Nel mio intervento di un paio di settimane fa ho definito il melonismo come un fascismo del Terzo Millennio contraddistinto da una sostanziale continuità col governo Draghi nel segno della totale subalternità al Capitale e ai suoi interessi che sempre ha caratterizzato il fascismo, fin dal suo esordio colla Marcia su Roma, esattamente cento anni fa.
La storia va molto veloce di questi tempi e sono bastati pochi giorni a Giorgia per mostrare la sua faccia più importante, ovvero l’autentico valore aggiunto che essa può vantare rispetto allo scialbo tecnocratismo di Draghi e dei suoi accoliti, salvo recuperare i peggiori tra i “migliori” (vedi Cingolani), oltre a soddisfare gli appetiti delle varie greppie partitiche che si accingono a banchettare al tavolo del suo governo.
Tale valore aggiunto costituisce in un certo piglio autoritario assolutamente consono all’attuale situazione di economia di guerra, fanatismo ideologico atlantista e crisi economica galoppante, i cui costi devono essere ovviamente riversati sulla grande maggioranza della popolazione per salvaguardare ad ogni costo le posizioni e i privilegi dei settori d’élite dello strano capitalismo in salsa italica.
Strambo capitalismo che si caratterizza per l’esistenza di alcuni grandi monopoli al tempo stesso internazionalizzati e parassitari e una moltitudine di piccole e medie imprese di cui vengono solleticati gli istinti antisociali (evasione fiscale e contributiva, incidenti sul lavoro, inquinamento ambientale, ecc.) anziché indirizzarne le potenzialità al rafforzamento della coesione sociale e alla promozione dell’innovazione tecnologica e di sistema. I primi provvedimenti del governo Meloni, a partire dall’innalzamento del tetto del contante e dal totale silenzio in materia di lotta all’evasione fiscale e contributiva e agli omicidi sul lavoro vanno evidentemente in questa direzione. Come in Brasile, Bolsonaro si era illuso di continuare a campare utilizzando i garimpeiros scatenati contro la natura e gli indigeni, così Meloni & C. si illudono di costruire attorno a sé il consenso stabile della piccola imprenditoria basato sull’offerta di un’assoluta libertà d’agire in modo tale da instaurare la legge del più totale darwinismo economico all’insegna della sopravvivenza del più forte e del più spregiudicato. Con tanti saluti ad ogni più pallido simulacro di politiche industriali e il definitivo massacro dell’idea stessa di diritti sociali. In ciò la Meloni e le destre sono indubbiamente agevolate dal totale nullismo delle politiche del PD e del centro sinistra, sostanzialmente solidali con questa politica di stampo neoliberista, salva qualche forse tardiva resipiscenza da parte di Conte, il quale sembra aver capito che per candidarsi alla guida dell’opposizione deve cambiare registro e sgombrare il campo dal cadavere ormai putrefatto del PD e del suo gruppo dirigente.
Se a questo quadro tendenzialmente catastrofico sommiamo la guerra in Ucraina e le forti scosse di assestamento in direzione di equilibri internazionali sempre più necessari, la crisi globale del capitalismo e la devastazione ambientale galoppante, possiamo ben comprendere come il governo Meloni sia chiamato in questa fase ad accentuare i suoi tratti più repressivi ed identitari. Ci aspetta in periodo davvero difficile della nostra esistenza e a farne le spese saranno soprattutto i giovani, che Meloni vuole disciplinare a suon di manganellate in modo tale da sopprimere l’idea stessa di un futuro di cui dovrebbero essere i principali protagonisti e beneficiari al tempo stesso. È questo il segno delle cariche a Scienze politiche e di un decreto legge suscettibile di vario uso come quello apparentemente indirizzato contro i rave party ma che si presta in realtà ad essere utilizzato contro ogni forma di lotta, dalle occupazioni ai cortei. La vittima predestinata del melonismo sono i giovani perché questo governo e il sistema disumano che rappresenta sono ben consapevoli di non poter garantire alcun futuro. In questo quadro i quattromila nostalgici che hanno marciato militarmente inquadrati a Predappio costituiscono a loro volta un utile complemento. Anche se Giorgia per motivi di immagine internazionale ne prende nominalmente le distanze, l’efficiente ed abile questurino Piantedosi, che ha deciso di tollerare il raduno fascista, si presenta ben più idoneo del pasticcione del Papeete a ricoprire il ruolo di uomo-chiave nella massiccia repressione che si prepara. Ne vedremo delle belle.