Dopo il grande boom mediatico di quest’estate sulle vicende politiche del piccolo grande paese nel cuore dell’Egeo, la successiva pacificazione con la vittoria di una SYRIZA depurata dalle sue frange più conflittuali e lo scoppio di altri terremoti politici al di là dell’Atlantico nessuno più parla di Grecia. Ma che succede oggi nel paese più indebitato d’Europa?
di Davide Costa
La Troika nei fatti fa da padrona ad Atene: negli occhi e nei cuori di chi ha lottato fino all’ultimo per l’emancipazione sociale e nazionale è sicuramente un sconfitta. E’ una sconfitta per quella gioventù che era uno degli assi portanti della vecchia SYRIZA e che oggi per l’80 % se ne è andata sbattendo la porta.
Una SYRIZA assolutamente degenerata agli occhi di una sua giovane ex tesserata, Katerina Skargioti, che ci fa notare come questo Governo Tsipras II sia assolutamente sottomesso alla Troika e ai diktat che vengono da Bruxelles: una resa che già era manifesta nel programma di settembre, radicalmente diverso da quello di gennaio, una resa alle politiche padronali e neoliberiste. Una resa che oggi costerà 1,8 miliardi di euro.
Parliamo di ulteriori tagli alle pensioni (il governo deve decidere se fare un taglio trasversale del 6%, uno del 15% alle pensioni di 800 euro in più o del 30% alle pensioni da 1.000 euro in su), della privatizzazione di 14 aeroporti ceduti alla multinazionale tedesca Fraport, di tagli agli ammortizzatori sociali e agli stipendi (eliminare il 20% dei beneficiari del sussidio di disoccupazione EKAS), di una nuova legge sul mercato immobiliare che tutela sempre meno anche coloro che hanno solo una casa, e che in questa fase diminuiscono a vista d’occhio. Parliamo dello scioglimento della Commissione Verità sul debito greco che si occupava di analizzare quanto e se il debito pubblico greco fosse legittimo, commissione creata dal precedente governo Tsipras, ma era una vecchia SYRIZA, una vecchia storia da dimenticare.
Ma parliamo anche di nuovi accordi bilaterali con l’Israele di Netanyahu che in nessun modo si spiegano. Un popolo spogliato di tutto e ora anche della propria sovranità. In nome di cosa? Della mancanza di alternativa o dell’illusione di una “Europa progressista”?
Se i bolscevichi nel 1917, Ernesto Guevara e Fidel Castro nel 1959, fossero stati prudenti e “realisti” non avremmo avuto due rivoluzioni che hanno messo in crisi lo status quo del potere capitalista.
Sulla seconda istanza credo ci sia davvero poco da dire: tutto il processo di integrazione europea dagli anni ’50 a oggi si è basato sulla liberalizzazione dei mercati e dei capitali, sullo smantellamento progressivo del Welfare State e sulla riduzione degli spazi democratici nell’intervento in economia: dalla messa in comune dei settori energetici del carbone e dell’acciaio, si è passati progressivamente a tutti gli altri settori abbandonando il controllo governativo legato al Parlamento eletto in nome di criteri “tecnici”.
Una sinistra vittima dei fantasmi del proprio passato, come dice un altro giovane compagno greco, Marios Vlachos: “il punto non è ricostruire la Sinistra ma iniziare un processo di rifondazione delle nostre pratiche e del nostro modo di pensare che non deve essere dogmatico. Dobbiamo colmare il vuoto della relazione dialettica tra natura umana e sviluppo sociale”
Ciò non può di certo avvenire sottomettendoci a una sovrastruttura opprimente e transnazionale che poi è il riflesso più puro di una struttura capitalista globalizzata, fluida e destrutturata ma soprattutto destrutturante: è la stessa idea di istituzione rappresentativa borghese che sta venendo meno, conta sempre meno in nome di una presunta superiorità.
Non cogliere i processi storici ed economici storici in atto sarebbe per noi comunisti un grave peccato. La Grecia è il più vivo esempio della crisi del Welfare State sorto nel secondo dopoguerra anche sotto la spinta propulsiva di un sistema bipolare che vedeva l’Occidente capitalista minacciato dal blocco sovietico: dagli anni 70’ in poi, con la crisi petrolifera del ’73 e il successivo crollo del dollaro, il boom economico industriale si è fermato e il sistema si è inceppato. Le industrie non riuscivano ad affrontare la crisi e chiudevano creando disoccupazione diffusa, allo stesso tempo la richiesta di protezione sociale era forte ed ha portato lo Stato a contrarre debiti con privati per soddisfare la domanda. A questo indebitamento si è man mano risposto con tagli e sempre minor intervento dello Stato in economia, quello che oggi tutti chiamano neoliberismo.
Ma questa visione, poi neanche tanto nuova, dello Stato e dell’economia si è istituzionalizzata in mostri transnazionali oggi noti come Fondo Monetario Internazionale (che oggi viene quasi incensato dalla “sinistra” per le sue dichiarazioni sull’insostenibilità del debito, dimenticandosi il suo ruolo nella crisi economica argentina), Banca Mondiale e infine Unione Europea.
Sono circuiti della morte, fuori da ogni minimo controllo popolare, che impongono cinicamente politiche recessive e di pareggio di bilancio, insensate per le classi lavoratrici, ma tutte a vantaggio dei grandi poli economici che scaricano la crisi sulle classi subalterne e si riprendono con gli interessi ciò che avevano concesso negli anni del boom economico.
Questa drammatica situazione e la totale incapacità della Sinistra greca ed europea di elaborare un’alternativa forte e frontale: i due partecipatissimi scioperi generali fanno da contraltare a una situazione di disillusione generale, le classi subalterne greche non vedono la luce alla fine del tunnel e chi oggi vota SYRIZA non lo fa perché, come a gennaio, si sente galvanizzato dall’ “alternatività” ma perché è il male minore. Oggi SYRIZA è l’establishment, oggi SYRIZA è la Troika un po’ più Rossa.
Da una parte quindi abbiamo un ex partito di sinistra radicale che ha subito un processo di “pasokizzazione”, come dicono i giovani compagni greci, e che ogni giorno perde qualche pezzo un po’ critico, si veda il deputato Stathis Panagoulis (fratello di quel Panagoulis, emblema della Resistenza greca alla dittatura dei colonelli) che è stato rimosso dal gruppo parlamentare perché contrario a votare l’ennesima legge di lacrime e sangue imposta da Bruxelles, o il deputato Gabriel Sakellaridis che invece si è dimesso.
Tsipras alla tv di Stato ha tuonato dicendo che chi non è d’accordo con l’agenda di governo è tenuto a dimettersi e a lasciare il posto a chi voterebbe favorevolmente, in quanto il fatto che il nuovo governo avrebbe portato avanti certe politiche (imposte e recessive) era chiaro fin dalla campana elettorale.Ed in effetti come dargli torto?
Dall’altra invece abbiamo una sinistra comunista diffusa ma insufficiente: il Partito Comunista Greco attende una rivoluzione che da sola non arriverà mai e rivendica la propria lungimiranza politica, senza però di fatto riuscire ad avvicinarsi a quel grande sostrato di disoccupati e lavoratori precari che ora più che mai hanno bisogno di organizzazione.
C’è un grande attivismo a livello di movimenti (dove molti ex giovani di SYRIZA sono finiti, cercando nuovi orizzonti) ma non essendo coordinato da niente e nessuno, non riesce ad avere un largo respiro. ANTARSYA si è di fatto smembrata sull’aderire o no a Unità Popolare e quest’ultima deve riuscire a radicarsi ma soprattutto a dare a sé stessa un’identità che vada oltre SYRIZA. (cosa che i giovani che non sono entrati in LAE dopo aver lasciato SYRIZA, rimproverano).
Unità Popolare quindi ha il compito di rifiutare sia il “liquidazionismo” riformista di SYRIZA, sia il dogmatismo puro del KKE: non dimentichiamoci che il marxismo non è, nelle parole dello stesso Marx, un’ideologia ma anzi ad esse si contrasta; trattasi invece di una teoria generale della società attraverso cui analizzarne i vari aspetti che son sempre mutevoli, dinamici e mai uguali. Le manifestazioni pratiche attraverso cui rendere il marxismo realtà sono tutte da scoprire contesto per contesto, come Lenin insegna.
In Italia dovremmo imparare queste lezioni importanti prima di imbarcarci nell’ennesimo contenitore fallimentare tanto “vario e ampio” quanto totalmente inutile e dalle prospettive politiche inesistenti.
Ma oggi ad Atene c’è la Troika da cacciare, che sia rossa o blu o senza colore conta poco.