La netta affermazione della sinistra, al ballottaggio delle elezioni presidenziali in Cile, ha un grande valore simbolico internazionale. In primo luogo perché conferma il trend della ripresa delle forze della sinistra in America latina che, dopo la morte di Chavez, avevano vissuto un periodo di crisi generalizzata. Questa ripresa è di grande importanza in quanto l’America latina, dopo la sconfitta storica della sinistra internazionale culminata nella dissoluzione del blocco sovietico, è l’unica zona del mondo in cui le forze progressiste e rivoluzionarie sono in grado di tenere testa alle forze conservatrici e reazionarie. Tale importante anomalia è in parte dovuta a una peculiarità strutturale, per cui l’America latina, a causa della colonizzazione europea, è la zona del mondo con la maggiore polarizzazione sociale. La mancanza di una forte classe media tende a favorire la radicalizzazione del quadro politico consentendo il chiaro scontro fra forze di sinistra e forze di destra. Ciò è stato confermato anche dalle elezioni cilene che hanno visto la netta sconfitta delle forze moderate di centrosinistra e di centrodestra, a favore di candidati della destra e della sinistra radicale. Inoltre l’anomalia dell’America latina è dovuta anche a un fattore soggettivo, sovrastrutturale, ossia al fatto che si faccia ancora sentire la spinta propulsiva della Rivoluzione cubana e della Rivoluzione bolivariana. Ciò favorisce le forze della sinistra radicale che non sono soggette, come le forze della sinistra occidentale, al tragico fenomeno dell’autofobia in rapporto al proprio passato, alla propria storia.
In secondo luogo, l’inatteso risultato del ballottaggio ha segnato una netta battuta di arresto a un fenomeno davvero inquietante, ossia il pericolosissimo rialzare la testa delle forze rovesciste che si richiamano, per la prima volta in modo sostanzialmente esplicito, alle dittature di estrema destra che hanno fatto strage di esponenti della sinistra radicale latinoamericana dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta. Devastante sarebbe stata, anche a livello simbolico, una vittoria in Cile di un nostalgico della dittatura di Pinochet. Anche alla luce delle conseguenze devastanti che ha avuto in Brasile la vittoria alle presidenziali di un nostalgico della dittatura militare. Per fortuna, appare ormai certa la netta sconfitta di Bolsonaro alle prossime presidenziali brasiliane, che dovrebbero riportare anche nel più grande paese dell’America latina, il prossimo anno, le sinistre al governo.
In terzo luogo la netta affermazione della sinistra radicale al ballottaggio è essenziale per ribadire che solo la lotta paga. In quanto questa inattesa affermazione, impensabile fino a poco tempo fa, è stata resa possibile da un grande movimento di massa, che con continue manifestazione ha consentito di rimettere radicalmente in discussione la Costituzione neoliberista imposta dalla dittatura militare cilena. Anche la netta vittoria delle forze della sinistra al referendum per la revisione costituzionale e poi alle elezioni dell’assemblea costituente ha un grande valore simbolico a livello internazionale, in quanto vanno a colpire il primo grande esperimento di quella ideologia neoliberista che, poi, è divenuta dominante a livello internazionale. La vittoria alle presidenziale del candidato della destra radicale sarebbe stato devastante per il morale delle classi subalterne dopo delle mobilitazioni e delle conquiste così significative, anche perché avrebbe rimesso in questione la spinta a un significativo cambiamento della Costituzione neoliberista, imposta da Pinochet.
In quarto luogo la grande affermazione al ballottaggio ha un grande valore simbolico in quanto porta per la prima volta alla presidenza un giovane che è stato fra i principali leader di un grande movimento di lotta studentesca contro il neoliberismo, che ha aperto la strada ai grandi movimenti popolari degli anni successivi, non a caso innescati da una rivolta studentesca.
In quinto luogo la vittoria ha un grande significato in quanto è frutto di una coalizione in cui ha svolto un ruolo molto importante il Partito comunista cileno che, dopo anni di isolamento, ha riconquistato prima all’interno dei movimenti sociali e poi anche nelle elezioni una centralità anch’essa inaspettata fra le forze vincenti della sinistra radicale.
In sesto luogo il grande successo elettorale, con il presidente più votato di tutta la storia del Cile, premia direttamente la grande lotta per l’emancipazione della donna che, proprio a partire dall’America latina, ha rilanciato il movimento femminista a livello globale.
In settimo luogo la vittoria è stata simbolicamente importante perché ha riportato, dopo un continuo calo del numero dei votanti, un numero significativo di elettori della sinistra e delle classi popolari alle urne. L’affermazione nel primo turno del candidato della destra estrema era principalmente il risultato della mancata partecipazione al voto di una parte significativa dell’elettorato di sinistra e popolare, giustamente convinto che le elezioni abbiano essenzialmente il significato di rafforzare la capacità di egemonia delle classi dominanti occultando, al contempo, la loro dittatura classista. La bassa affluenza alle urne era anche il significativo segnale che una parte consistente dell’elettorato popolare si era reso conto che i cambiamenti radicali e strutturali difficilmente avvengono per via elettorale, come la tragica vicenda del golpe contro il governo Allende aveva drammaticamente dimostrato.
D’altra parte, in ottavo luogo, la vittoria è importante in quanto dimostra tutti i limiti della posizione estremista che ritiene indifferente ogni passaggio elettorale e porta avanti, anche in situazioni non prerivoluzionarie, la parola d’ordine astratta e massimalista del boicottaggio. Tale posizione rischiava, come si è visto al primo turno, di favorire ancora una volta la vittoria delle forze che avrebbero costretto tanto i progressisti quanto i rivoluzionari a portare avanti la loro lotta su un piano molto più difficile e arretrato.
In nono luogo l’affermazione elettorale della sinistra radicale è di grande importanza perché ha posto fine a quella alternanza fra forze borghesi di centrodestra e di centrosinistra che aveva portato molti attivisti sociali e una parte maggioritaria delle classi subalterne a una disaffezione per la politica, che le aveva portate a non partecipare nemmeno a elezioni importanti, come quelle per l’assemblea costituente.
In decimo luogo la vittoria ha un grande valore simbolico perché avviene ancora una volta, come nei precedenti casi del Messico, del Perù e dell’Honduras, in uno dei pochi paesi che non erano stati quasi per nulla interessati dall’ondata di sinistra che aveva portato a parlare di socialismo del ventunesimo secolo, cioè in Stati che erano rimasti alleati dei paesi imperialisti e avevano implementato le politiche neoliberiste.
D’altra parte sarà decisivo, per le sorti dei rapporti di forza fra le classi in Cile, se il successo elettorale sarà correttamente interpretato dalle forze della sinistra e delle classi subalterne come il risultato della mobilitazione popolare e delle lotte sociali. Anche perché non è affatto detto che la vittoria elettorale delle forze della sinistra radicale porti necessariamente a un avanzamento dei ceti subalterni nei rapporti di forza che li contrappongono al blocco sociale dominante. Se, malauguratamente, dovesse passare la rappresentazione ideologica liberale della delega della sovranità popolare a un ceto politico, l’affermazione della sinistra potrebbe rivelarsi ancora un volta la classica vittoria di Pirro. La fiducia che un ceto politico, per quanto di sinistra, possa da solo modificare i rapporti di forza fra le classi tanto sul piano strutturale quanto su quello sovrastrutturale non potrà che produrre l’ennesima disillusione politica per i ceti subalterni, che li precipiterà di nuovo in quella posizione antipolitica che ha da sempre favorito le forze e le tendenze oligarchiche. Occorrerà, in effetti, essere ben consapevoli che la democrazia diverrà reale solo quando il potere sarà effettivamente posto sotto il controllo delle masse popolari.
Queste ultime, dunque, dovranno evitare come la peste di adagiarsi sugli allori e di attendere che il governo di sinistra mantenga le sue promesse elettorali ma, proprio al contrario, dovranno dare il massimo impulso alle lotte sociali, per costringere e dare la forza al ceto politico di sinistra al governo di utilizzare le cariche di governo della società capitalista per favorire chi si batte contro di essa, puntando alla transizione al socialismo.
Del resto, già durante il ballottaggio, la mancata mobilitazione popolare dei subalterni al primo turno, ha portato il candidato della sinistra radicale ad assumere posizioni sempre più centriste. Tanto che, contrariamente alle aspettative, la destra radicale non solo ha prontamente ammesso la sconfitta, ma si è immediatamente complimentata con il vincitore. Questo inusuale fair play da parte delle forze conservatrici e reazionarie mira a far cadere il candidato della sinistra nella trappola di pretendere di diventare il presidente di tutti i cileni, assumendo una posizione super partes di arbitro nei confronti del conflitto sociale. Una presunta neutralità che non potrà che significare: contribuire a conservare uno stato di fatto, in cui una minoranza da sempre ristretta gode di enormi privilegi grazie allo sfruttamento della grande maggioranza della popolazione. In altri termini la neutralità e l’essere super partes dei rappresentanti istituzionali della sinistra non potrà che favorire il perpetuarsi del dominio della classe dominante sulle classi subalterne.
Tali politiche, inoltre, non potranno che favorire la rivincita, anche sul piano elettorale, delle forze della destra come hanno recentemente dimostrato, ancora una volta – per restare in America latina – i casi dell’Argentina, della Bolivia e del Messico e, prima ancora, i casi del Brasile e dell'Ecuador. Peraltro, come dimostra l’attitudine centrista sinora dimostrata dal candidato della sinistra radicale peruviana – risultato anche lui a sorpresa vincitore delle elezioni presidenziali – non solo ha indebolito e contribuito a dividere la sinistra, ma ha, di conseguenza, galvanizzato e radicalizzato ulteriormente le forze della destra, che naturalmente vedono in tali politiche moderate un segnale di debolezza del nemico di classe. Del resto, purtroppo, la destra ha più volte dimostrato di essere decisamente più consapevole della sinistra, anche radicale, della necessità di bastonare il can che affoga. Peraltro proprio la tragica fine di Allende dovrebbe ricordare come lo scrupoloso attenersi al legalitarismo borghese da parte della sinistra non frena affatto la volontà di potenza della destra che, ben cosciente che quell’ordine legale è funzionale al proprio dominio, non si fa nessuno scrupolo a violarlo nel momento in cui i propri privilegi vengono messi, anche nel modo più “democratico”, in questione.