Il 9 luglio ricorre il decimo anniversario del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele. Come non mai nella sua storia, la campagna lanciata nel 2005 dalla società civile palestinese come risposta al fallimento delle istituzioni di fermare le violazioni di Israele, sta al centro ell’attenzione. E a giudicare dalla reazione isterica del governo israeliano, il movimento sta avendo il suo effetto.
di Stephanie Westbrook
Definito di recente dal presidente di Israele Reuven Rivlin “una minaccia strategica del più alto grado”, il nuovo governo di Netanyahu, il più estremista di destra nella sua storia, sta dedicando risorse alla lotta contro questo movimento nonviolento internazionale.
In prima linea ci sarà il numero due del Likud, Gilad Erdan, ora Ministro degli Affari Strategici, che potrà contare su $26 milioni e dieci nuovi collaboratori per la controffensiva al BDS.
Il Ministro del Giustizia, Ayelet Shaked, punta sul fronte legale, chiedendo al dicastero di elaborare un piano per azioni legali civili e penali nei confronti dei sostenitori internazionali della campagna.
Mentre al Knesset (parlamento), Yinon Magal intende presentare una proposta di legge che vieterebbe l’ingresso in Israele, e quindi anche nei Territori palestinesi occupati visto che Israele controlla i confini, ai sostenitori del BDS. Inoltre negherebbe agli ebrei sostenitori del BDS il diritto previsto dalla “legge di ritorno”, che gli permette di ottenere la cittadinanza israeliana.
Anche i sostenitori di Israele si sono arruolati nella lotta. Nello stesso weekend in cui Netanyahu ha convocato una riunione con membri del governo per elaborare una strategia per un maggiore coordinamento tra il governo e gruppi pro-sionisti nel mondo nella guerra al BDS, il multimiliardario Sheldon Adelson si stava già attivando.
Al suo hotel casinò a Las Vegas, The Venetian, il più grande del mondo che comprende copie di alcuni palazzi di Venezia, il principale finanziatore del partito Repubblicano ha organizzato una raccolta fondi a porte chiuse per finanziare la lotta al BDS nei campus universitari negli USA. L’invito al vertice era riservato a chi si impegnava a donare almeno un milione di dollari alla causa nei prossimi due anni.
Un’inquietante conferma dell’importanza del movimento studentesco statunitense si vede in un nuovo sito web anonimo, The Canary Mission, in cui vengono schedati studenti e ricercatori sostenitori del BDS, con foto e informazioni dettagliate. Con stile maccartista e un chiaro scopo intimidatorio, il sito fa appello ai datori di lavoro di non assumere chi è nell’elenco.
Incontri contro il BDS si sono tenuti anche in Gran Bretagna e, a metà giugno, a Milano, organizzato dall’Associazione Italia Israele e la Federazione Sionista Italiana, con il patrocinio della Comunità ebraica di Milano e della Fondazione Corriere della Sera.
Il governo israeliano e i suoi sostenitori sono impegnati da tempo nella lotta contro il BDS. Già nel 2011 la Knesset ha approvato una legge che prevede azioni legali per danno a chi promuove il boicottaggio da parte di chi dichiara di averlo subito. La legge è stata confermata dalla corte suprema israeliana ad aprile. Due anni fa l’ufficio del governo incaricato a combattere il BDS era passato dal Ministero degli Affari Esteri a quello degli Affari Strategici. E durante il suo discorso l’anno scorso alla conferenza dell’Aipac, il più grande lobby pro-sionista degli USA, Netanyahu ha menzionato il BDS 18 volte.
La differenza ora è che mentre prima si cercava di minimizzare il BDS, adesso la lotta è esplicita e dichiarata. Non può che venire in mente la celebre frase di Gandhi, “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi...”
La nuova guerra dichiarata al BDS viene in un momento in cui il movimento raccoglie sempre più consensi e sempre più successi.
L’11 giugno, il fondo pensionistico norvegese KLP, con un valore di $65 miliardi, ha escluso dal proprio portafoglio due imprese internazionali cementiferi, la Cemex e la Heidelberg Cement, a causa del ruolo nella estrazione di risorse naturali nei Territori palestinesi occupati.
All’inizio del mese, la National Union of Students, una confederazione di 600 sindacati studenteschi in Gran Bretagna, ha aderito alla campagna BDS.
A maggio la grande cantante statunitense, Lauryn Hill, è diventata l’ultima in una lunga lista di artisti a disdire concerti in Israele. Recentemente Thurston Moore dei Sonic Youth ha confermato che il concerto annullato ad aprile, per cui non era stato dato motivo, era a sostegno della campagna palestinese. Oltre mille artisti britannici hanno firmato la dichiarazione per il boicottaggio culturale di Israele lanciata a febbraio.
Ad aprile 20 imprese in Sud Africa hanno disdetto contratti con la G4S, impresa britannica che gestisce i checkpoint e le prigioni israeliane dove palestinesi, anche minori, sono detenuti e torturati. L’anno scorso la Gates Foundation e la Chiesa Metodista USA hanno disinvestito dalla G4S.
Nei prossimi giorni, altre tre chiese statunitensi, con un totale di oltre 2,5 milioni di membri, voteranno mozioni sul disinvestimento dalle imprese complici con le violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi.
Due recenti rapporti, uno del Ministero della finanza israeliano e l’altro del think-tank statunitense Rand Corporation, hanno stimato eventuali costi all’economia israeliana a causa del boicottaggio i n $1,2 miliardi e 4,7 miliardi, rispettivamente.
Questi costi già se vedono. L’ultimo rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo dimostra che gli investimenti esteri sono crollati del 46% nel 2014 rispetto al anno precedente. Secondo un’autrice del rapporto, le cause sarebbero soprattutto le conseguenze degli attacchi a Gaza e i boicottaggi internazionali.
Non mancano esempi importanti di unione tra le lotte che identificano alla base dell'oppressione lo stesso sistema e che ritengono il boicottaggio e il disinvestimento strumenti per promuovere un cambiamento. Alla Wesleyan University nel Connecticut, il movimento per il disinvestimento dalle società dei combustibili fossili si è unito a quello per il disinvestimento da Israele per promuovere un’unica mozione. La Columbia University a New York ha in questi giorni disinvestito dalle imprese delle prigioni private, compresa la G4S.
Sin dall’inizio, del movimento #BlackLivesMatter, il popolo palestinese ha solidarizzato comprendendo che cosa vuol dire essere perseguitati con la violenza a causa della propria etnicità, fornendo anche consigli su come difendersi dai gas lacrimogeni. A gennaio una delegazione di #BlackLivesMatter è stata in Palestina.
Anche in Italia, si è visto il movimento per l’acqua pubblica impegnarsi con le reti di solidarietà con la Palestina contro l’accordo tra l’Acea SpA e la Mekorot, società idrica di Israele responsabile del furto delle risorse idriche in Palestina. L’estate scorsa, in Sardegna i movimenti contro le basi e per i diritti dei palestinesi si sono uniti contro le esercitazioni militari, denunciando anche la partecipazione di Israele e ottenendo la sua esclusione, per questa volta.
L’Italia continua a mantenere stretti rapporti con l’apparato militare israeliano. A gennaio i piloti israeliani, freschi dagli attacchi che hanno raso a suolo interi quartieri a Gaza, hanno cominciato ad addestrarsi con i cacciabombardieri M-346 dell’Alenia Aermacchi. Questa primavera, l’Aeronautica italiana ha partecipato a corsi in Israele per operatori di drone. Secondo Defence for Children International, dei 550 bambini uccisi da Israele l’anno scorso, 164 sono morti sotto i missili lanciati dai drone.
Luglio, infatti, segna anche un anno dall’inizio degli ultimi attacchi israeliani su Gaza. E nonostante la crescita e i successi del movimento BDS, questo ci ricorda che gli stati e le istituzioni continuano a permettere a Israele di agire con impunità e le imprese continuano a fare affari.
La campagna BDS serve a rompere questo status quo. E sta funzionando.
Israele e i suoi sostenitori non hanno argomenti per spiegare perché i palestinesi non dovrebbero godere dei loro diritti, perché non dovrebbero vivere senza occupazione militare e oppressione, senza razzismo e apartheid, perché i profughi palestinesi, che rappresentano il 50% della popolazione non dovrebbero esercitare il loro sacrosanto diritto di tornare nelle loro case e nelle loro terre.
Israele e i suoi sostenitori non possono che continuare a versare ancora più fondi in tentativi che potrebbero facilmente risultare in un autogol, con governi potenti e anziani miliardari agguerriti contro chi diffonde la verità e difende i diritti umani.
Ma non possono fermare questo movimento dal basso.