BREMA MILANO. C’è chi distribuisce dati sui movimenti migratori che coinvolgono i Paesi dell’Unione, chi illustra i supporti finanziari ai Paesi più esposti al fenomeno, chi racconta roadmap, progressi in tema di sicurezza, protezione e integrazione dei minori stranieri non accompagnati. C’è anche chi si scandalizza se sente parlare di “lager” quando si parla dei campi di accoglienza-reclusione dei profughi fermi o restituiti alla Libia. A Marc Arno Harwing, di origini tedesche, team leader del Migration Support Team Italia che bene illustra i progressi dell’Agenda europea sulla migrazione bisognerebbe consiliare di seguire la proiezione, prevista al Parlamento europeo, del film di Andrea Segre “L’ordine delle cose”, proiettato alla Camera dei deputati italiani e che è stato girato, nella parte che tratta dei campi di accoglienza-reclusione ubicati in Libia, autentici lager di triste memoria, con la collaborazione di capi-banda tribali libici. Andrebbe anche ricordato che risale al 1500 la tratta di esseri umani dei Paesi africani da parte di bande arabe intente a vendere per lavoro veri e propri schiavi.
Sulla migrazione si gioca molto del futuro dell’Europa : gira la roadmap con il planning operativo fino a maggio 2019 con i numeri della migrazione, la sorveglianza delle frontiere, la sicurezza UE, questioni su cui Parlamento europeo e Consiglio europeo devono trovare l’accordo che comprende anche il piano di condivisione con la Libia, garante degli imbarchi per l’Europa e dell’accoglienza di chi non può partire e di chi ritorna. Qualche perplessità e qualche dubbio scaturisce sentendo l’ottimismo di chi in Italia è funzionario presso la sede milanese della Commissione europea e che snocciola dati statistici sulle iniziative legislative in atto anche per la protezione e l’integrazione dei minori stranieri non accompagnati su cui la legge italiana sembrerebbe testimoniare una buona prassi.
Sono stati anche presentati i supporti finanziari all’Italia concessi per sostenere il lato con tante oscurità delle concessioni come il Fondo per l’Asilo, la Migrazione e l’Integrazione (AMIF) e il Fondo per la Sicurezza Interna (ISF), nonché il fondo d’emergenza per il meccanismo di ricollocazione nei Paesi d’origine con sosta per il passaggio nei centri libici. Si dovrebbe tenere conto delle condizioni dei centri di accoglienza italiani, in particolare di quelli ubicati nelle zone di frontiera del sud e del nord e andrebbe ricordato che i numeri delle statistiche sono persone, esseri umani che andrebbero, con il rispetto per la loro dignità, prima di tutto.
Nessuno ci venga a raccontare che i buoni rapporti tra i Paesi dell’Unione europea o con Stati cuscinetto (come la Svizzera) o con Paesi del nord Africa renderanno efficiente l’accoglienza e garantiranno la sicurezza interna: primo, sono buoni i rapporti tra i Paesi dell’UE? La Francia che rimanda in Italia profughi, l’Austria che potenzia la presenza militare al confine con l’Italia, i campi di accoglienza al confine nord della Francia, gli stagni (anche loro lager) di Calais, i Paesi dell’est che posizionano filo spinato e muri sono forse da considerare fattori di progresso per l’agenda europea sulla migrazione?
Mi viene alla mente – e al cuore – Ibrahim, uno dei tanti che, riuscito ad arrivare a Ventimiglia o a Como con il sogno di raggiungere familiari o amici in Svezia o Inghilterra, ancora è lì con il suo sogno su uno scoglio o ricoverato in un centro di accoglienza.