Da sud Israele attacca con i suoi jet, mentre gli osservatori delle Nazioni Unite riportano che i soldati di Gerusalemme intrattengono contatti con l'opposizione armata ad Assad sul confine del Golan. A nord la Turchia prosegue nella sua apparente neutralità tra i combattenti di Kobane e i tagliagole dell'Isis. Nel frattempo, gli Stati Uniti e i loro alleati parlano a Bruxelles di arresto dell'offensiva jihadista nell'area, ma la situazione sul terreno li smentisce.
La Siria è assediata, stretta in un cerchio di ferro da nord e da sud. Questa è l'ipotesi interpretativa che si rafforza dopo gli attacchi aerei israeliani di qualche giorno fa nei dintorni di Damasco e presso la città di Dimas. I raid degli aerei con la stella di Davide (né smentiti, né confermati dal Governo dimissionario di Netanyahu) sarebbero motivati dalla necessità di colpire i missili antiarei di fabbricazione russa S-300 destinati alle milizie sciite di Hezbollah: un potenziale serio pericolo per la sicurezza dello Stato di Israele.
Tuttavia, un intervento armato (l'ennesimo, dato che l'ultimo si è verificato in giugno causato da colpi di mortaio sparati da ignoti sulle alture del Golan e che avevano ucciso un adolescente israeliano) nel contesto di un paese dilaniato da una feroce guerra civile, non si può considerare neutro. Da un punto di vista oggettivo è contro qualcuno (il regime siriano di Bashar Al Assad e il suo alleato Hezbollah) e pertanto a favore di qualcun'altro (i jihadisti di Al Nusra e dell'Isis). Tanto più che si inserisce in una ripresa di attività offensiva da parte degli integralisti islamici come dimostra il quasi contemporaneo bombardamento di Damasco e l'assalto dell'Isis all'aeroporto di Deir Ez Zour nell'est del paese. Una ripresa di aggressività che smentisce la recente conferenza internazionale della coalizione anti-Isis riunitasi a Bruxelles all'inizio di dicembre. Un consesso di ben 60 nazioni che ha proclamato abbastanza infondatamente l'arresto dell'avanzata del Califfato in Siria e in Iraq.
Sia detto a titolo di dettaglio: nella riunione di Bruxelles spiccava il profilo del governo italiano, impegnato con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a valorizzare l'impegno nostrano “apprezzato e considerato utile da tutte le parti” (sigh!).
Probabilmente, le prossime elezioni politiche in Israele hanno avuto un peso nella scelta di effettuare gli attacchi aerei su territorio siriano, come ipotizzano i deputati di opposizione al governo Netanyahu, ma non va trascurata la prossima ascesa all'incarico di capo di Stato Maggiore di Gabi Eizenkot, noto per la sua impostazione piuttosto “radicale” del confronto con gli sciiti di Hezbollah: la distruzione totale di ogni villaggio libanese che fornisca appoggio al “Partito di Dio”.
Peraltro, un elemento chiave per comprendere a chi vadano le preferenze israeliane nella guerra civile siriana viene fornito addirittura dall'Onu. L'Undof, ovvero le Forze di Disimpegno degli Osservatori delle Nazioni Unite, situati sul confine israelo-siriano, parlano di ripetuti contatti tra le forze armate di Gerusalemme e i combattenti anti-Assad nell'ultimo anno e mezzo. Contatti che vengono descritti nei termini di una decina di persone ferite trasportate attraverso la zona del cessate il fuoco e anche di soldati israeliani che consegnano due casse a membri dell'opposizione armata siriana.
Questo ciò che accade sul confine meridionale del “buco nero” siriano, ma se si volge lo sguardo a nord si potrà scorgere una realtà del tutto parallela. L'altro fedele alleato dell'Occidente, nonché membro della Nato, la Turchia, prosegue nella sua apparente politica di neutralità nei confronti dello scontro tra i valorosi combattenti kurdo-siriani di Kobane e i tagliagole dell'Isis. In realtà, sono molti i sospetti dei kurdi che l'esercito turco consenta ai miliziani dell'Isis di passare il confine per aggirare la resistenza di chi combatte per la democrazia, i diritti delle donne e l'autogoverno delle comunità, al di là dell'appartenza etnica o religiosa.
Un quadro di terribile ambiguità si apre quindi dinanzi agli occhi degli osservatori, mentre ancora si levano in cielo gli aerei degli Stati Uniti e dei loro alleati, in apparenza per contrastare il mostro terrorista dell'Isis.
Come già evidenziato in un precedente articolo, non si può non prendere in considerazione che i due principali pilastri della tradizionale politica occidentale nel Medio Oriente giochino un ruolo a favore del fondamentalismo islamico sunnita nello scontro in atto in Siria in questo momento. Ora però sono i governi occidentali, con la coda “imbarazzante” dei loro alleati delle monarchie petrolifere, a dover chiarire qual è il senso della loro politica in Siria e in Iraq. Qualcosa di un pochino più concreto che le generiche affermazioni a favore della democrazia, dei diritti umani, ecc.
Nel frattempo, i popoli in lotta per la loro dignità e contro tutti i domini imperiali, occidentali o del Califfo che siano, un'idea precisa se la stanno facendo.
Sitografia:
Il “Manifesto” sull'attacco israeliano in Siria e sul rapporto dell'Undof: http://ilmanifesto.info/deputati-israele-confermano-attacco-aereo-in-siria/
“La Stampa” sullo stesso argomento: http://www.lastampa.it/2014/12/07/esteri/damasco-accusa-israele-raid-vicino-alla-citt-HiNkoTBfetxbgV38yQXDOI/pagina.html
“Rai News 24” sulla conferenza internazionale contro l'Isis di Bruxelles: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/coalizione-anti-isis-bruxelles-risultati-fermata-avanzata-jihadista-55cc4d56-7529-4d85-9c63-e1181d1cb4fe.html?refresh_ce
“La Stampa” sulla scelta di Eizenkot come nuovo capo di Stato Maggiore dell'esercito isareliano: http://www.lastampa.it/2014/11/30/esteri/israele-gadi-einzenkot-designato-nuovo-capo-stato-maggiore-delle-forze-armate-3tdLCqFCgeUWLnJhpug5vI/pagina.html