Chi abbia a cuore le sorti del capitalismo monopolistico a trazione Usa si pone al momento tre obiettivi geopolitici, riassumibili in: indebolire la Russia; contenere la Cina; consolidare l'egemonia del dollaro (disperdere i BRICS).
Il logoramento russo
La Russia è troppo grande, troppo armata e l'epoca di Eltsin a cavallo degli anni '90 ha pure vaccinato la sua borghesia e le sue classi popolari dalle simpatie filo-occidentali. Pertanto, è una presenza scomoda per gli Stati Uniti e per il suo più fedele alleato, la Gran Bretagna. Inoltre, Mosca governa su un territorio ricco di materie prime preziosissime e molto utile per scandire la fase di transizione ecologica dettandone il passo e la misura a tutto il globo (terzo produttore al mondo di fonti di energia di origine fossile).
La crisi in Ucraina, a partire dalla controrivoluzione di Maidan, è stata concepita dall'imperialismo a trazione anglosassone come uno strumento: a) di pressione militare e di eventuale provocazione nei confronti della leadership russa; b) nella misura in cui la provocazione fosse riuscita e la Federazione russa si fosse spinta fino all'invasione diretta dell'Ucraina (come accaduto prima con la Crimea e poi nel 2022 nell'est del paese) come strumento di logoramento di risorse economiche e umane; c) data l'evidente impossibilità dell'attuale controffensiva ucraina di condurre alla sconfitta russa e a un possibile cambiamento di regime a Mosca, il tentativo è quello di cronicizzare il conflitto, trasformando i confini russo-ucraini in una nuova “cortina di ferro” con scontri di bassa-media intensità e punte acute di crisi che consentano da una parte il prolungamento del logoramento russo e dall'altra sottomettano durevolmente le economie dei paesi occidentali ai rifornimenti (e ai prezzi) imposti da Washington.
Il contenimento della Cina
La Cina è l'avversario più temibile per gli Usa per il suo potenziale economico innanzitutto, per la sfida militare conseguente a questo sviluppo e, infine, per la sua capacità di fornire un'alternativa ai paesi in cerca di una propria via di emancipazione dalla povertà e dall'attuale divisione internazionale del lavoro. Il modello cinese di capitalismo di Stato, infatti, offre un ruolo centrale alla pianificazione statale nel cui ambito si assegna un ruolo alle dinamiche di mercato: esattamente il contrario di ciò che accade nel capitalismo di impronta liberista dominante nella sfera anglosassone e in Europa.
Pertanto, Washington aveva costituito nel corso dei decenni una linea fortificata di contenimento della Cina a partire dall'Afghanistan occupato dalle forze della Nato, dal Pakistan, dall'India, da Taiwan e dall'Australia su fino al Giappone.
Ma nel corso degli ultimi anni questa “muraglia anti-cinese” ha mostrato più di una crepa a partire dalla fuga degli occidentali da Kabul, alla crescente freddezza di Islamabad, alla veemente reazione di Pechino alle provocazioni statunitensi a Taiwan (ad esempio con la visita della Pelosi) fino allo sgarbo dell'India di non invitare l'Ucraina al prossimo G20 del 9 e 10 settembre, dove invece sarà presente la Russia.
I BRICS
Il contenimento della Cina, il rientro di Pechino in un ambito di potenza regionale, è necessario per chi guarda il mondo dal balcone della Casa Bianca anche perché essa esercita un ruolo di leadership per i BRICS, il cui nucleo iniziale ha dato il nome all'alleanza (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Il progetto di questa coalizione di allargarsi e di adottare una propria moneta di riferimento costituisce una minaccia seria per l'egemonia statunitense nel mondo. Soprattutto, costituisce una terribile sfida sul piano economico in quanto rischia di privare gli Usa di uno dei due strumenti di dominio: quello monetario (l'altro è quello militare) che consente a Washington di drenare risorse economiche dal resto del mondo grazie al fatto che il dollaro è moneta di scambio internazionale e in questo modo di mascherare il crescente deficit produttivo del colosso nordamericano.
Africa
Infine, il ruolo dei BRICS ci conduce logicamente nelle terre dell'Africa, dove ormai si vede a occhio nudo. Qui si gioca la partita fondamentale della sfida tra l'imperialismo occidentale e i paesi “diversamente” capitalisti rappresentati dai BRICS. Il golpe in Niger e la conseguente crisi diplomatica (e forse bellica) ci parlano di questo.
Le preoccupazioni in riva al Potomac
Fin qui si sono descritti i progetti schematici dell'establishment democratico momentaneamente alla guida della superpotenza USA. Tuttavia, anche sulle rive del Potomac, non mancano le preoccupazioni. Innanzitutto, l'anno prossimo ci saranno le elezioni presidenziali e benché l'economia statunitense non stia soffrendo a causa della guerra russa all'Ucraina come nel caso dei suoi alleati occidentali (sarà un caso?), molti americani si stanno insistentemente chiedendo perché mai una parte rilevante delle loro tasse debba essere spesa per rifornire di armi Zelensky e soci: tradotti in cifre 46,5 miliardi di dollari fino a giugno 2023, ma è stato già annunciato un altro pacchetto da 200 milioni. La destra repubblicana che in politica estera non condivide la russofobia democratica è già in rivolta e un esito elettorale sfavorevole per l'attuale inquilino della Casa Bianca non è da escludere.
Per questo motivo, è più utile per gli Usa passare dall'obiettivo militare della sconfitta di Putin in Ucraina a quello del suo duraturo logoramento; anche perché i segnali di esaurimento del popolo ucraino si susseguono. La recente iniziativa di Zelensky contro la corruzione nei centri di reclutamento del paese è anche sintomatica di una diffusa (e legittima) volontà di sottrarsi al massacro. Peraltro, è una ben nota legge tendenziale della storia che i paesi che perdono le guerre, vincano subito dopo le rivoluzioni.
Inoltre, la sempre più evidente defezione in Africa del Niger dal campo occidentale, priva ad esempio la Francia di uno dei suoi più preziosi fornitori di uranio. Al contrario delle previsioni di alcuni di un intervento armato francese in quel paese per ristabilire l'”ordine democratico”, le difficoltà potrebbero spingere Macron a incrementare la sua freddezza per l'impegno a favore di Kiev e contro l'invasione russa.
Insomma, un'analisi dei rischi e delle possibilità si impone anche sull'altra sponda dell'Atlantico. La storia è tutt'altro che finita.