Trump, l’assalto e la pistola sul tavolo

Dopo l’assoluzione da parte del Senato Trump promette di tornare alla politica. La rivolta del 6 gennaio si configura come una minaccia che è stata raccolta.


Trump, l’assalto e la pistola sul tavolo

Alla luce della recente assoluzione di Trump da parte del Senato statunitense dall’accusa di aver fomentato la rivolta che ha portato all’assalto contro la sede del Congresso, si capisce meglio la natura di quell’evento.

L’insurrezione “vandeana” del 6 gennaio non è stata un caso. Non può essere stata di certo un semplice moto di piazza mosso dall'indignazione dei sostenitori del “presidente-miliardario” per la vittoria elettorale scippata dai democratici.

Trump e il suo entourage nel corso delle settimane che vanno dal voto del 3 novembre al 6 gennaio, data della “Save America March” non hanno fatto altro che sfidare l’apparato istituzionale statunitense con manifestazioni anche armate nelle piazze o nei pressi delle sedi dove si tenevano i conteggi dei voti come è accaduto il 6 novembre a Detroit e l’8 a Phoenix. Non era assolutamente difficile prevedere che il giorno dell’Epifania in occasione della conferma dell’elezione a presidente di Joe Biden ci si potesse attendere delle violenze da parte dell’estrema destra pro-Trump. Semmai ci si può stupire del contrario: ovvero di come sia stato possibile che le forze di sicurezza abbiano potuto sottostimare il rischio che correva il Campidoglio.

Bisogna quindi partire dal perché il “Deep State” non abbia fatto nulla per evitare quello che è poi accaduto, in un curioso rovesciamento della teoria complottista di QAnon: ovvero dove si impara che la polizia e i servizi di sicurezza che dovrebbero secondo i teorici della destra radicale americana essere al servizio dei pedofli satanisti, invece non impediscono l’insurrezione di migliaia di suprematisti bianchi, fascisti, razzisti e altri gentiluomini del medesimo spessore.

Per farlo dobbiamo fare qualche passo indietro...

Breve storia del terrorismo di destra negli Usa e lo sfondo di un’economia che fa acqua

Innanzitutto, uno dei più gravi attentati eseguiti negli Stati Uniti è stato compiuto a Oklahoma City nel 1995 ad opera di ex appartenenti all’esercito Usa animati da odio antigovernativo, costò la vita a 168 persone, mentre 572 rimasero ferite. Poi si possono ricordare gli attentati di Atlanta del 1996 (un morto e 111 feriti) messo in atto da un estremista identitario antiabortista (episodio da cui è stato tratto il recente film di Clint Eastwood Richard Jewell del 2019), i massacri di Charleston di matrice suprematista bianca del 2015 (9 vittime), di Orlando motivata da omofobia nel 2016 (50 vittime), di El Paso nel 2019 di matrice xenofoba (22 morti) per citarne alcuni.

Ma soprattutto, secondo l’Fbi dal 2008 al 2018 sono riconducibili all’estrema destra il 73% degli assassini politici negli Usa contro il 23% causato del famigerato fondamentalismo islamico.

È abbastanza agevole rilevare una connessione tra questo dato sulla violenza politica e l’irresistibile declino dell’egemonia economica Usa nel mondo a partire dalla crisi economica dei subprime del 2007.

Da allora, nonostante le perduranti avventure belliche in giro per il mondo (Afghanistan, Libia), la “progressista” presidenza di Obama e la “conservatrice-populista” di Trump la situazione non pare affatto migliorata dato che nel 2019 la bilancia commerciale del paese registrava un deficit ammontante al -2,96% del Pil. Ovviamente poi l’anno scorso grazie all’epidemia di Covid-19 non poteva certo andar meglio: da maggio a ottobre 2020 sono scesi sotto la soglia di povertà ben 8 milioni di americani.

È lecito pertanto pensare che la crisi dell’egemonia dell’imperialismo a stelle strisce abbia gonfiato oltre misura la presenza politica di una destra assai radicale e di massa. Così di massa da portare alla Casa Bianca perfino Donald Trump nel 2016.

Una destra razzista, suprematista bianca, ma anche e soprattutto nutrita dalla crisi delle classi medie che da più di un decennio non possono più promettere ai propri figli un avvenire migliore di quello riservato ai loro genitori. Cosa si può fare in una situazione come questa che rischia di far esplodere una potente lotta di classe della quale il movimento “Occupy Wall Street” del 2011 è stato un inquietante segnale per l'establishment economico-politico statunitense?

Nulla di meglio che far sfogare la rabbia classista della piccola borghesia e dei lavoratori bianchi contro le minoranze etniche, sessuali e politiche, costruendo l’immagine che esse (che ne sono prive) siano le reali detentrici del monopolio del potere politico.

I giorni nostri: la pistola sul tavolo

La prova del governo per la destra americana è stata fatale. La pressione crescente esercitata sulle minoranze attraverso il razzismo sistemico (le violenze e gli omicidi da parte delle forze di polizia di cui l’assassinio di George Floyd è divenuto il simbolo) e l’aumento delle disuguaglianze ha causato un potente movimento di resistenza: il Black Lives Matter.

La vittoria elettorale dei democratici Joe Biden e Kamala Harris non ha proprio nulla di rivoluzionario e non annuncia nemmeno trasformazioni sostanziali dell’assetto capitalistico della società statunitense. Tuttavia è avvenuto sulla scorta della spinta del Black Lives Matter, delle manifestazioni di massa e degli scontri di piazza: per l’estrema destra, ma anche per i grandi attori economici del paese (basti pensare alle grandi imprese del comparto petrolifero, militare e alla lobby delle armi) tutto ciò è intollerabile. Non possono continuare a prosperare anche solo con la minaccia potenziale di un governo che possa essere influenzato dai movimenti di massa dei lavoratori poveri, delle donne, degli antirazzisti.

L’assalto a Capitol Hill si configura così come una “pistola carica” messa sul tavolo: una minaccia e un invito a prendere bene in considerazione le istanze da proteggere e da salvaguardare, senza nessun timore reverenziale per supposti equilibri istituzionali, anzi facendosi forti dei propri legami con gli apparati profondi dello Stato. 

Da questo punto di vista fanno davvero sbellicare dalle risate i commenti scandalizzati dei vari opinionisti liberali di casa nostra che si sono mostrati così preoccupati dalla mancanza di buone maniere delle bande reazionarie che hanno animato l’attacco al Campidoglio: dai Proud Boys ai neoconfederati.

L’assoluzione di Trump dal suo secondo impeachment suggella così l’avvenuto compromesso: “chi ha orecchie ha inteso” e il partito repubblicano ha difeso il suo “campione” pronto a scendere di nuovo nell’arena elettorale alla prossima occasione. D’altro canto, si può esserne certi, i democratici abbandoneranno presto l’abito stretto dell’indignazione. 

Tuttavia sarebbe opportuno che la parola finale spettasse ai milioni di lavoratori poveri, ai neri, ai ladinos, alle donne che hanno nutrito i movimenti radicali di protesta di questo decennio: sta a tutti loro mostrare che i rapporti di forza possono essere ribaltati e le prospettive sociali cambiate, anche negli Stati Uniti.

19/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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