I massacri occultati alla base dell’esilio dei palestinesi

Una preziosa inchiesta del giornale israeliano “Haaretz” testimonia come il ministero della difesa israeliano abbia creato una commissione segreta per far scomparire i documenti che testimoniano quella che i palestinesi definiscono la Nakba, la catastrofe, e che lo storico israeliano Pappe, nel corso delle sue ricerche, ha definito la pulizia etnica alla base della creazione dello Stato di Israele


I massacri occultati alla base dell’esilio dei palestinesi Credits: https://imeu.org/article/the-nakba-65-years-of-dispossession-and-apartheid

I servizi segreti israeliani, che avevano da poco ultimato l’occupazione di buona parte della Palestina, in un dettagliato rapporto del 30 giugno 1948 indicano quali siano state le reali cause dell’esilio dei palestinesi dalla loro terra. Da questo punto di vista, è in primo luogo estremamente interessante il passaggio in cui è scritto “l’evacuazione britannica ci ha dato via libera”, ovvero ha reso possibile quelle operazioni militari che provocheranno la fuga di un numero estremamente elevato di palestinesi.

Nel documento non manca una descrizione, per quanto indiretta, del famigerato Piano Dalet, redatto a inizio del 1948, nella prospettiva del ritiro britannico, dalle Haganah, le milizie sioniste da cui sarebbe sorto l’esercito israeliano. Nel piano è descritta la modalità della pulizia etnica, a partire da esemplari massacri in certi villaggi e dall’assalto ad altri da tre lati, per consentire agli abitanti, come unica via di fuga la strada dell’esilio verso i paesi arabi confinanti. Nelle oltre settanta pagine del piano, è esposta la tattica militare per “assumere il controllo dello Stato ebraico”, attraverso “pressione economica assediando alcune città; […] distruzione dei villaggi (fuoco, dinamite, mine); […] accerchiamento del villaggio e nell’eventualità di una resistenza la forza armata deve essere distrutta e la popolazione espulsa; […] isolamento delle vie d’accesso e blocco dei servizi essenziali (acqua, elettricità, carburante)” [1].

Tornando al documento, estremamente prezioso, dei servizi segreti israeliani, esso stabilisce con precisione anche i numeri della pulizia etnica perpetrata, smentendo la costante propaganda che dal 1948 a oggi, senza esitare dinanzi a una palese operazione di revisionismo storico, continua a negare la nakba sostenendo che la popolazione araba palestinese avrebbe abbandonato le proprie case e le proprie terre, volontariamente, istigata dai paesi arabi che l’avrebbe spinta a emigrare promettendogli che sarebbe presto tornata con l’esercito arabo che avrebbe riconquistato i territori perduti. Al contrario, nel documento citato sono gli stessi servizi segreti sionisti a certificare innanzitutto che, al contrario della leggenda sionista per cui la Palestina sarebbe stata una terra senza un popolo, essa contava alcune città e centinaia di villaggi ed era dotata di un’economia viva, prima di subire gli assalti dei sionisti. D’altra parte, certifica ancora il documento: “l’economia araba non era stata danneggiata tanto da impedire alla popolazione di sostenersi”. Aggiungendo che “almeno il 55% di tutta la migrazione fu motivata dalle nostre azioni [dell’Haganah]. L’azione dei dissidenti [formazioni paramilitari di destra ndr] come fattore dell’evacuazione degli arabi da Eretz Yisrael ha avuto un 15% di impatto diretto. In conclusione l’impatto delle azioni militari ebraiche è stato decisivo: il 70% dei residenti ha lasciato le proprie comunità come risultato di queste azioni”. Quindi, la precipitosa fuga di 8 palestinesi su dieci, ovvero oltre un milione di esseri umani, come si deduce dai registri dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), da oltre duecento villaggi e da ben 4 città spopolate, non ebbe nulla di spontaneo, di volontario.

Anzi il documento elenca meticolosamente i motivi che hanno costretto i palestinesi di ogni città e villaggio ad abbandonare tutto per rifugiarsi all’estero. Così, ad esempio, si può leggere: “Ein Zaytoun, distruzione del villaggio da parte nostra; Qabbaa, nostro attacco contro di loro”. Questo rapporto costituisce, dunque, un’importante verifica della validità delle tesi degli storici, anche israeliani, che hanno più o meno accreditato la tesi di una pulizia etnica dei palestinesi dalla propria terra come Ilan Pappè, costretto perciò a vivere in esilio, e poi Benny Morris, Hillel Cohen e Avi Shlaim.

Ora, la notizia di attualità, che ci ha portato a ripercorrere questi tragici eventi è che il citato rapporto è uno dei preziosi documenti che il ministero della Difesa israeliano ha fatto distruggere, come ha rivelato una giornalista israeliana, Hagar Shezaf, in un’importante inchiesta pubblicata il 5 luglio sull’edizione in lingua inglese di Haaretz, uno dei più attendibili quotidiani israeliani.

Restano, d’altra parte, le testimonianze lasciate dagli stessi autori di alcuni dei più drammatici “pogrom” perpetrati dai sionisti per terrorizzate e costringere all’esodo la popolazione Palestinese. A cominciare dal caso esemplare del massacro (ben 110 palestinesi assassinati, la quasi totalità degli abitanti del centro abitato) di Deir Yassin del 9 aprile 1948 portato a termine come “monito” per i palestinesi che non avrebbero abbandonato pacificamente le proprie terre e le proprie case.

Queste azioni terroristiche furono realizzate dalle organizzazioni sioniste definite “dissidenti” dal documento dell’intelligence sopra citato, in quanto non inquadrati nella milizia ufficiale Haganah. Per quanto questi gruppi di destra, macchiatisi di veri e propri crimini di guerra, allora erano all’opposizione, in seguito conquisteranno lo stesso governo dello Stato ebraico alla fine degli anni settanta con Menachem Begin, al tempo capo indiscusso della famigerata formazione paramilitare Irgun (fra i responsabili, tra l’altro dell’emblematica operazione di pulizia etnica portata a termine con il massacro degli abitanti di Deir Yassin, comprese donne e bambini). Nonostante il suo ruolo direttivo in un vero e proprio squadrone della morte, Begin continua a mantenere un ruolo di primo piano nella memoria storica ufficiale del suo paese – non a caso, ormai, da anni governato da quella destra sionista di cui è stato uno dei massimi esponenti e dei padri fondatori, tanto che, ad esempio, gli è intitolata l’importante strada che collega i due maggiori centri: Tel Aviv e Gerusalemme e che, paradossalmente, passa proprio dove sorgeva il villaggio, ora, come di consueto cancellato dalla carta geografica per farlo scomparire dalla stessa memoria storica, trasformandolo in Givat Shaul, quartiere di Gerusalemme.

Anche i documenti di archivio di questo massacro, a lungo occultato, dopo essere stati infine desecretati sono stati eliminati dal piano messo in atto dal Ministero della difesa e in questa estate finalmente venuto alla luce. Per altro, i crimini di Begin sono stati occultati dalla stessa “comunità internazionale”, ovvero dall’imperialismo occidentale, al punto che gli è stato conferito nel 1978 il premio nobel per la pace.

A testimoniare l’orrore del massacro restano le testimonianze degli stessi responsabili, a cominciare da Mordechai Gichon, delle Haganah – che nei fatti coprirono il massacro compiuto dai paramilitari – che parla significativamente di un vero e proprio pogrom: “a me è parso un pogrom. Se attacchi una postazione militare e ci sono cento uccisi, non è un pogrom. Ma se vai in una comunità civile, quello è un pogrom. Se si uccidono civili, è un massacro”. Del resto della gravità dell’accaduto si accorsero subito i sionisti che, per cancellarne le tracce, inviarono un futuro ministro, Yair Tsaban, che a proposito di questa sua esperienza ha ricordato: “la Croce Rossa poteva arrivare in ogni momento, era necessario nascondere le tracce”.

D’altra parte all’opera avevano già in parte provveduto, immediatamente, le stesse milizie sioniste. Ecco la testimonianza di un comandante di un’altra formazione paramilitare di destra, Lehi, Yehoshua Zettler: “correvano [i palestinesi abitanti del villaggio] come gatti. Casa per casa, mettevamo esplosivo e loro scappavano. Un’esplosione e poi avanti, metà del villaggio non c’era più. I miei uomini hanno preso i corpi, li hanno impilati e gli hanno dato fuoco. Hanno iniziato a puzzare”. Abbiamo, infine, la testimonianza di un esponente della terza formazione paramilitare, Yehuda Feder, che scrive in una lettera: “lo scorso venerdì insieme alle Irgun il nostro movimento ha compiuto una tremenda operazione di occupazione del villaggio arabo Deir Yassin. Ho partecipato all’operazione nel modo più attivo. Ho ucciso un arabo armato e due ragazze arabe di 16 o 17 anni. Li ho messi al muro e li ho colpiti con due colpi di pistola”.

Tornando all’attualità è, quindi, emerso che il ministero della difesa israeliano da anni ha costituito una commissione (Malmab) che in incognito ha sistematicamente operato per eliminare i documenti declassificati, che testimoniano della Nakba, ovvero della pulizia etnica della popolazione palestinese dalla propria terra a partire dal 1948. Già precedentemente, per un ricercatore l’accessibilità ai documenti era sostanzialmente negata, non potendo consultare i documenti dei servizi segreti, solo 1% degli archivi di Stato e appena 50.000 dei 12 milioni di documenti dell’archivio dell’esercito. Resterebbero gli archivi privati, ma proprio per non far uscire nemmeno da essi documenti, che potrebbero mettere in cattiva luce l’operato dello Stato ebraico, il ministero della difesa chiede o intima ai proprietari di negare la consultazione dei documenti giudicati compromettenti. Inoltre, agenti di questa squadra speciale del ministero (Malmab), provvede a risolvere alla fonte il problema eliminando anche dagli archivi privati tali documenti, come quello dell’intelligence, citato all’inizio di questo articolo, sui motivi che hanno portato i palestinesi ad abbandonare il loro paese nel 1948.

Nell’importante articolo che ha fatto esplodere il caso, Burying the Nakba: How Israel Systematically Hides Evidence of 1948 Expulsion of Arabs, è tra l’altro riportata la preziosa testimonianza dell’ex dirigente del Malmab, Yehiel Horev, incaricato di eliminare i documenti che potrebbero danneggiare l’immagine del suo paese. Horev chiarisce come l’obiettivo del suo gruppo di lavoro fosse quello di minare la credibilità degli studi che hanno denunciato la Nakba, eliminando quei documento sui quali tali opere storiche si sono basate.

Ciò porta la giornalista israeliana autrice dell’articolo sopra citato a sostenere che “dall’inizio dell’ultimo decennio i team del Malmab hanno rimosso dagli archivi numerosi documenti che erano stati declassificati, nel quadro di uno sforzo sistematico per nascondere le prove della Nakba”. Riportando alcune testimonianze emblematiche, come quella della storica Tamar Novick che, dopo aver trovato in un archivio privato un documento che documentava una delle più emblematiche stragi alla base della Nakba, dopo essersi confrontata con lo storico israeliano Morris che vi aveva fatto riferimento in un suo libro, ha dovuto fare l’amara scoperta che, nel frattempo, il documento era stato fatto scomparire.

Oltre a far sparire preziose tracce della Nakba, come denuncia lo storico Salim Tamari – dell’università di Harvard, specializzato in questi eventi storici – in un’intervista concessa a “Il manifesto”, “una parte rilevante dei materiali scomparsi riguardano le vicende di palestinesi, in prevalenza contadini, che subito dopo la nascita di Israele provarono a tornare (dall’esilio) per coltivare i loro campi, per controllare lo stato delle proprietà. Persone convinte che presto sarebbero rientrate nelle case da cui erano state cacciate o che avevo dovuto abbandonare. Israele non lo ha mai permesso. Moltissimi di loro furono uccisi senza tanti scrupoli dalle forze armate israeliane. Lo affermano anche i documenti fatti sparire. Nei suoi primi anni di vita lo Stato ebraico usò il pugno di ferro contro quelli che definiva ‘infiltrati’, ma che quasi sempre erano civili che provavano a tornare nella loro terra”.


Note:

[1] Le citazioni presenti nell’articolo e diverse notizie riportate sono desunte da un ottimo dossier realizzato dal quotidiano “Il manifesto” del 18/8/2019 composto dagli articoli di Chiara Cruciati, La strage di Safsaf tra memoria orale e diari israeliani e Il massacro di Deir Yassin nelle voci di chi lo perpetrò: “Fu un pogrom”, e dagli articoli di Michele Giorgio: Sulla Nakba Tel Aviv corre ai ripari, ma è troppo tardi e Il team segreto d’Israele che svuota gli archivi di Stato.

28/09/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://imeu.org/article/the-nakba-65-years-of-dispossession-and-apartheid

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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