Futuro al lavoro o ai lavoratori?

La manifestazione di CGIL, CISL e UIL del 9 febbraio è stata la prima opposizione di massa alle politiche economiche del governo giallo-verde, e pur con le sue contraddizioni apre al rilancio della prospettiva di trasformazione dell’esistente.


Futuro al lavoro o ai lavoratori?

Sabato 9 febbraio i tre più grandi sindacati italiani, CGIL, CISL e UIL, sono scesi in piazza. Una grande manifestazione, come non si vedevano da tempo a Roma, complice l’accondiscendenza dei vertici sindacali ai partiti politici precedentemente al governo, e la subalternità ideologica. Tuttavia porre l’accento solo su questo elemento è abbastanza riduttivo perché non evidenzia le contraddizioni presenti nei grandi sindacati e la natura reale della burocrazia sindacale, che nella storia ha evidenziato la capacità di adattarsi al nuovo quadro politico.

La manifestazione “Futuro al lavoro”, con tutti i suoi grossi limiti, ha rappresentato la prima vera opposizione di massa alle politiche economiche del governo giallo-verde, e in particolare contro la Legge di Bilancio. La partecipazione è stata di massa con oltre centomila persone reali in piazza, in buona parte elettorato dei partiti al governo. Ciò è stato testimoniato da una piazza San Giovanni colma di lavoratori e pensionati e dalla necessità di far affluire i manifestanti al punto finale del corteo da diverse direzioni. Ulteriori conferme di questi numeri derivano dalla difficoltà arrecata alla circolazione automobilistica, dai manifestanti che si incontravano per le strade limitrofe al corteo e dal deflusso dal comizio finale che sembrava formare altri cortei. Una partecipazione della classe lavoratrice da sviluppare maggiormente, e in termini più conflittuali, incalzando i sindacati e il governo sulle loro evidenti contraddizioni. Contraddizioni che non mancano e che sono presenti nella piattaforma unitaria della manifestazione.

La proposta sindacale è lunga e articolata, ha come punti salienti questioni importanti come la redistribuzione del reddito, la politica economica e lo sviluppo produttivo. La logica è tutta riformista, si richiede infatti una politica fiscale che tuteli maggiormente i lavoratori subordinati, mentre il governo con la flat tax sta andando in tutt’altra direzione. L’occupazione, per i sindacati, deve essere rilanciata mediante gli investimenti pubblici, compresi quelli per le grandi opere, tra cui la TAV. Il pubblico, nel periodo di crisi, deve essere il volano per l'occupazione e gli investimenti.

Questa posizione della CGIL a favore dei cantieri non è nuova e risale almeno al 2010. La confederazione ha abbracciato tale posizione come conseguenza della propria subalternità ideologica, spinta dai propri interlocutori esterni ma anche dalle componenti interne più arretrate, come la FILLEA [1], che invocano investimenti pubblici nei cantieri per far ripartire l’occupazione. Il finanziatore di tale politica di intervento dello Stato è individuato in Cassa Depositi e Prestiti, con una impostazione molto simile a quella del Movimento 5 Stelle. Sintomo che l'accordo tra sindacati e attuali forze politiche al governo è tutt'altro che impossibile. Con queste parole d'ordine la FILLEA ha indetto una manifestazione a Roma il 15 marzo con CISL e UIL. Tale convinzione di poter rilanciare l’economia e l’occupazione mediante le grandi opere è propria anche di altre categorie, come evidenziato dal patto di Bergamo firmato dai tre sindacati locali con Confindustria e altre associazioni padronali.

Qualcuno, anche nel sindacato, si spinge più in là e invoca apertamente un nuovo patto dei produttori, in cui il sindacato è pronto a fare la sua parte, a condizione che vengano stanziate le risorse e rilanciati i consumi con gli aumenti salariali. Aumenti a dir il vero abbastanza esegui e concentrati sul salario diretto a discapito di quello differito e indiretto. Si pensi che nel caso dell’istruzione è stato richiesto per il prossimo triennio un aumento salariale solo del 4,1%, in linea con l’inflazione al netto dei prodotti energetici importati (indice IPCA), senza contare le sempre più evidenti aperture ai premi di produttività (leggasi merito), che recepiscono il modello industriale di stampo toyotista voluto dalle imprese. Le risorse stanziate da parte del governo sono anche minori di quanto richiesto timidamente dai sindacati; ovvero meno del 2%, con una media, nel triennio 2019-2021, di quasi 60 euro mensili. Il “governo del cambiamento” darà ai lavoratori della scuola pubblica meno di quanto dato dall’odiato governo Renzi, che aveva concesso un aumento molto al di sotto di quanto perso con il blocco decennale del contratto.

Tale patto di cooperazione tra i produttori, auspicato dai padroni ma anche da alcune componenti sindacali, è in completa antitesi con la concezione conflittuale del sindacato; un patto neocorporativo in cui il sindacato è pronto a svolgere il proprio ruolo di moderazione del conflitto e di cogestione della produzione. Alla lotta di classe è sostituito il consociativismo al fine di relegare l'azione sindacale fuori dal conflitto sociale. Che i tre sindacati abbiano abbracciato, oggi, una politica neocorporativa è la scoperta dell’acqua calda. Tale evoluzione della concezione corporativistica del sindacalismo cattolico [2] non è per nulla recente, essendo stata recepita dalla CGIL a partire dagli anni ‘70 con la stipulazione del “patto federativo” con CISL e UIL.

Le accuse di tradimento lanciate quasi ogni giorno alle dirigenze sindacali lasciano il tempo che trovano, essendo funzionali solo ad ingrossare le fila degli iscritti ai propri piccoli sindacati. Uno che ha tradito da molto tempo, ed è quindi un traditore incallito, non si capisce cosa dovrebbe ancora tradire. A quanti auspicano un uscita da tali sindacati con piattaforme arretrate, che hanno firmato accordi contro i lavoratori e che sono su posizioni neocorporative non si può che rispondere che ha senso rimanere al loro interno, perché, come evidenziato con quest'ultima manifestazione, sono purtroppo gli unici sindacati ancora in grado di mobilitare le masse lavoratrici in questo paese.

È necessario non confondere l'azione sindacale con quella di un partito politico. La chiarezza delle posizioni caratterizza i partiti politici. Le parole d'ordine di un sindacato non possono che essere adeguate al livello della coscienza della classe lavoratrice. Coscienza che oggi non è molto elevata, altrimenti gran parte di quella classe non avrebbe votato per le forze politiche al governo. Se poi ci si chiama fuori dalla lotta ideologica dentro tali formazioni di massa, abdicando al proprio ruolo storico di aumentare la coscienza di classe dei lavoratori, per fondare un sindacatino a nostra immagine e somiglianza non si può che limitarsi a fare testimonianza. D’altronde fondare l’ennesimo sindacato con parole d’ordine più conflittuali è relativamente facile, quello che è davvero difficile è avere un reale influenza tra le masse.

Staccare le avanguardie di classe dai grandi sindacati consegna evidentemente la massa dei lavoratori alle posizioni riformiste, se non reazionarie, delle burocrazie sindacali, da sempre interessate alla cogestione dell'esistente e al riconoscimento del proprio ruolo sindacale. Ecco allora spuntare le firme sindacali su accordi sempre più arretrati, anche perché, in una fase di crisi mondiale, non è per nulla facile ottenere, come in una fase espansiva, una piccola restituzione dei profitti.

Il quadro, nel nostro paese, è ulteriormente complicato dalla incapacità delle burocrazie sindacali di base di trovare una necessaria sintesi per formare un unico sindacato conflittuale, dividendosi in decine di più o meno piccoli sindacati spesso in competizione tra loro. Così non si può che tragicamente evidenziare tutta la propria inconsistenza. Oggi questi sindacati riescono anche a vincere delle piccole battaglie di specifici settori o unità produttive, ma non possono che perdere la lotta generale non avendo la forza sufficiente per potersi opporre alla propria controparte, ovvero il padronato e i governi che ne rappresentano gli interessi. Ciò non toglie che evidenti difficoltà le presentano anche i sindacati più grandi, come la CGIL, ma non ci si può compiacere di una situazione che è sempre più sfavorevole per la classe lavoratrice.

Della manifestazione del 9 febbraio non si può, quindi, che cogliere gli elementi positivi da cui cercare di ripartire per rimettere in moto il conflitto sociale ad un livello più generale in questo paese. I sindacati hanno chiaramente criticato la manovra economica dell'attuale governo, il quale sta consolidando sempre più il proprio blocco sociale reazionario egemonico sulla classe lavoratrice. Tali critiche in alcuni casi, come evidenziato in altri articoli, sono venute da destra e dentro ai tre sindacati ci sono evidentemente posizioni politiche ancora più destre di quelle attualmente espresse. Bisogna però cogliere che la non chiarezza della piattaforma può permettere anche l'emergere di posizioni più conflittuali e di sinistra. Nel discorso finale pronunciato da Landini, il neo-segretario generale ha chiesto al governo di contrattare con loro la gestione dell'esistente dopo la dimostrazione di forza, ma ha, anche, aperto alla possibilità di lanciare nuove mobilitazioni, se la trattativa non dovesse andare in porto. Molto dipenderà dalla capacità degli elementi attivi e coscienti, presenti nei sindacati, di lavorare su queste contraddizioni e di svilupparle in senso conflittuale, riaccendendo il protagonismo dei lavoratori. Solo così si potrà evitare l’ennesimo accordo al ribasso e avanzare nel conflitto sociale.

Il sindacato per propria natura è un elemento riformistico, che non può ipotizzare un modello di sviluppo altro rispetto al capitalismo. Esso è funzionale al mantenimento dell’ordine costituito, ovvero agli attuali rapporti di produzione. Lo sviluppo delle forze produttive nel capitalismo non può che agire contro i lavoratori, ed essere strumento dell'oppressione e dello sfruttamento del padronato. Trasformare l'esistente è oggi più necessario essendo sempre più vicina la barbarie, come evidenziato dall’affermarsi diffuso di forze reazionarie a livello mondiale e dall’aumento dei conflitti dovuti all’imperialismo. Tale cambiamento epocale non può che passare per la coscienza dei lavoratori della necessità di tale trasformazione. Pertanto, da una parte è necessario agire all’interno dei sindacati dove sono presenti le masse lavoratrici, che devono essere sottratte all’egemonia delle burocrazie e alla passività. Dall’altra parte è necessario portare avanti la lotta ideologica, perché spesso, sebbene in modo inconsapevole, anche il nostro campo subisce l’egemonia della classe dominante. È ora di lavorare al futuro dei lavoratori, alla liberazione dalle loro catene, e non al futuro dello sfruttamento del lavoro salariato.


Note:

[1] FILLEA è l’acronimo di Federazione Italiana Legno e Affini, ed è il sindacato degli edili della CGIL.

[2] L’origine del corporativismo è nella dottrina sociale cattolica sviluppatasi in opposizione alla società liberale. Il documento che formalmente ha sistemato questa dottrina è l’enciclica papale Rerum Novarum del 1891 emanata da Leone XIII nella quale è auspicata la formazione di “corporazioni di arti e mestieri”, ossia associazioni “sia di soli operai sia miste di operai e padroni”, finalizzate “ad avvicinare e udire le due classi tra loro”. Quarant’anni dopo, in pieno regime fascista, la Quadrigesimo anno di Pio XI, abbracciava il progetto corporativo fascista e l’idea del sindacato unico.

23/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Marco Beccari

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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