La vittoria di Gabriel Boric, il più giovane presidente del Cile, esponente della coalizione Apruebo Dignidad, scaturita dall’alleanza tra il Frente Amplio e Chile digno, a sua volta composto dal PCCH, Partido Igualdad e altri movimenti politici e sociali [1], deve essere guardata con una certa cautela, benché la sconfitta del pinochetista José Antonio Kast, addirittura di ascendenza nazista, debba riempirci di gioia. Prima di tutto chiediamoci chi è Boric: classe 1986, definito izquierdista, ha militato nel movimento Izquierda Autónoma, ha partecipato alle lotte del movimento studentesco cileno del 2011 contro la privatizzazione dell’educazione, è stato a capo delle Federazione degli studenti universitari e ha sostenuto la proteste di massa del 2019-2020 animate dallo slogan “Non sono 30 Pesos, sono 30 anni”.
Ricordo che in questi 30 anni, la maggior parte della popolazione del Cile, considerato la Svizzera dell’America Latina per la sua rapida applicazione delle politiche neoliberali dopo il colpo di Stato contro il governo Allende, fomentato dalla CIA, ha fatto un’esperienza economica di tutt’altro segno. Con molta fatica riesce a far fronte ai costi basici dell’esistenza quotidiana, il salario minimo è di 410 dollari, la metà dei lavoratori guadagna 550 dollari al mese, dei quali il 10% se ne va nella spesa del trasporto ai luoghi di lavoro. A tutto ciò si aggiunge un rapido aumento dei livelli di indebitamento delle famiglie avvenuto tra il 2014 e il 2017, che concerne circa il 73% delle loro entrate. In queste condizioni i famosi 30 pesos equivalenti a 0,04 dollari sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso le cui acque erano già da anni in ebollizione.
Tornando alla figura di Boric, nel 2014 diventa deputato per il partito Convergencia Social, un conglomerato alquanto eterogeneo, che fa parte dell’Internazionale progressista fondata da Bernie Sanders, poi confluito nel Frente Amplio, appoggiato dal quale ha vinto le primarie della sinistra per le elezioni presidenziali, sconfiggendo Daniel Jadue, membro del PCC, criminalizzato da una forte campagna mediatica anticomunista, ma responsabile anche di una risposta moderata alle proteste.
Ormai è noto che queste ultime non si poterono estendere e provocare la caduta del governo del miliardario Sebastian Piñera grazie al cosiddetto Accordo di Pace firmato il 15 novembre del 2019 nel Congresso nazionale dal Frente Amplio insieme alla Unione democratica indipendente di destra e all’antica Concertazione (anche questo un conglomerato confuso composto da socialdemocratici e democristiani che ha governato il Cile dal 1990 al 2010). Con questo atto, condannato dai vari movimenti riuniti nella Unidad Social, a cui il PCCH non partecipò, si deviarono le proteste verso una soluzione istituzionale, le quali avevano visto il loro culmine il 12 novembre con uno sciopero generale di grande portata [2]. Successivamente il Frente Amplio, guidato da Boric, riguardo alla proposta di una legge antibarricata, con cui si criminalizza la protesta sociale, si comportò in maniera ambigua. Dapprima votò a favore della messa in discussione della legge, successivamente a causa delle critiche ricevute votò contro la sua approvazione. A parere di molti questa legge ha rafforzato l’antico regime antidemocratico, fornendogli ulteriori armi per combattere il malcontento della popolazione, che continua a esigere la liberazione dei prigionieri politici incarcerati durante le manifestazioni (circa 600) e altre misure anti neoliberali, ma che purtroppo non trova più espressioni clamorose e coinvolgenti.
La Lista del Pueblo, che aveva conseguito un ottimo risultato nelle precedenti elezioni parlamentari, non ha potuto presentare un suo candidato alle presidenziali perché sono state scoperte gravi irregolarità nella presentazione della candidatura, sta praticamente sfasciandosi, come era del tutto prevedibile, data la sua composizione ibrida. Alcuni suoi membri se ne sono distaccati, fondando un altro gruppo Pueblo contituyente. Comunque, alla fine, ha trovato conveniente appoggiare Boric nel ballottaggio contro Piñera, il quale prima di abbandonare la sua carica sta procedendo alla privatizzazione delle risorse di litio per i prossimi trenta anni.
Come si vede anche il Cile, come l’Italia (come del resto gli altri paesi capitalistici avanzati), è caratterizzata da un gran rimescolamento delle carte, che fa saltare i confini tra le varie forze politiche, ormai prive di ogni progetto di società a lungo termine e animate solo dal desiderio di conquistare il potere. Tutti questi compromessi e patteggiamenti svelano la confusione mentale della classe politica borghese che si mostra sempre più incapace e anche non desiderosa di risolvere i problemi che essa stessa ha prodotto. Purtroppo dall’analisi degli eventi si ricava anche l’incapacità dei lavoratori di riorganizzarsi in maniera compatta contro tutte queste politiche, che non solo peggiorano le condizioni di vita delle masse popolari, ma ormai mettono a rischio la stessa esistenza della civiltà umana. Non scopriamo nulla di nuovo: Marx aveva già scritto che la classe borghese ha fatto proprio il famoso motto di Luigi XV: “aprés moi le déluge!”. E in effetti sembra che ci stiamo avviando verso questo cammino.
Anche se Boric assumerà il suo incarico solo nel mese di marzo, immediatamente dopo la fine dei festeggiamenti per la sua vittoria ha incontrato varie forze politiche, verso alcune delle quali si era espresso sempre criticamente (in particolare verso il Partito socialista), per dar vita al nuovo governo. In una riunione il comitato politico della Coalizione di Apruebo Dignidad e la squadra del presidente hanno deciso di inserire nella nuova amministrazione altri settori politici. In sostanza, i partecipanti al consesso hanno stabilito di includere nel governo il Partito socialista, cui apparteneva Salvador Allende, e di attribuire cariche di livello meno rilevante agli esponenti degli altri gruppi della ex Concertazione e di alcuni movimenti indipendenti. Il primo, di natura socialdemocratica, ha una storia complessa, in cui non mancano episodi di corruzione, ed è stato sempre diviso tra varie tendenze assai conflittuali tra loro. Invece la già citata ex Concertazione, successivamente trasformatasi in Nuova Maggioranza, è la coalizione che ha appoggiato Michelle Bachelet, presidente del Cile per la seconda volta dal 2014 al 2018. L’ascesa al potere di quest’ultima, il cui figlio è stato espulso dal PS per corruzione, non ha visto cambiamenti politico-economici significativi e infatti la sua politica moderata le ha fatto perdere ben presto popolarità tra la popolazione, in particolare negli strati più poveri e tra gli studenti. Questi, protagonisti nelle proteste del 2019-2020, reclamavano dal 2011 e reclamano ancora oggi una riforma radicale del settore educativo, che garantisca l’accesso universale a tutti i livelli dell’istruzione. Riforma che finora non si è voluto fare.
Il programma di Boric (Cambios para vivir mejor) prevede una serie di riforme non radicali che lo associano al progressismo moderato di Podemos (speriamo meno confusionario), di Lula, nel Brasile del 2002, e di altri leader latinoamericani. D’altronde, per ottenere i voti di centro e centro-sinistra, ha dovuto adottare un tono riformista, e molti dei suoi oppositori temono che i comunisti imprimano al governo una svolta di segno diverso. Sostanzialmente egli propone riforme graduali che condurranno all’abbandono della previdenza privata, i cui fondi saranno investiti nelle imprese e quindi legati al loro destino; aumento graduale del salario minimo per arrivare alla fine della legislatura a 5.000 pesos (525,97 euro meno dei 600.000 richiesti); saranno istituiti comitati di impresa però non è specificato se i lavoratori vi saranno inseriti; anche l’aumento delle tasse per i ricchi sarà più graduale rispetto a quanto aveva proposto Jadue, che però si è immediatamente dichiarato d’accordo di inglobare il Partito socialista nel governo; si incrementeranno sempre gradualmente i costi delle concessioni minerarie, in larga parte nelle mani del capitale transnazionale, ma non si parla di socializzazione delle risorse del paese. Infine, saranno condonati i debiti fatti dagli studenti per studiare per arrivare passo passo a un sistema educativo gratuito.
Tale impronta graduale e moderata è stata messa in luce dalle parole di Giorgio Jackson, forse futuro ministro dell’interno, il quale ha dichiarato che il governo sarà un insieme equilibrato, in cui il vecchio e il nuovo si integreranno agevolmente. Sempre su questa linea assai timida, il presidente si è incontrato con se Ricardo Yáñez, Direttore Generale dei Carabineros, un corpo di polizia odiato dalla popolazione per la sua violenza repressiva, sottolineando la necessità di riformare questa istituzione, ma distanziandosi così dalle richieste popolari più radicali. Queste ultime – è bene ricordarlo – erano e sono: indulto ai prigionieri politici, abolizione dello stato di eccezione nel Wallmapu (territori mapuche), fine dei fondi di pensione privati, salario di 600.000 pesos con scala mobile, finanziare il sistema sanitario in modo da porre termine alle liste di attesa e ai profitti delle strutture private, proibire i licenziamenti nei settori fondamentali (salute, educazione etc.). Sembra quasi di stare nell’Italia draghiana. Richieste che potranno concretizzarsi solo se si riaccendono le mobilitazioni e la sinistra radicale costringe il nuovo governo a realizzare cambiamenti reali e non solo qualche aggiustamento per garantire la governabilità e la stabilità del paese.
Quanto alla Convenzione costituzionale, che dovrebbe scrivere la nuova Costituzione cilena, Boric non è riuscito a imporre la sua candidata alla presidenza di questa istituzione, e quindi non ha potuto rafforzare il suo potere come sperava. È stata la giovane Maria Elisa Quinteros, espressione dei Movimenti sociali costituenti di ispirazione ambientalista e femminista, a essere eletta per succedere a Elisa Loncón che ha guidato questo organismo nei precedenti sei mesi. Come abbiamo potuto sperimentare in Europa (si pensi a Podemos e 5 Stelle), proprio la conformazione del “movimento” lo rende uno strumento politico alquanto debole, sottoposto alle pressioni esterne e incline a ogni forma di compromesso per la vaghezza dei suoi fondamenti ideologici oltre che per il desiderio di protagonismo dei suoi esponenti.
Note:
[1] Si tratta di un blocco politico assai simile a quello che ha fatto vincere la presidenza alla Bachelet.
[2] Fatto messo in evidenza anche dal nostro corrispondente dal Cile, il quale osserva anche che Boric è riuscito a riguadagnare consensi nell’elettorato della sinistra moderata (https://www.lacittafutura.it/esteri/la-speranza-ha-vinto-contro-la-paura).