità culturale e sociale che portano innanzi forze politiche come la Lega e la Destra radicale in genere.

Questi attori sociali sono portatori di un antirazzismo di tipo etico e bisogna riconoscere che sono i primi soggetti attivi di una resistenza accanita al processo in atto di diffusione del razzismo. In diversi momenti storici, questo tipo di opposizione etica e, pertanto, ideologica a fenomeni regressivi si è rivelata una fonte preziosa di energie morali e un alleato prezioso per il movimento operaio e per i comunisti in particolare. Basti pensare alla figura di intellettuali coraggiosi come Matteotti all’alba del fascismo o ai tanti giovani cattolici che aderirono alla Resistenza dopo l’8 settembre.

Ma, l’opposizione etica ha dei limiti e dei confini sociali ben precisi che di fatto la relegano a una parte delle classi medie (quella più avanzata) e, prendendo come riferimento la divisione del lavoro, quella dedita al lavoro intellettuale. In un paese come l’Italia che declina dal punto di vista produttivo e si inserisce sempre più in un ruolo subordinato nella catena europea di produzione del valore come conto terzista dell’industria tedesca, questo strato di lavoratori vede anche un suo proprio declino sociale e pertanto anche politico: sempre meno formatori della nuova classe dirigente; sempre più organi di distribuzione di un sapere “povero” in grado di formare lavoratori “poveri” per produzioni subalterne.

Per un antirazzismo di classe e popolare

Un antirazzismo diffuso e cosciente delle classi popolari è possibile ovviamente. Ma prima bisogna sciogliere il quesito: “Lotta di classe o lotta tra poveri”? In realtà, anche il secondo corno della scelta rappresenta una forma di lotta di classe: non bisogna nasconderselo. Se ai lavoratori non viene indicata alcuna prospettiva vincente di conflitto con chi detiene i mezzi di produzione; o più banalmente con chi determina le loro condizioni di lavoro, i loro ritmi di lavoro, la loro stessa esistenza in quanto lavoratori attivi o semplici appartenenti al grande esercito industriale di riserva costituito dalla disoccupazione; se non si attiveranno lotte per uno stato sociale più esteso e più degno (sanità, istruzione, casa), è ovvio che i lavoratori e la parte meno avanzata delle classi medie in via di proletarizzazione vedano negli immigrati dei pericolosi concorrenti sul mercato del lavoro e della distribuzione delle magre risorse dello stato sociale. Tutto ciò al netto della ideologia della paura diffusa dalla Lega, e accolta dai 5 Stelle, che si aggiunge alle difficili condizioni materiali di una parte delle classi popolari, potenziandone però l’effetto di propagazione del razzismo.

Si tratta quindi di una forma regressiva e aberrante di lotta di classe, ma ne è una forma. Se viene preclusa la lotta verso l’alto, con chi ha di più, o meglio, con chi dispone di ogni cosa, si incentiva la lotta con chi sta peggio per mantenere un piccolo vantaggio, sia pure simbolico: ovvero l’appartenenza a una mitizzata comunità autoctona. La storia del sud degli Stati Uniti può essere altamente istruttiva in materia e persino la recente cinematografia Usa in materia può esserlo.

Abd Elsalam, ovvero del ruolo dei comunisti e di Potere al Popolo

La lotta di classe deve tornare a essere quindi la preoccupazione principale dei comunisti e della Sinistra radicale. Dopo decenni di elettoralismo e politicismo, bisogna rimboccarsi le maniche e tornare, con strumenti e forme diverse, a occuparsi di conflitti per il lavoro e nel mondo del lavoro. La soluzione dell’enigma del razzismo, del populismo (e del fascismo che come un germe vi è incluso) si può svelare a partire da qui.

Abd Elsalam era il nome del compagno dell’Usb ucciso nel settembre del 2016 durante una dura lotta sindacale nel settore della logistica. Ora, sono del tutto convinto che per le persone che lo hanno conosciuto, ci hanno lavorato gomito a gomito, ci hanno lottato per gli stessi diritti, Abd non fosse un egiziano, un islamico o uno straniero… ma un COMPAGNO, uno con cui si divide il pane e la battaglia per un futuro di dignità per tutte e tutti. Non è, in effetti, un caso che il settore della logistica sia quello attraversato dalle lotte più dure ed efficaci da anni e sia contemporaneamente quello che vede una grande presenza di lavoratori immigrati. Da lì è necessario ripartire e investire ogni risorsa umana e politica. Da quel mondo bisogna ripartire per riconfigurare la questione dell’organizzazione politica, della sua democrazia interna e degli strumenti che dovrà utilizzare.

E cioè: è utile pensare che Potere al Popolo, ora nel mezzo di una fase di organizzazione e di tesseramento a livello nazionale, pensi a una sua forma di radicamento nei luoghi di lavoro con la creazione di specifici nuclei nei luoghi della produzione? Io credo di sì. Così come credo che perfino gli strumenti del mutualismo, ai quali molti compagni dentro PAP conferiscono una importanza dirimente per le sorti della nuova formazione, dovrebbero essere declinati per sollecitare l’organizzazione e la lotta nei luoghi di lavoro.

Lo spregevole rettile del razzismo può essere schiacciato dal robusto scarpone di chi lavora. Riconquistiamo la fiducia e la voglia di lotta della gente che fatica perché quel sudore e quell’affanno non conoscono differenze di colore.

11/08/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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