Del merito e di altre cose semplici

Ricostruzione sommaria degli stracci ideologici della destra al governo e dei suoi predecessori.


Del merito e di altre cose semplici

Allo stato dell’arte o per essere più precisi allo stadio attuale dello sviluppo delle forze produttive, ogni società di classe è profondamente irrazionale: un gruppo sempre minore di individui possiede una parte sempre maggiore delle risorse sociali complessive (secondo la Banca d’Italia alla fine del 2020 il 50% meno ricco delle famiglie deteneva solo l’8% del patrimonio netto complessivo mentre la metà di quest’ultimo era detenuta dal 7% più ricco). Da ciò deriva la necessità di potenziare l’apparato repressivo (dal 1992 a oggi la popolazione carceraria è aumentata di quasi 10.000 unità) e di ispessire il paravento ideologico: tutti strumenti che alleggeriscono la pressione sulla instabile piramide sociale impedendogli di rovesciarsi.

Sul piano ideologico, in Italia, dalla fine degli anni ’70 ovvero dalla fine del ciclo di lotte operaie, studentesche e in genere popolari che hanno caratterizzato il periodo 1960-1979, è stata diffusa dai mass-media una cultura mortifera che è servita ad accompagnare e giustificare l’opera di ristrutturazione sociale indotta dalla controrivoluzione marciante. Le parole d’ordine che contraddistinguono questa fase apparentemente interminabile sono varie: “no alla cultura della morte, sì alla vita” con la quale si è giustificato il proibizionismo in materia di droghe e il tentativo ricorrente di ridiscutere della Legge 194 sull’aborto; il privato è più efficiente del pubblico; la copertura dello smantellamento della grande industria pubblica e perfino privata sotto lo slogan demenziale “il piccolo è bello” e infine la sacralizzazione del concetto di merito.

Craxi, Reagan, Thatcher: i cavalieri del merito

Sarà un caso, ma le parole d’ordine della destra al governo da poche settimane, con Giorgia Meloni prima donna presidente del Consiglio, suonano curiosamente consuete alle orecchie di chi abbia più di una cinquantina di anni: il merito addirittura è stato aggiunto come denominazione al ministero dell’Istruzione, insieme all’altro termine paradigmatico di impresa e made in Italy, entrambi affibbiati all’ex ministero dello Sviluppo economico.

Insomma, l’odore di muffa che esala da queste parole data da più di quarant’anni. Margaret Thatcher in Gran Bretagna teorizzava che la società non esiste per dire in sostanza che gli individui erano atomi indivisibili, del tutto in grado di determinare da soli le loro sorti, mentre Ronald Reagan produceva uno dei più clamorosi deficit finanziari degli Stati Uniti (un balzo da 52 a 142 miliardi di dollari tra il 1980 e il 1986) per tagliare le tasse ai ricchi, nel sogno che dalla tavola dei miliardari cadesse qualche briciola in più verso gli strati popolari. In Italia, intanto, un pezzo di sinistra politica per motivi di sopravvivenza decideva di importare queste parole d’ordine trasformandole in politiche di governo: il Psi di Bettino Craxi che peraltro da questo punto di vista e al di là della “damnatio memoriae” che gli è stata per molti anni inflitta a causa di Tangentopoli è in realtà il padre politico dei governi del centro-sinistra della cosiddetta Seconda Repubblica da Prodi fino a Renzi, contraddistintisi per la precarizzazione del mercato del lavoro (introduzione delle agenzie interinali) e per l’indebolimento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Il Psi di Craxi, si diceva, innalzava bandiere sui cui era ben visibile la parola “Merito”, sebbene affiancata dai bisogni. Ora il merito torna sui vessilli della destra post-missina di Fratelli d’Italia. Ma il merito è uno straccio ideologico ben poco difendibile. Chi ha dalla sua le risorse economiche che gli consentono di accedere alle migliori scuole, alle tecniche di insegnamento e di apprendimento più efficaci, al tempo da dedicare allo studio, alla salute, al miglioramento della propria condizione individuale, quale merito può rivendicare rispetto al precario pagato a cottimo in un call center oppure rispetto all’operaia separata con due figli a carico da mantenere?

Il grado di attendibilità di questa nuova distinzione sociale di “meritevole” è dello stesso grado di quella della nobiltà ai tempi dell’Ancien Regime prima del 1789. È auspicabile che abbia anche la stessa sorte.

L’ideologia della destra

Molti osservatori si sono sbizzarriti nel tentare di ricollegare la nuova compagine di governo al ventennio del fascismo, ma questa ricerca spasmodica di gagliardetti e saluti romani pur suffragata da prove empiriche alla fine rischia distrarre da quelli che sono connessioni evidenti e imbarazzanti per tutto l’establishment politico borghese. Infine, cosa c’è di diverso nell’esibito atlantismo, nel rigore di bilancio, nel culto del gioco di mercato tra la Meloni e il predecessore Draghi? Forse il tratto distintivo sarebbe costituito dal rancore verso i poveri che “godono impunemente” del Reddito di cittadinanza? Ma persino l’avversione al Rdc è qualcosa che è maturato nel corso di questi ultimi anni e che tra l’altro accomuna la reazionaria Meloni ai “centrosinistri” Renzi e Calenda.

Il pericolo del bonapartismo, della torsione autoritaria della stessa democrazia borghese, precede l’avvento della Meloni. Ciò non significa che l’avvento dell’estrema destra al governo non costituisca un ulteriore aggravamento di questi rischi. Tutt’altro: esso è proprio un grado in più di pericolosità. Ma per provvedere a questi rischi è necessario riannodare i fili della memoria degli ultimi decenni. È opportuno individuare i filoni culturali (non solo neofascisti) che nutrono l’ideologia della destra al potere: il culto della piccola impresa; la svalorizzazione della partecipazione di massa alla politica; l’esaltazione del privatismo in ogni sua forma; la stigmatizzazione sociale delle devianze (il tossicodipendente, l’immigrato, la donna, il povero) e infine, l’asso nella manica del baro: quel “merito” appena descritto.

 

09/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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