Catalogna, la piccola vittoria dell’indipendentismo

Le tre forze politiche indipendentiste catalane di Erc, JpC e Cup hanno la maggioranza assoluta nel parlamento regionale, ma a fronte di un’enorme astensione causata dalla paura del contagio da Covid e dell’avanzata dei franchisti di Vox.


Catalogna, la piccola vittoria dell’indipendentismo

Causa Covid-19 l’indipendentismo catalano ha avuto la sua “piccola” vittoria elettorale. Nella tornata della domenica di San Valentino i tre partiti separatisti Erc (sinistra moderata), JpC (centrodestra) e Cup (sinistra radicale) hanno ottenuto il 47,9% dei voti e 74 seggi superando di 6, la maggioranza assoluta del parlamento catalano: anche la percentuale in voti di fatto è divenuta maggioranza assoluta perché alcune forze politiche non hanno ottenuto nemmeno un rappresentante e i loro voti non sono stati quindi conteggiati.

Tuttavia, c'è da tenere in conto che la percentuale di partecipazione al voto in queste elezioni è stata pari al 53,5% degli aventi diritto, mentre nel 2017 l’affluenza fu del 79%. quindi oltre 25 punti in più. Un crollo di un quarto di elettorato dovuto principalmente alla paura del contagio. D’altra parte per capire il clima sociale è sufficiente guardare le foto degli addetti ai seggi che indossavano le tute protettive bianche di solito utilizzate dal personale sanitario nelle terapie intensive. Il che riduce assai il significato storico di questa conquista della maggioranza assoluta da parte del peraltro variegato fronte indipendentista.

I risultati hanno comunque premiato Erc, la Sinistra repubblicana di Catalogna che ha mantenuto praticamente il 21,3% di quattro anni fa e ne ricava 33 seggi, divenendo la prima forza, mentre i “destri” di JpC (partito dell’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont, ora latitante in Belgio) sono scesi dal 21,6 al 20% con 32 seggi e gli anticapitalisti della Cup sono cresciuti dal 4,4% al 6,6 con 9 seggi. Nel complesso però le formazioni pro-indipendenza hanno perso rispetto alla precedente tornata circa 600mila voti.

Tra le forze non indipendentiste va segnalata: la crescita consistente del Partito socialista catalano che con il 23% è il partito più votato in assoluto (nelle precedenti elezioni aveva ottenuto il 13,8%); la leggera discesa di En Comù Podem (più o meno la versione locale di Podemos) dal 7,4% al 6,8; la disintegrazione della destra liberista di Ciutadans (variante catalana di Ciudadanos) dal 23,3 al 5,5% e soprattutto l’affermazione dei franchisti di Vox che con il 7,6% entrano per la prima volta nel parlamento della Catalogna.

Catalogna: l’indipendenza sognata

Ora se fosse possibile ridurre la politica ad aritmetica le tre forze indipendentiste avrebbero la via spianata: l’elezione di un loro rappresentante come presidente della Generalitat e l’immediato avvio di una trattativa con Madrid per giungere al mitico referendum per l’indipendenza, magari questa volta concordato con il governo spagnolo. Lamentevolmente, le cose non stanno così nemmeno questa volta come peraltro anche le precedenti.

Innanzitutto per le contraddizioni che dividono perfino la coalizione indipendentista: Erc e JpC sono sì per una repubblica autonoma, ma ben radicata nell’Unione Europea e nella Nato, mentre la Cup vuole il socialismo fuori da entrambe. Peraltro, per non farsi mancare nulla, l’Ue non vuole saperne né del socialismo (ovviamente) e nemmeno di un’altra repubblica indipendente, sebbene borghesissima, come quella che vogliono perseguire i catalanisti moderati. 

Completa il quadro il fatto che perfino Erc e Jpc non vanno d’accordissimo tra loro, considerando che i primi sperano ancora di ottenere il rilascio dei prigionieri politici e il referendum, intavolando una trattativa con il governo di Madrid, mentre i secondi con il loro leader esiliato in Belgio non si fidano affatto di chi ora siede al Palazzo della Moncloa.

Peraltro in quel palazzo vive un governo che nella sua componente maggioritaria (il Psoe di Sanchez) è certamente contro la concessione di un referendum ai catalani e quella minoriataria (Unidas Podemos) sarebbe favorevole, ma voterebbe contro se davvero si tenesse la consultazione sull’indipendenza.

Il rigurgito del franchismo, minaccia concreta

Fin qui i sogni difficili da realizzarsi degli indipendentisti. Ma nel frattempo ci sono anche le minacce concrete. Sì, perché mentre a Barcellona si manifesta e ci si scontra in piazza per chiedere la libertà per Pablo Hasél il rapper ennesimo prigioniero politico di un paese che si definisce libero e democratico, nelle urne avanza l’estrema destra di Vox, anticatalanista e centralista.

E non è un bel segnale: il fatto che in Spagna si vada ancora in galera per questioni di reati di opinione (esaltazione del terrorismo e ingiurie alla monarchia), mentre l’ex re Juan Carlos I fuggito dalla Spagna in seguito a scandali finanziari se ne sta negli Emirati Arabi, offre una certa consistenza alle tesi di un’eredità mai superata del franchismo, al di là della figura discutibile del rapper in questione.

Ora le orecchie dovrebbero fischiare ai fautori dell’indipendenza: la società catalana anche questa volta non si dimostra unanimemente per la separazione. Persiste una forte componente filospagnola che non è andata a votare perché spaventata dalla pandemia e meno motivata ideologicamente, ma che ove si è recata alle urne è in parte passata dalla destra di Ciutadans e del Partito Popular al franchismo di Vox. 

Si può pensare a un orizzonte politico progressista che non includa direttamente la questione dell’indipendenza? Artimeticamente sì: sono già tanti gli opinionisti che consigliano alle triade indipendentista di includere nella maggioranza i socialisti catalani guidati dall’ex ministro della sanità spagnolo Salvador Illa. Sarebbe un modo per replicare per certi versi l’infelice (dal punto di vista dei risultati) coalizione al governo del paese.

La vera sfida, dal punto di vista sociale, per la sinistra radicale sia spagnola, sia catalana, è però quello di aprirsi alle masse popolari estranee al progetto dell’indipendenza catalana, ma ostili al ritorno del franchismo e anche del neoliberismo. Masse popolari potenzialmente favorevoli a una rifondazione in senso democratico e plurinazionale di una Repubblica Spagnola, da operare attraverso un referendum per cambiare la costituzione nata dalla transizione postfranchista.

È un’opzione assai difficile da percorrere, dato il blocco ideologico dello schieramento indipendentista, ma sarebbe auspicabile che un fremito d’istinto di sopravvivenza si diffondesse anche dalle parti delle varie frazioni della sinistra di Catalogna e di Spagna.

19/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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