Un excursus nell’economia e nella società dei cinque paesi in via di sviluppo per ragionare sulle loro prospettive
di Ascanio Bernardeschi e Ferdinando Gueli
“Se la Cina è la fabbrica del mondo, l’India è il suo ufficio,
la Russia la stazione di rifornimento e il Brasile la fattoria”
(Paul Krugman, premio Nobel per l’economia)
Parte VIII – Verso un'alternativa agli Usa e al blocco occidentale?
Lo scopo di questa serie di articoli era di ragionare sulla possibilità che il raggruppamento dei Brics potesse costituire realmente un'alternativa al blocco occidentale capeggiato dal declinante ma pericoloso imperialismo statunitense e comprendente un'Europa in fibrillazione, in cui predominano le politiche liberiste.
Una preliminare questione è valutare se il superiore ritmo di crescita di questi paesi emergenti sia destinato a proseguire fino alla realizzazione del “sorpasso” che molti analisti hanno previsto. Già questa è una condizione che non è scontato si realizzi. Alcuni elementi di criticità sono il relativamente basso livello di investimenti in Brasile (il 19%, contro il 44% in Cina e il 40% India), il declino demografico in Russia (-5% in 10 anni) e la bassa aspettativa di vita dovuta al pessimo sistema sanitario, alle condizioni economiche delle classi lavoratrici e all’alcolismo.
La Cina, per esempio, che è senza dubbio la nazione trainante del gruppo, al di là di alcuni segnali di crisi nella borsa di Shanghai, che a nostro parere non sono il principale problema, sta rallentando considerevolmente il ritmo di crescita, e altri paesi, più o meno legati alle quotazioni del petrolio e di altre materie prime (Russia e Brasile in primis), risentono sensibilmente della crisi mondiale. La Russia, inoltre, sta subendo l'impatto delle sanzioni economiche legate alle vicende ucraine nel quadro di una politica estera della Nato tesa a innescare conflitti nelle aree strategiche idonei a ostacolarne i normali flussi commerciali. Siamo evidentemente di fronte a un disegno imperialistico che metterà tutti i possibili bastoni tra le ruote di una incontrastata crescita dei paesi emergenti. Sarà pertanto di importanza non trascurabile la coesione e la capacità di risposta su questo terreno delle maggiori potenze dei Brics (Cina, Russia e India), che tuttavia su alcune controversie locali hanno interessi contrapposti.
La crescita quantitativa non è però l'unico elemento determinante delle prospettive di queste nazioni. È altrettanto importante la capacità di “fare sistema”. Su questo terreno, al di là di pur importanti, solenni annunci, tale propensione appare ancora debole. Se esaminiamo, per esempio, l'interscambio commerciale tra di loro (somma di importazioni ed esportazioni), emerge chiaramente che non si è ancora realizzata un'integrazione stabile. Mentre il peso complessivo del blocco Brics sul commercio globale ha raggiunto un livello crescente e significativo (quasi il 20% nel 2014, in aumento del + 5% rispetto al 2009, e in controtendenza rispetto alle economia più sviluppate), non sono altrettanto rilevanti, e in crescita troppo modesta, i flussi all'interno del gruppo.
Proprio la Cina, che detiene il primato del commercio con l'estero (13% del totale mondiale), è il paese che ha un livello più modesto di scambi con gli altri Brics (nel 2014 il 7,27% del commercio cinese, con un calo rispetto all'anno precedente), mentre la quota di interscambio con i paesi Ocse supera il 57% .
Più significativi, in termini relativi, sono i flussi commerciali del Brasile con gli altri partner (21,62% nel 2014, con un aumento del 3,2% rispetto al 2013), mentre India e Russia si attestano a metà strada (rispettivamente 13% e 11,26%) tra Cina e Brasile. Infine il Sudafrica vanta un interscambio con gli altri Brics del 18,5% ma in forte calo rispetto al 2013.
Riflessioni di diverso segno vengono consigliate ricorrendo a un approccio più dinamico e inquadrato nel contesto delle relazioni economiche e politiche internazionali: la Cina, ad esempio, rappresenta sicuramente un potente polo d’attrazione nelle relazioni tra questi paesi, in quanto riveste, in ciascuno di essi, un ruolo di primario partner commerciale. E ciò appare ovvio se consideriamo l’ormai definitiva affermazione della Cina come grande potenza economica planetaria. Se la Cina è il polo, il legame Russia-Cina, tra tutti, rappresenta, ad oggi, il principale asse di sviluppo di queste relazioni. Ma un altro elemento da considerare è l’India, con il suo forte legame economico con la Cina, nonostante le notevoli problematiche in atto: quello che è stato definito “Cindia” è sicuramente un nucleo di polarizzazione dei flussi economici e commerciali che potrebbe definitivamente far spostare il baricentro dell’economia globale in Asia. L’India inoltre ha una funzione di collante nel gruppo, visti i suoi legami rilevanti anche con Brasile e Sudafrica, che difettano soprattutto alla Russia.
Se queste tendenze in atto dovessero rafforzarsi nel lungo periodo, allora i Brics potrebbero effettivamente ambire a costruire un sistema di relazioni economiche e politiche alternativo, o quanto meno di contrappeso, rispetto alla polarizzazione, oggi ancora prevalente, dell’imperialismo americano, con la sua influenza sull’Ue e sul gruppo dei paesi Ocse.
Più che pensare ai Brics come un futuro blocco geoeconomico e geopolitico contrapposto, e di dimensioni comparabili, al blocco occidentale, si dovrebbe forse concludere che essi potranno sicuramente rivestire un ruolo di primo piano, se riusciranno a mantenere un’unità di fondo negli indirizzi politici internazionali, nella ricomposizione degli equilibri globali che porterà quindi ad una situazione differente di quella odierna, con polarizzazioni e aggregazioni non facili oggi da prevedere. La banca comune per gli investimenti, lanciata dalla Cina, potrebbe divenire uno strumento importante di coordinamento per muoversi in quella direzione. Naturalmente, oltre ai fattori economico-commerciali, tutto dipenderà anche da fattori politici, militari, finanziari, sociali e, perché no, anche ambientali e culturali.
A quest'ultimo proposito veniamo al nodo fondamentale. Per i comunisti è certamente di grande importanza poter valutare se un blocco di nazioni sarà in grado di scalfire la supremazia dell'imperialismo americano e dei suoi satelliti. Ma è ancor più importante intuire se tale blocco possa anche costituire un'alternativa di sistema, cioè mettere in piedi relazioni economiche e sociali idonee a rovesciare il predominio dei rapporti di produzione capitalistici. Su questo punto lo stato attuale delle cose è a dir poco contraddittorio. Abbiamo già visto le notevoli differenze in termini di territorio, popolazione, Pil pro capite, struttura economica e demografica, sistema sociale, ecc.
Altrettanto rilevante è la diseguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza all'interno di ciascun paese: il coefficiente di concentrazione di Gini (0,48), per esempio, è mediamente superiore perfino a quello registrato nei G7 (0,39) e mostra segni di accentuazione delle disuguaglianze nel tempo, del tutto in linea con la tendenza nel mondo occidentale. La cosa si spiega col fatto che nelle attuali “economie aperte”, in cui i capitali possono vagare senza importanti ostacoli alla ricerca del migliore rendimento, è assai difficile condurre politiche di equità che immancabilmente vanno a impattare sul saggio del profitto. Nella guerra economica fra territori, al contrario, ciascuno tende a stendere tappeti di velluto agli speculatori, ai danni degli aspetti sociali e ambientali.
Diventa quindi indispensabile un molto più accentuato livello di integrazione tra questi paesi, di modo che possano diventare un sistema sufficientemente auto-centrato, e quindi meno dipendente dalle vicissitudini del capitalismo internazionale, in cui sia possibile innescare maggiori tutele dei lavoratori. L'analisi sull'intercambio che abbiamo proposto sopra, non consente, almeno in questa fase, di sgombrare i dubbi a questo riguardo.
Importanti saranno anche i rapporti con altre nazioni e aggregazioni regionali che cercano di sottrarsi alle nefandezze del liberismo (Medio Oriente, Africa, America Latina ecc.). Lo stesso recente mancato sostegno alla Grecia, alla disperata ricerca di partner che potessero allentare il feroce ricatto europeo nei suoi confronti, parrebbe una conferma che i tempi non sono ancora maturi per un'effettiva alternativa.
Infine, oltre alle condizioni economiche, devono essere prese in esame le condizioni politiche per una transizione di segno socialista in paesi in cui bene o male la borghesia svolge un ruolo non irrilevante. Tutto dipenderà dall'esito della lotta di classe nei rispettivi paesi.
Non c'è spazio qui – e la cosa richiederebbe un'analisi approfondita – per esprimere congetture in materia. Ci limitiamo a riferire che, per quanto riguarda le prospettive della nazione più importante, la Cina, le opinioni sono assai discordanti anche in ambito marxista.
Fonti:
I dati di interscambio sono tratti da World Trade Atlas con elaborazioni dell’Agenzia-ICE.
Per un'opinione sulle prospettive della Cina più ottimistica delle nostre, si vadano le due interviste a Domenico Losurdo apparse su Ilcaffegeopolitico.org: http://www.ilcaffegeopolitico.org/31432/cose-davvero-lacina-intervista-al-prof-domenico-losurdo e http://www.ilcaffegeopolitico.org/31439/cose-davvero-la-cina-intervista-a-prof-domenico-losurdo-2