Le fratture nel seno dell’Unione Europea in vista del prossimo vertice

In vista del prossimo vertice dell’Ue, e con la guerra sullo sfondo, emergono importanti divisioni fra i paesi più industrializzati, preoccupati per le misure di sostegno negli USA, e gli altri. In discussione sono soprattutto la misura e la destinazione dei fondi europei. Non sembrano invece esserci esitazioni sul proseguimento delle politiche ordoliberiste.


Le fratture nel seno dell’Unione Europea in vista del prossimo vertice

La pandemia ha messo l’Unione Europea davanti a un bivio: perseverare nel rispetto dei parametri di Maastricht che hanno sancito l’austerità o allentare la morsa in cui avevano chiuso il debito pubblico?

Dinanzi alla crisi economica è prevalsa la seconda ipotesi e, a distanza di due anni, a seguito dei massicci finanziamenti statali accordati negli USA a favore delle imprese, la questione del debito sta tornando in auge.

Se confrontiamo il piano Biden con il PNRR si capisce come gli Usa abbiano stanziato fondi di gran lunga superiori agli europei e non ultimi i progetti per favorire le imprese che decideranno di stabilirsi negli USA, progetti ben noti e tali da rappresentare anche un’aperta minaccia alla competitività delle aziende europee.

Ad accrescere la posizione debitoria dei paesi UE è la crisi determinata dalla guerra in Ucraina. L’indebitamento ulteriore sarà determinato dagli impegni derivanti dall’aumento delle spese militari e dai dettami della bussola strategica europea. I paesi europei sono sempre più invischiati in scenari bellici sulla scia di quel neokeynesismo di guerra che ormai dagli USA si è esteso al vecchio continente.

Ma se il consenso unanime all’invio delle armi di ultima generazione in Ucraina è ormai acclarato non altrettanto possiamo dire rispetto agli scenari economici. In vista del prossimo vertice europeo di metà febbraio, sono sette i paesi UE ad avere già espresso la loro contrarietà a un nuovo finanziamento in solido.

È stata da poco pubblicata una lettera alla Commissione europea degli affari economici, inviata dai ministri delle Finanze di Danimarca, Irlanda, Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria ed Estonia che non solo rivendicano una comune politica industriale, caldeggiata soprattutto da Germania e Francia, ma chiedono esplicitamente di completare la libera circolazione dei capitali.

Parliamo di paesi nei quali i processi di liberalizzazione economica sono stati favoriti dalle autorità statali accompagnandoli con norme capestro contro i diritti sociali e dei lavoratori.

Queste nazioni sono contrarie a nuovi finanziamenti comunitari caldeggiati invece dai paesi economicamente più forti che devono fronteggiare non solo la concorrenza cinese ma anche quella USA.

Poi ci sono anche altri aspetti come il mancato utilizzo di parte delle risorse comunitarie destinate al PNRR e altre decisioni osteggiate perché giudicate troppo sbilanciate a favore di alcune nazioni a discapito di altre.

Nel momento in cui l’UE si trova unita nel rifornimento militare e nel supporto economico all’Ucraina la guerra sta provocando innumerevoli fratture all’interno del vecchio continente e fa venire alla luce contrasti mai sopiti.

E tra i motivi del contrasto intestino all’UE ci sono i fondi destinati alla cosiddetta transizione verde, ai processi di riconversione industriale che favorirebbero alcune nazioni tecnologicamente avanzate creando invece problemi ad altre.

Alcune motivazioni addotte dai sette paesi europei contrari a nuovi fondi comuni meritano di essere riferite:

- finora sono stati utilizzati solo circa 100 miliardi di euro dei 390 miliardi di euro di sovvenzioni del “Piano di ripresa e resilienza” e che “c’è ancora una capacità di prestito inutilizzata disponibile nel PNRR”;

- qualsiasi misura aggiuntiva dovrebbe basarsi su un’analisi approfondita da parte della Commissione del deficit di finanziamento rimanente e non dovrebbe essere introdotto alcun nuovo finanziamento.

I fondi destinati agli ammortizzatori sociali tra l’altro, indispensabili in tempi di transizione economica, agitano i sonni di alcune nazioni la cui produzione è storicamente legata alle fonti energetiche tradizionali.

Ma ancora più forti sono le ragioni del mercato, della libera circolazione di merci e per guadagnare posizioni e aree di influenza rispetto allo strapotere di Francia e Germania, paesi egemoni e in questo momento silenti ma interessati alla ricerca di un compromesso possibile prima del prossimo summit europeo.

03/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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