C’è bisogno di un partito comunista che torni a parlare alla sua classe

Il mese scorso si è tenuto a Milano – analogamente ad altre città nello stesso periodo – un dibattito pubblico organizzato dal Centro culturale Cumpanis sul tema dell’unità dei comunisti e della ricostruzione di un partito comunista in Italia. Pubblichiamo una sintesi dell’intervento del presidente del centro culturale Cumpanis milanese, Vladimiro Merlin, che ha delineato le necessarie caratteristiche non elitarie e non di testimonianza del partito comunista futuro tutto da costruire, unendo i cocci dell’attuale frammentazione.


C’è bisogno di un partito comunista che torni a parlare alla sua classe

La premessa imprescindibile per ricostruire un partito comunista in Italia è innanzitutto tutto ritornare all’interno del mondo dei lavoratori, ossia riprendere il contatto con la nostra classe di riferimento. Questa classe negli anni si è modificata, allargata. Il proletariato come definito da Marx non è più coincidente con i soli operai delle grandi fabbriche, ma progressivamente c’è stata una proletarizzazione di figure sociali che un tempo non appartenevano a questa classe. Oggi per esempio un insegnante non è un esponente della classe dominante, ma del mondo del lavoro, anch’egli sfruttato. Il commercio, che una volta era il settore della piccola e media borghesia, oggi è il settore della grande distribuzione, della logistica, che impiega lavoratori che vivono in condizioni di semischiavitù, con condizioni arretratissime di tutele e diritti.

In questo momento il capitalismo, in Europa e in occidente, appare molto forte, il pensiero unico non lascia pensare a vie alternative, ma noi sappiamo che ha anche grandi contraddizioni strutturali. Manca però un soggetto politico in grado di far emergere queste contraddizioni, e soprattutto di creare quella cosa fondamentale che è la coscienza di classe. Tutto il pensiero marxista-leninista l’ha affermato chiaramente: la coscienza di classe non nasce spontaneamente. Lo sfruttato, il lavoratore, ma anche le popolazioni del terzo mondo vittime dell’imperialismo, non acquisiscono la coscienza di classe se non c’è un soggetto politico che spiega da dove arrivano le loro disgrazie, quali sono le cause della loro condizione di sfruttamento, che fa capire che esiste lo sfruttamento.

In questa società che vogliono far apparire come scintillante esistono settori di lavoratori super sfruttati che non sono consapevoli del proprio sfruttamento. Io per esempio sono rimasto allibito nel constatare la resistenza di alcuni rider rispetto alla sindacalizzazione e al passaggio a lavoratori dipendenti, rivendicando una loro condizione di lavoratori autonomi che nella realtà non esiste. Riflettendo su questo si ha la conferma che se non c’è un soggetto che fa acquisire la coscienza di classe il malessere sociale non si esprime se non in rivolte spontanee che non hanno prospettive e che si prestano a una repressione violenta da parte dell’avversario di classe e dunque a una tacitazione delle rivendicazioni per lungo tempo.

C’è un aspetto importante su cui dobbiamo puntare la nostra attenzione: non è solo per opportunismo che la sinistra che oggi è schierata con l’imperialismo occidentale, e che comprende anche una parte di sinistra che si definisce anticapitalista, oggi fa manifestazioni per la pace che diventano manifestazioni in assonanza con le posizioni di Usa e Nato, non a caso incensate da quei media che in altre occasioni le hanno ignorate o stigmatizzate. Questo tipo di sinistra fa queste cose perché non ha più il concetto politico di imperialismo e in sua mancanza ci sono “la pace e la guerra”, ci sono i diritti astratti dei popoli, che poi sono i diritti dei popoli europei. Persino il papa ha parlato di “guerra in casa nostra”, ma casa nostra è il mondo, e dovrebbe esserlo a maggior ragione per il ruolo che ha un papa. Le guerre in Siria, in Libia, per fare solo due esempi, non erano forse in casa nostra?

Senza un soggetto politico che lo propone, il concetto di imperialismo è scomparso dal senso comune anche a sinistra, e non solo dalle menti della massa dei lavoratori, ma anche dalle forze di sinistra che si ritengono anticapitaliste ma che hanno abbandonato gli strumenti teorici per capire la realtà e finiscono per essere servi sciocchi di quelli che teoricamente vorrebbero combattere. Senza un soggetto politico comunista che quindi faccia chiarezza e proponga una visione alternativa prima di tutto della realtà internazionale, del perché ci sono le guerre, non ci può essere opposizione vera a quel conflitto, e c’è addirittura un’assunzione di quella parte che dovrebbe essere antagonista al sistema dentro la logica del sistema stesso.

Questo vale sul piano internazionale per l’imperialismo e la guerra, ma vale anche sul piano interno per la questione di classe. Non c’è coscienza di classe perché non c’è un partito comunista, ma anche perché la grande parte della sinistra ha cancellato il concetto di classe. Se guardiamo alla nostra storia recente, in Rifondazione Comunista Bertinotti ha fatto l’operazione politica di cancellare il concetto di classe: l’operaio tradizionale non c’era più, quindi doveva essere accantonata anche l’idea di classe, sostituita da nuove soggettività come il precariato. Ma anche se i rapporti di produzione sono differenti, anche se il proletariato si è allargato nella società, lo sfruttamento è lo stesso e non è meno valido il concetto di classe. Il lavoratore precario subisce lo stesso tipo di sfruttamento dell’operaio tradizionale, sebbene in forma maggiore perché ha meno diritti e tutele. Il partito comunista deve spiegare ai lavoratori queste cose e unire le lotte di tutti gli sfruttati, che sono una unica classe.

Facendo un bilancio della nostra storia possiamo dire che la strada percorsa da alcuni che hanno pensato di poter restare comunisti dentro una formazione politica non comunista non ha funzionato. Il partito comunista è lo strumento che i comunisti si costruiscono per cambiare questa società, per modificare i rapporti di forza dentro il capitalismo e trasformare la società capitalista in una società socialista. Ma lo strumento per fare ciò deve essere uno strumento adatto al compito che deve svolgere. Le sconfitte subite hanno portato i comunisti, in Italia, a dire “noi non ci arrendiamo”, li hanno portati ad assumere una politica di difesa della propria identità ed esistenza. I partiti comunisti, però, non possono essere partiti di testimonianza, perché sarebbero strumenti inadatti al loro compito, cioè cambiare la società. Un partito comunista deve difendere e riproporre la propria identità, ma deve anche aspirare a essere radicato dentro le masse, tra i lavoratori, nei quartieri, nelle scuole. Le sconfitte che abbiamo subito ci hanno portato a rinchiuderci dentro noi stessi, ma dobbiamo fare un percorso per uscire da questo isolamento.

Il partito comunista che dovremmo cercare assieme di costruire deve trovare il modo di ricominciare a parlare con le masse dei lavoratori, dei giovani. Questo non deve significare rinunciare alla propria ideologia, ma proprio sulla base del nostro pensiero dobbiamo parlare un linguaggio comprensibile a tutti e agire sulle contraddizioni concrete che vivono i lavoratori sulla propria pelle. Si deve partire da quelle, non da concetti o citazioni ideologiche che solo i militanti comunisti, oggi, possono capire. Il capitalismo è portatore di contraddizioni enormi, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, ma tranne un malcontento senza prospettive, politicamente nessuno si ribella.

Abbiamo in forme diverse tutti resistito alla distruzione dei partiti comunisti, ma è giunto il momento di trovare la forza, la coscienza, la capacità di fare un salto in avanti per ricostruire un partito di massa. Gramsci sotto il ventennio fascista diceva che i comunisti dovevano intervenire dentro i sindacati fascisti, e prima ancora Lenin diceva lo stesso per i sindacati gialli, e la motivazione era che era lì che c’erano le masse dei lavoratori. I comunisti devono essere ovunque ci sia la loro classe di riferimento, non per accodarsi alle posizioni di un qualsiasi sindacato, magari con posizioni che riteniamo sbagliate, ma perché lì ci sono i lavoratori e per portare in quel luogo la posizione dei comunisti, in un linguaggio che i lavoratori possano comprendere.

Il percorso è lungo e difficile ma è a questo che dobbiamo aspirare: a essere un partito di massa che riesce a intervenire sui rapporti di forza dentro la nostra società. Bisognerebbe rileggersi gli scritti di Secchia su questo tema. Il vecchio Pci è potuto diventare partito di massa perché era un partito di quadri. Esistevano gli attivisti oltre agli iscritti, ed erano i quadri che creavano le condizioni per essere un partito di massa. Non c’è contraddizione fra partito di quadri e partito di massa, perché non ci può essere un partito di massa se non ci sono quadri, mentre un partito solo di quadri non riuscirebbe a incidere sulla realtà. Se cadiamo in questa diatriba facciamo il gioco di chi vuol rinchiudere i comunisti in una piccola nicchia da cui non riuscirebbero a uscire.

Consapevoli di queste cose, dobbiamo sforzarci di costruire un percorso che nel prossimo futuro ci porti a mettere insieme progressivamente i passaggi necessari per costruire un partito comunista all’altezza dei tempi e in grado di incidere nella realtà politica italiana.

08/04/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Vladimiro Merlin

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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