La Catalogna è ancora senza un governo, ma c’è una Dichiarazione di Indipendenza e scadenze precise. La sinistra anticapitalista rifiuta di dare una delega in bianco al presidente uscente Mas. Lo stato centrale punta sullo scontro totale.
di Paolo Rizzi
Dopo una settimana di dibattito nel Parlamento della Catalogna, Artur Mas, capo della coalizione indipendentista catalana Uniti Per il Sì (JpS), non è ancora riuscito a farsi eleggere di nuovo Presidente della Catalogna. Dopo le elezioni di fine settembre JpS si è trovata a pochi seggi dall’autosufficienza e a dover, quindi, intavolare una difficile trattativa con l’unico altro partito favorevole al processo di indipendenza: gli anticapitalisti della Candidatura di Unità Popolare (CUP).
Fin dal primo momento la CUP ha fatto sapere di poter sostenere un governo guidato da JpS ma a condizione di una discontinuità politica e personale con la presidenza Mas. Il dibattito parlamentare ha avvicinato le posizioni delle formazioni indipendentiste ma Alberto Baños, capo degli anticapitalisti, ha ribadito che Mas non può essere sostenuto: troppo liberista la sua gestione della crisi economica negli anni passati e troppo personalistica la sua gestione del processo di indipendenza.
Per la CUP il candidato sostenibile sarebbe Raül Romeva, economista capolista di JpS ma proveniente dalle file della sinistra radicale ed ecologista. Durante tutto il dibattito JpS è rimasta compatta sul sostegno a Mas come unico candidato, ed è effettivamente difficile immaginare che alla presidenza possa andare Romeva, un indipendente eco-socialista all’interno di una lista in cui gli attori maggiori sono i socialdemocratici della Sinistra Repubblicana di Catalogna e i liberali di Convergenza Democratica di Catalogna.
L’offerta di Mas nel voto di giovedì è stata quella di un governo con forti deleghe ai vice presidenti, di fatto meno poteri a Mas stesso, e una scadenza già fissata per un nuovo voto di fiducia dopo 10 mesi. Non abbastanza per la CUP che ha riconosciuto gli sforzi di mediazione di Mas ma ha lo stesso votato contro e ha annunciato per il 29 novembre una giornata di dibattito interno in cui discutere la questione della presidenza.
Mentre scrivo, la formazione del nuovo governo catalano è quindi rimandata al mese prossimo mentre Artur Mas rimane presidente facente funzione. In ogni caso, la situazione politica catalana è in continuo movimento e potrebbe evolversi in un accordo in tempi più brevi.
La Dichiarazione di Indipendenza
Il 9 novembre, prima di iniziare il dibattito sulla formazione del governo, il Parlamento catalano ha approvato la Dichiarazione di Avvio del Processo di Indipendenza della Catalogna. Il documento approvato coi voti di JpS e della CUP sostiene che il voto ha dato un mandato democratico per la rottura definitiva con lo stato spagnolo e la creazione di una repubblica catalana indipendente. La Dichiarazione affida al Parlamento il potere costituente e stabilisce che entro 30 giorni dall’approvazione si deve procedere all’approvazione delle leggi sul processo d’indipendenza e alla creazione di un sistema di previdenza sociale catalano e un’agenzia delle entrate catalana. Il processo di indipendenza, secondo le intenzioni degli indipendentisti, il processo deve portare alla scrittura di una nuova costituzione catalana entro 18 mesi.
Della Dichiarazione fanno parte anche degli allegati in cui, in controtendenza con la gestione liberista della crisi da parte di Mas, si impegna il governo catalano a intervenire direttamente contro la povertà energetica e gli sfratti, a favore dell’assistenza medica universale e dell’istruzione pubblica.
I partiti anti-indipendentisti (socialdemocratici del PSOE, conservatori del PP, Ciudadanos) hanno ovviamente votato contro alla Dichiarazione e l’hanno attaccata in tutti i suoi aspetti. La coalizione Catalogna Si Che Si Può (CSQEP, che a sua volta comprende il Partito Comunista Spagnolo-Sinistra Unita, i Verdi Catalani, Podemos e altre forze) ha provato a tenere una linea diversa. Per CSQEP non c’è una legittimità ad avviare unilateralmente il processo di indipendenza perché le elezioni hanno dato agli indipendentisti la maggioranza assoluta dei seggi ma non la maggioranza assoluta dei voti. Per poter avviare qualunque processo, la coalizione di sinistra radicale propone un referendum vincolante, differenziandosi dagli indipendentisti che vogliono un referendum per sancire la fine del processo. A favore di questa proposta ha però votato solo il gruppo di CSQEP, la CUP si è astenuta e tutte le altre forze hanno votato contrario.
Va anche detto che all’interno del gruppo della sinistra radicale esistono vari gradi di ambiguità: i comunisti sono favorevoli a una forte autonomia della Catalogna dentro uno stato federale rinnovato ma rispetterebbero la decisione democratica se il referendum scegliesse l’indipendenza, Podemos invece rimane fortemente contrario al processo di indipendenza in ogni sua forma, al limite di minacciare di espulsione uno dei suoi deputati che intendeva votare a favore della Dichiarazione.
Lo stato centrale allo scontro
Ovviamente lo stato centrale e, in particolare, il governo guidato dai popolari di Rajoy, non è rimasto a guardare senza far nulla. La Dichiarazione di Indipendenza è stata immediatamente impugnata di fronte al Tribunale Costituzionale, che l’ha a sua volta rapidamente dichiarata illegale. Rajoy è quindi passato a minacciare direttamente tutte le cariche istituzionali catalane (incluse quelle ricoperte da politici anti indipendentisti) di conseguenze penali personali nel caso decidessero di attuare gli intenti della Dichiarazione. Altrettanto ovviamente, Mas, Baños e gli altri indipendentisti hanno dichiarato di voler attuare la Dichiarazione.
Contro il processo costituente s’è schierato quasi tutto il mondo politico spagnolo, dai grandi giornale che titolano “La Catalogna fuori dalla democrazia” fino al re Felipe VI che ha dichiarato che “la costituzione prevarrà”.
La vicenda catalana si sta imponendo come uno degli argomenti più importanti delle elezioni politiche di fine dicembre. Attorno alla difesa delle istitutuzioni e della costituzione monarchica si stanno ricompattando i partiti del tradizionale bipartitismo spagnolo: PSOE e PP. In questi stessi giorni i Ciudadanos, il partito “nuovista” di destra liberale attualmente accreditato dai sondaggi come terza forza politica, stanno offrendo a socialdemocratici e popolari la possibilità di governare insieme, ovviamente nel segno della continuità liberista.