L’immagine del piccolo Ailan, ricacciato dalle onde del Mediterraneo sulla costa da cui con la sua famiglia voleva allontanarsi in cerca di vita, aveva commosso tutto il mondo cosiddetto civile dove “vigono” i diritti umani. Era vestito di tutto punto con i pantaloncini blu, la maglietta rossa, le scarpette. Il mare non aveva voluto fare scempio di quel piccolo corpo, limitandosi a riportarlo indietro, intatto. Quando la carità pelosa dell’occidente europeo aveva offerto al padre un passaggio a ovest, il padre aveva rifiutato decidendo di riportare il corpo del piccolo in Siria per seppellirlo nella sua terra. Intervistato tempo dopo, aveva affermato che nulla era cambiato nel passaggio ad ovest del popolo migrante: i difensori dei diritti umani si erano nel frattempo asciugati dalle lacrime di commozione. Il mare Mediterraneo non è mai stato un mare di pace ed oggi è il deposito delle vittime della strage degli innocenti che fuggono dalle bombe, dalle violenze e dai massacri, dalle città invase dai gas, sconvolte da cumuli di macerie. Ci commuoviamo giustamente per i nostri terremoti, ci disinteressiamo delle rovine di Aleppo.
Ma proviamo un attimo a ragionare: la vera Europa non è nata a Ventotene, è nata a Maastricht come una fortezza bisognosa di recinti materiali e simbolici. E’ nata prima come “comunità” commerciale, poi come raccordo di governi, poi come pool di banche e istituzioni finanziarie, infine come trattati per regolamentare le politiche liberiste e difendere lo status dei ceti dominanti. L’interventismo della Nato, a cui si accodò con entusiasmo il governo D’Alema, si pose a garanzia della cittadella europea che si autonominava come l’oasi dei diritti umani, dei “nostri valori”. La prima vittima fu la ex Jugoslavia, i cui etnicismi identitari e nazionalistici, tenuti in un paziente equilibrio all’epoca di Tito, furono ferocemente e voracemente incoraggiati da Nato, da Unione Europea e dal Vaticano. Oggi la crisi capitalistica ha fatto deflagrare una Unione di stati tenuti insieme da politiche liberiste e di austerità con il bisogno di rafforzare un potere di classe che non ha alcuna legittimazione sociale e che produce guerre, impoverimenti, distruzione dell’ambiente, migrazioni ed esodi. Esodi anch’essi di classe, su barconi dove chi paga meno sta giù nella stiva a respirare i gas dei motori e a morire prima. Migrazioni come invasioni: di qui il “bisogno” degli stati europei di circondarsi di filo spinato e di muri di cemento. Ma gli invasori sono folle di esseri umani dolenti, disarmati, in fuga da crisi per lo più prodotte dalle potenze occidentali e dalle loro alleanze con dittatori “locali”.
Da questa analisi, se è giusta, si deduce che la questione migranti è la questione politica del nostro tempo. Certo la prima cosa è aprire corridoi umanitari, abbattere frontiere, accogliere, salvare vite umane, curarle, assisterle. Ma non è sufficiente. Non basta dare indicazioni alle parrocchie di ospitare qualche “famiglia”, non basta che il papa si porti insieme qualche famiglia di ritorno dal viaggio a Lesbo. E’come per i “poveri”. Mi piace sempre citare un’affermazione del vescovo Hamara, teologo della liberazione: “Se faccio del bene ai poveri mi dicono che sono una brava persona, ma se chiedo perché ci sono i poveri mi dicono che sono un comunista”. Appunto,il compito dei comunisti (e anche delle comuniste) è quello di chiedersi (e di rispondersi) perché ci sono i poveri. E non va bene nemmeno che Alexis Tsipras inviti i governanti dell’Europa del Sud per “concordare” qualche richiesta di “crescita” e di “flessibilità” da fare ad Angela Merkel.
Un’accolita di governanti con cui ha firmato il vergognoso accordo con la Turchia che promette soldi e benefici ad Erdogan perché trattenga i profughi nei lager turchi. I profughi e le profughe sono “corpi che non contano”, scorie di un capitalismo feroce, capace non solo di deturpare e annegare esseri umani, ma anche di confondere e deturpare la coscienza politica dei cittadini e delle cittadine dell’Europa che finiscono col votare per le formazioni neonaziste e razziste ferocemente identitarie.
Ciò accade anche nella cosiddetta sinistra o ex sinistra. Gli scarti del biocapitalismo raccolgono pomodori in Puglia sotto la frusta dei caporali e della criminalità organizzata, fanno le badanti o, se giovani e giovanissime, vendono per strada i loro corpi agli onesti mariti e padri di famiglia che poi magari partecipano alle ronde leghiste per difendere il decoro dei quartieri piccolo borghesi.
Abbattere le frontiere per i comunisti e le comuniste non è solo una marcia per la pace, è una lotta permanente e organizzata per abbattere il “finanzcapitalismo” in nome di un internazionalismo dei nuovi proletari e delle nuove proletarie. Non sto dicendo che i migranti e le migranti sono militanti rivoluzionari, sto solo tentando di dire che praticare il comunismo vuol dire innanzitutto costruire collettivamente il nesso fondativo tra condizione e coscienza politica.