Sale la tensione nel Donbass, “cui prodest?”

L'Ucraina è sempre più terra di conquista del capitale internazionale mentre si va verso una nuova fase cruenta.


Sale la tensione nel Donbass, “cui prodest?” Credits: http://en.censor.net.ua/photo_news/430030/37_attackers_upon_donbas_blockaders_detained_at_kryvyi_torets_railway_station_donetsk_police_head_abroskin

Dopo i fatti di “Euromaidan”, la secessione della Crimea e la ribellione nella regione carbonifera del Donbass, l’Ucraina orientale a partire dall’aprile 2014 è teatro di scontri militari. Gli scontri continuano, nonostante il gruppo di contatto [1] abbia negoziato nel febbraio 2015 gli accordi di Minsk II. Accordi che hanno mostrato fin da subito la loro fragilità, essendo continuamente violati dai bombardamenti lungo la linea di contatto e dagli attentati ai comandanti militari [2] e ai leader politici della resistenza del Donbass.

L'Ucraina è sembrata interessata, più che alla pace, ad una tregua per riarmarsi e riorganizzare l’esercito, dopo le pesanti sconfitte militari che hanno portato all’attuazione degli accordi. Infatti nelle offensive militari, effettuate durante il 2014 e l’inizio del 2015, più del 50% dell’armamento militare è andato perduto [3]. Grandi difficoltà derivano dall’usura dei mezzi militari e dalla carenza di materiale di ricambio in conseguenza degli attriti con la Russia. L’Ucraina ha mobilitato 85000 riservisti, e a settembre dell’anno scorso è stata avviata una campagna di reclutamento su larga scala e di addestramento dei riservisti. I separatisti hanno invece accettato la tregua, dopo aver ripreso alcuni territori, in quanto necessitano dell’appoggio politico ed economico della Russia. Rivendicano tuttavia gli interi oblast di Lugansk e Donetsk, compreso l’importante centro siderurgico di Mariupol. Queste due regioni, a maggioranza russofona, alle presidenziali del 2004 e del 2010 hanno registrato circa il 90% dei voti per Yanukovych. L’Ucraina è stata prevalentemente una creazione amministrativa dell’Unione Sovietica, e non ha una lunga storia come entità nazionale.

La Russia ha tutto l’interesse che l’Ucraina rimanga unita come nazione perché conta di riportarla sotto la propria influenza, e sa che il tempo gioca a proprio favore. Fortissimi sono gli interessi economici russi in Ucraina e quelli ucraini in Russia. L’Ucraina dal 2013 alla fine del 2016 ha registrato un netto calo delle esportazioni, il cui volume complessivo è passato da 63 miliardi di dollari ai 36,3 miliardi. L’integrazione nel mercato europeo non ha consentito all’Ucraina di rimpiazzare le esportazioni verso la Russia, che rimane il suo principale partner commerciale. Sebbene il valore delle esportazioni ucraine verso l’Unione Europea sia circa quattro volte quello verso la Russia, la bilancia commerciale è favorevole all’UE. Le merci ucraine non sono ancora sufficientemente competitive nel mercato europeo, e nei settori dove l’Ucraina risulta competitiva, come nei prodotti alimentari, l’Unione Europea protegge il proprio mercato. Infatti le quote alimentari non tassate verso l’UE sono state esaurite già nel primo trimestre dell'anno. L’Unione Europea è anche un grande investitore di capitali nel paese: ad esempio le industrie automobilistiche tedesche hanno dislocato la produzione di componenti in Galizia, essendo il costo della forza-lavoro più basso in Ucraina che nei paesi dell’Europa Orientale [4]. Rimane inoltre aperta la questione fondamentale dei gasdotti che portano il gas russo in Europa. Ad oggi, buona parte delle esportazioni di gas russo passano per l’Ucraina, per questo la Russia ha la necessità di diversificare le vie di transito verso l’Europa e i mercati da rifornire. Tutto ciò richiede stabili accordi politici e tempo per la costruzione delle necessarie infrastrutture. La questione dell'approvvigionamento di gas è rilevante anche per i paesi dell’Unione Europea, poiché nel breve periodo non potranno garantirsi fornitori alternativi alla Russia, anche per via dell’instabilità dei paesi mediorientali e del nord Africa. Per questi motivi Russia ed UE hanno interesse a frenare l’esclation del conflitto, e non a caso entrambe fanno parte del gruppo di contatto promotore degli accordi di Minsk.

Gli Stati Uniti sotto la presidenza Obama hanno avuto tutto l’interesse per un inasprimento del confronto militare. Hanno perseguito l’obiettivo di distaccare l’Ucraina dalla Russia per avvicinarla alla NATO (supportati in questo dall'UE) e complicare la vita dei competitori-alleati europei, esacerbando i rapporti con la Russia. Posizione ben sintetizzata dall’ex-assistente del Segretario di Stato per gli Affari europei, Victoria Nuland, con la celebre frase “fuck the EU” . Meno chiara è la collocazione della nuova amministrazione statunitense, che sembra essere interessata ad una distensione con la Russia probabilmente in funzione anticinese. Il “sembra” è una parola da tenere ben in considerazione con Trump, il quale ha definito la NATO come un’organizzazione obsoleta con il reale intento, però, di ottenere dagli alleati un aumento delle spese militari nell'alleanza [5]. Da una parte, è stata approvata alla Camera dei Rappresentanti del Congresso americano una proposta di legge che stanzia, nel 2017, 150 milioni di dollari per i finanziamenti militari rispetto ai 350 milioni previsti nel bilancio del 2016; dall’altra, durante una visita ai soldati ucraini, i senatori repubblicani Lindsey Graham e John McCain [6] hanno apertamente incitato le truppe a violare la tregua.

Il governo di Kiev è ostaggio delle forze nazionaliste che esso stesso ha contribuito a scatenare. Una nuova “Maidan” apertamente neonazista è dietro l'angolo. Se vogliamo trovare qualche elemento progressivo nella rivolta del gennaio-febbraio 2014, sempre se ce ne sono, questo è sicuramente da ricercare nella lotta all’endemica corruzione, allo strapotere degli oligarchi. Una lotta strumentale, in quanto ad alcuni oligarchi se ne sono sostituiti altri. D’altronde tutto deve cambiare perché nulla cambi. Nel paese la corruzione e i soprusi delle squadracce neonaziste dilagano, l’economia è a rotoli, la grivna si è enormemente deprezzata e la disoccupazione è in aumento. Se il paese si regge ancora in piedi è solo per mezzo delle rimesse degli ucraini all'estero e dell’iniezione di liquidità del Fondo Monetario Internazionale. Questi ultimi aiuti sono stati pagati con pesanti conseguenze sociali. Tra le contropartite richieste dal FMI risultano le privatizzazioni, come quelle dei fertili terreni agricoli a favore delle multinazionali del settore agroalimentare. L’Ucraina è sempre più alla mercé degli stati usurai che dirigono il FMI, il quale le detta ricette per favorire gli interessi del capitale che rappresenta. Infatti la crisi di sovrapproduzione, che colpisce i grandi trust e cartelli, richiede l'esportazione di capitali [7]. La competizione tra questi capitali alterna fasi cruente a fasi di pace ma procede inesorabilmente con l'acuirsi della crisi mondiale. Ogni potenza imperialistica agisce a favore dei propri interessi e per minare l’egemonia delle altre. Per non assumere posizioni socialscioviniste è nostro dovere di internazionalisti smascherare gli interessi della propria nazione. Pertanto denunciamo l’ingerenza dell’Unione Europea e della NATO in Ucraina e, in questo quadro di aggressione imperialistica, sosteniamo la resistenza antifascista e indipendentista del Donbass, pur con tutte le contraddizioni presenti.

Negli ultimi mesi, la tensione nel Donbass si è acuita. In pieno inverno, da fine gennaio, i reparti neonazisti hanno attuato un blocco ferroviario delle merci provenienti dalle repubbliche ribelli, in particolare del carbone, provocando danni anche all’economia ucraina. I disagi, per adesso, sono principalmente localizzati nelle regioni orientali. I prezzi dell’energia stanno salendo, le industrie (tra cui l’impianto siderurgico di Mariupol) operano a regime ridotto e numerosi operai rischiano di essere licenziati. Per sopperire alla mancanza di rifornimento di carbone dal Donbass gli impianti ucraini lo stanno acquistando da altri paesi, ma a prezzi più elevati. In risposta, le autorità delle Repubbliche Popolari di Donestk e Lugansk hanno commissariato le imprese ucraine nei loro territori (in particolare quelle produttrici del carbone di proprietà di Akhmetov). La Russia ha considerato validi i passaporti delle Repubbliche Popolari, riconoscendole implicitamente come stati indipendenti dall'Ucraina. Un passo che fino ad oggi non era stato intrapreso da Mosca, la quale era per l'integrità territoriale dell'Ucraina, ad esclusione della Crimea annessa. Di fatto, la linea di contatto è diventato un confine, e come tale lo considerano sia gli ucraini che i ribelli separatisti. Il Governo ucraino, invece di intervenire per far rispettare la propria autorità dalle milizie, ha assecondato le azioni dei gruppi nazionalisti proclamando il blocco del Donbass.

La risposta dell’Unione Europea è stata debole. Le autorità ribelli hanno dichiarato che l'unica valuta accettata nei loro territori sarà il rublo, che il carbone sarà esportato in Russia e che le fabbriche nazionalizzate non pagheranno più le tasse a Kiev. I nazionalisti hanno minacciato di interrompere le rotte commerciali con la Russia, e il 13 marzo hanno bloccato la sede centrale della banca russa Sberbank, rea di aver aperto i servizi finanziari ai possessori dei passaporti delle Repubbliche ribelli. L'Ucraina, quindi, ha imposto delle sanzioni contro cinque banche con capitali di stato russi operanti nel mercato ucraino. Questi ultimi fatti possono preludere ad una possibile nuova fase cruenta del conflitto. I diversi interessi dei vari oligarchi sono sicuramente una chiave di lettura dei recenti avvenimenti, ma non l'unica. Entrano in gioco i diversi interessi internazionali e le pressioni dei neonazisti per una nuova “Maidan”. Indipendentemente dalle cause, pesantissime saranno le conseguenze economiche per l'Ucraina, sia in termini di scambi commerciali che di occupazione. “Cui prodest?”


Note

[1] Del gruppo di contatto fanno parte l’Ucraina la Russia, la Germania e la Francia. I rappresentanti delle Repubbliche Popolari sono invitati al gruppo come osservatori esterni.

[2] In ordine, gli assassinii dei comandanti Mozgovoy (23 maggio 2015), Motorola (17 ottobre 2016) e Givi (8 febbraio 2017).

[3] Maggiori dettagli possono essere trovati in lingua inglese sul sito filorusso “The Saker”.

[4] Nel 2015 il salario medio mensile in Romania era di 417 euro, in Bulgaria di 356 euro e in Ucraina di 143 euro.

[5] Le spese dei paesi europei risultano, salvo poche eccezioni, sotto il 2% richiesto dagli obiettivi fissati dalla NATO.

[6] McCain sembra ricoprire ulteriori incarichi non ufficiali, come dimostrano le foto che lo ritraggono con i protagonisti delle ribellioni in Siria ed Ucraina.

[7] Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916.

25/03/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Marco Beccari

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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