Quest’anno la giornata internazionale delle donne è passata più in sordina del solito a causa della situazione emergenziale venutasi a creare per via della pandemia da Coronavirus che ha investito anche l’Italia e l’Europa, sebbene quest’ultima se ne sia a lungo ritenuta afflitta in misura minore e non abbia certamente perso l’occasione per rimarcare il proprio ruolo sostanzialmente reazionario, anti-solidale e predatorio. Basti pensare alla vulgata nauseante sull’ “italiano untore” diffusasi almeno in un primo momento nella stampa estera, alla stretta sulle esportazioni di dispositivi individuali di protezione (mascherine e quant’altro) nel nostro Paese da parte degli “alleati” UE, alla calendarizzazione, addirittura anticipata di un mese abbondante da parte dell’Eurogruppo, dell’approvazione della trappola del MES, fissata a Bruxelles per il prossimo 16 marzo.
Le donne, come accade normalmente già in fasi non critiche, sono indubbiamente tra i soggetti più deboli e bersagliati nell’attuale fase emergenziale che stiamo vivendo perché, com’è noto, nei frangenti di crisi economica esse sono le prime ad essere espulse dal processo produttivo. Oltre alle moltissime donne impiegate nel sistema sanitario nazionale (infermiere, medici, ma anche ricercatrici, spesso precarie, come le tre donne che hanno isolato il ceppo italiano del COVID-19) una quantità sproporzionata (rispetto agli uomini) di donne è occupata nelle imprese di pulizia (settore particolarmente stressato anch’esso dall’emergenza in corso con turni di lavoro massacranti), come operatrici domestiche o nel settore dell’istruzione, uno dei primi ad essersi “fermato” e ad essersi dovuto “reinventare” attraverso didattica on line e simili.
Ovviamente la condizione di iper-sfruttamento delle donne occupate in certi settori chiave per la gestione della fase di emergenza sanitaria in corso fa a botte, da un lato, con la aumentata difficoltà di gestione delle necessità familiari (gli eventuali figli sono stati costretti a rimanere a casa da scuola e anche in precedenza i dati hanno sempre sottolineato l’elevata inadeguatezza dei servizi per l’infanzia) e, dall’altro, con la condizione di quelle donne che, invece, sono state lasciate definitivamente a casa senza un salario da padroni senza scrupoli che, approfittando della situazione drammatica, hanno optato per licenziare o indurre gli e le impiegate alle dimissioni, alla fruizione di aspettative non retribuite ecc. Non dimentichiamoci infatti che per la classe padronale è sempre problematica la gestione lavorativa continuativa o a tempo pieno delle donne, soprattutto se appartenenti a determinate fasce di età ove maggiore è la possibilità di una maternità.
Queste osservazioni, non decisamente originali ma che vale comunque la pena di ribadire, pongono ancora una volta e con maggiore forza il tema della necessità della lotta per la loro liberazione dalla schiavitù domestica, data per scontata e neanche retribuita, e da un mondo del lavoro nel quale esse vengono ancora e vergognosamente pagate di meno a parità di mansioni, non assunte o invitate al licenziamento in caso appunto di maternità, e ancora: sminuite, molestate, ricattate, abusate eccetera.
Rimanendo su questo tema e riagganciandoci al discorso delle “iniziative UE”, bisogna sottolineare un altro fatto accaduto. La Commissione europea ha recentemente presentato la sua strategia per la parità tra donne e uomini in Europa, approcciando (in maniera tutt’altro che ambiziosa, ma meglio di niente) il tema della violenza, della differenza di retribuzione tra donne e uomini e in generale la questione del cosiddetto equilibrio di genere in ambito sociale e lavorativo. In gennaio, però, il Parlamento UE aveva già votato una proposta di risoluzione sul divario retributivo di genere che la Lega, nel gruppo Identità Democrazia, ha bellamente bocciato ribadendo, anche in questa sede, il proprio congenito disprezzo per le donne e l’emancipazione della società intera attraverso di esse. Ancora una volta viene da chiedersi cosa ne sarebbe stato della già grave e opinabilissima gestione della fase attuale se malauguratamente al governo del Paese ci fossero stati ancora losche e incompetenti formazioni politiche come quella di Salvini considerato che lo stesso “capitano” fino a pochissimi giorni fa invitava chiunque a riversarsi nelle strade del Paese e ad “aprire, aprire, aprire”, correre, lavorare.
Dunque, nulla di nuovo, purtroppo, sotto il sole: ancora oggi le donne rimangono più che mai oppresse dal sistema capitalistico allo sbando che, come una bestia morente, più agonizza e più morde.
Nonostante la bontà di intenzioni di certo femminismo borghese, la partecipazione delle donne al dibattito culturale e politico del Paese è bassa e parcellizzata così come la loro consapevolezza di vivere in una società capitalistica da rovesciare perché fondata sullo sfruttamento della stragrande maggioranza degli esseri umani, oppressione che raddoppia sulle spalle femminili a causa dei millenari privilegi patriarcali da sradicare:
il punto di vista delle donne e le loro rivendicazioni non possono essere difesi da nessuno meglio di come potrebbero farlo le donne stesse.
Tuttavia la coscienza di classe rimane un discrimine fondamentale per condurre in modo avanguardistico questa lotta: infatti nonostante la paventata e formale “parità”, le carte e le risoluzioni che impersonano una narrazione di pseudo battaglia alla violenza e alle diseguaglianze ma che si fermano alle parole, nonostante le illusioni e i miraggi delle formazioni politiche e sindacali compatibili al fondo col sistema liberista, bisogna divenire coscienti che l’emancipazione vera e il nostro riscatto non possono che passare dalla trasformazione rivoluzionaria della società in cui viviamo.
Se da una parte ciò è essenziale anche solo per difendere ad ogni costo i progressi ottenuti con le lotte politiche e sociali passate (quali il diritto ad una interruzione di gravidanza in modo libero, sicuro, gratuito, privo di ostracismi e di stigmatizzazione sociale), dall’altra la conquista del progresso e dell’avvenire dell’umanità intera può trovare una chiave di volta nella solidarietà delle donne nei confronti di tutte e tutti coloro che a causa della loro condizione sociale subalterna, del colore della loro pelle, del loro orientamento sessuale o altro vengono brutalizzati da un sistema socio-economico e politico-culturale che permette e incoraggia lo sfruttamento lavorativo, la riduzione in schiavitù, il razzismo e la xenofobia, l’omofobia, la violenza di genere, l’oggettivizzazione e la compravendita dei corpi e ogni altro genere di diritto di abuso fisico, psicologico e sociale.
Per questo, vale sempre la pena di ricordarlo e comprenderlo, qualcuno scriveva che la donna è l’avvenire dell’Uomo. Buona nuova stagione di resistenza e di lotta a tutte le donne e a tutti gli uomini che vogliano avere il coraggio di aprire gli occhi.