1. L’offensiva di classe del padronato e la ritirata dei sindacati consociativi (Cgil-Cisl-Uil)
Da molti mesi annunciata, elusa, minimalizzata, esorcizzata, la fine del blocco dei licenziamenti sta producendo l’avvio di quel massacro sociale che osservatori attenti e onesti (giornalisti, sociologi, economisti) hanno previsto con grande anticipo. Ma non si è trattato di allarmismo, come ha stigmatizzato chi ha accusato di pessimismo coloro che hanno evidenziato il problema, quanto piuttosto di una realistica proiezione a partire dall’osservazione della realtà. Considerare i licenziamenti, la chiusura di siti produttivi, il fallimento di aziende (con conseguente crisi occupazionale) come fenomeni “naturali” è un’espressione ideologica che deve essere denunciata come un’adesione strumentale al modello del libero mercato e alla logica del profitto: il sistema fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sugli investimenti finalizzati a estrarre plusvalore e a valorizzare il capitale non è un destino immutabile della condizione umana, naturale, storica, ma una struttura economico-sociale costruita e affermatasi nei secoli, i cui equilibri oscillano ciclicamente tra espansioni e crisi, e dotata di strumenti economici, giuridici, sociali, istituzionali, ideologici repressivi per difenderne l’assetto e perpetuare il dominio delle classi parassitarie e l’assoggettamento delle classi produttive.
I tentativi di frenare o mitigare gli effetti dello sblocco dei licenziamenti da parte delle componenti dem nell’esecutivo è risultato niente più che un pannicello caldo, un mero ammicco privo di qualsiasi sostanza politica: la proposta minima del ministro del Lavoro Orlando di rinviare la fine del blocco a fine agosto è risultato un miserevole (o miserabile) tentativo di posticipare di qualche settimana un fenomeno che provocherà una macelleria sociale e le cui cause sono ben più profonde di un breve rinvio temporale. Dal mondo della sinistra governativa dunque nient’altro che l’ammissione di impotenza, o peggio l’adesione alla forma pura del modello capitalistico, il liberismo selvaggio: il Partito Democratico non intende tutelare lavoratori e lavoratrici con un sistema di relazioni aziendali e di regolamentazione del mercato del lavoro universalmente protettivo dalle ingerenze aziendali e padronali, ma tutt’al più partecipare al processo di rimodellamento del sistema di welfare che renda funzionali gli ammortizzatori sociali alle pure esigenze aziendali, rendendo fluide le procedure di assunzione e soprattutto di licenziamento (magari anche ridimensionando il valore e il ruolo della contrattazione nazionale).
Alla volontaria impotenza della “sinistra lib-dem” si è aggiunta la ritirata dei sindacati consociativi che, con l’accordo-farsa in cui ci si appella alla responsabilità delle aziende affinché adottino la cassa integrazione prima di procedere ai licenziamenti, non solo non hanno sventato, ma hanno di fatto coperto il massacro sociale che il padronato (nazionale e multinazionale) si apprestava a intraprendere. Anziché avviare la mobilitazione, proclamare lo stato di agitazione permanente, avviare le procedure per uno sciopero generale, Cgil-Cisl-Uil hanno dato per scontato che, prima o poi, ci sarebbe stata la macelleria occupazionale, e hanno dato di fatto il via libera al bagno di sangue di lavoratori e lavoratrici.
2. La macelleria sociale funzionale a ripresa e resilienza
Il rischio che dal 1° luglio avremmo assistito a un’ondata di licenziamenti era fortissimo e il timore non poteva essere mitigato da alcuna improbabile ragionevolezza: lo pseudo “avviso comune” tra sindacati e padronato, per impegnare le aziende a utilizzare la cassa integrazione ordinaria per un certo periodo prima di avviare le procedure di licenziamento, si sta dimostrando una vera e propria bufala, di cui hanno la responsabilità i sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil oltre al padronato (locale, nazionale o multinazionale) sempre più incontrollato e irresponsabile.
I sindacati confederali, anziché contrapporsi – come annunciato – e assumere una posizione conflittuale di fronte all’arroganza padronale e alla partigianeria filoconfindustriale da parte governativa, hanno mostrato una debolezza sempre più marcata, con una ritirata su uno pseudoaccordo privo di fondamento e soprattutto di vincoli per le aziende: un invito a licenziare senza conseguenze, più che a ricorrere agli ammortizzatori sociali. Le prospettive di “ripresa e resilienza” devono coinvolgere direttamente il mondo del lavoro, con la definizione di piani industriali definiti e fondati, in cui la partecipazione delle forze produttive del territorio siano coinvolte nella responsabilità aziendale per determinare le condizioni per gli investimenti da parte delle imprese. L’arrendevolezza sindacale invece non fa che rafforzare l’arroganza padronale, con la connivenza delle forze politiche e dei governi.
In meno di due settimane, i numeri dei licenziamenti indicano con chiarezza inequivocabile la volontà del padronato di sviluppare immediatamente un’offensiva durissima per recuperare pienamente la piena “licenza d’impresa”: 60 licenziati alla Abb di Vicenza, 153 operai della Gianetti Gomme di Monza (che peraltro aveva ricevuto fondi e prestiti da Regione Lombardia, con vincoli non rispettati) , 422 della Gkn di Campi Bisenzio (con una comunicazione via e-mail). Non è che l’inizio: vi sono molte aziende che hanno già annunciato l’avvio delle procedure di mobilità, tra cui colossi come Sanofi (che ha annunciato 45 esuberi tra dipendenti e informatori farmaceutici) o aziende come Bio-Rad (con circa 30 esuberi annunciati) nel settore farmaceutico. che dovrebbe avere una grande espansione, ma evidentemente facendo a meno del lavoro dei dipendenti. E mercoledì Whirlpool ha annunciato la ripresa delle procedure di licenziamento e la chiusura dello stabilimento di Napoli, senza accettare il ricorso alla cassa integrazione per 13 mesi proposto dall’ineffabile ministro dello Sviluppo economico Giorgetti.
Nei prossimi mesi si potrebbero raggiungere centinaia di migliaia di licenziamenti, ma le previsioni più fosche stimano fino a un milione la distruzione di posti di lavoro. L’emergenza occupazionale, che colpirà soprattutto le fasce over-50, provocherà una crisi occupazionale enorme, a cui si aggiungerà un’ulteriore precarizzazione e l’estensione di forme di lavoro online (nelle forme del telelavoro e soprattutto del lavoro agile o smart working), che vedremo incrementarsi sia nel privato sia nella Pubblica Amministrazione con le riforme annunciate dal ministro Brunetta.
3. Fronte di classe contro la repressione del capitale
Non è possibile più farsi illusioni: la ricetta Draghi è dichiaratamente improntata a una ristrutturazione del sistema burocratico-amministrativo nazionale, introducendo riforme e innovazione tecnologica, ridefinendo gli strumenti di welfare, ma sostanzialmente restituendo la piena libertà imprenditoriale alle imprese, nella logica della pura concorrenzialità sui mercati con l’obiettivo della massima estrazione dei profitti.
Il mondo politico-istituzionale è completamente assoggettato all’impostazione di Draghi, con l’illusione di poter condizionare e compartecipare alla divisione e gestione dei miliardi del Pnrr: non vi sono differenze sul piano economico-sociale, l’approccio è condiviso di fatto da tutto lo schieramento parlamentare (con i distinguo contingenti che non cambiano la sostanza politica) che in questa unità nazionale crea il quadro e le condizioni delle future linee economiche, sociali e del lavoro sia per governi delle destre, sia di centrosinistra (ristretto: Pd+Leu+Si; oppure allargato: Pd+Leu+Si+M5s).
È ormai evidente la completa subalternità politica alle istanze del capitale sia delle destre, sia del centrosinistra: sarebbe necessario rompere questo sistema di assoggettamento e costruire una reale alternativa sociale e politica ai modelli di potere che si reggono sulla difesa degli interessi forti delle classi dominanti. Oltre alla solidarietà con tutti i lavoratori e le lavoratrici colpite dalle procedure di licenziamento è improcrastinabile la costruzione di un fronte di classe per l’opposizione sociale, partendo dalla costituzione di un coordinamento unitario contro i licenziamenti e per l’occupazione, per una ricomposizione necessaria a fronte degli attacchi che si moltiplicheranno nei prossimi mesi.