La marea di oltre un milione di “corpi coscienti” a Roma, è la dimensione “dell' oltre" che fa paura al governo.

Le enormi mobilitazioni per Gaza del 3 e 4 ottobre, da ultimo, disvelano con forza l’esistenza di un flusso di coscienze che avvertono la necessità di porre un freno a questo tracimare verso il buio della storia. E la coscienza con cui ci si ritrova in piazza va ben oltre il motivo specifico della manifestazione.


La marea di oltre un milione di “corpi coscienti” a Roma, è la dimensione “dell' oltre" che fa paura al governo.

Veramente difficile quantificare con esattezza i numeri reali a Roma. Probabilmente eravamo più di 300.000 il 3 ottobre 2025.

Infatti, allontanandosi dal corteo per le vie adiacenti, ci si rendeva subito conto – almeno qui a Roma – che c’erano altre persone, a gruppi di 5 o 10, sparsi lungo tutto il tragitto, che stavano lì insieme a parlare e a discutere, e facevano parte della manifestazione.

Tra le vie limitrofe esondava la marea, oltre il corteo, ma anche oltre la manifestazione per Gaza. Qualcosa di veramente incredibile.

Non sembrava infatti ci fosse un vero e proprio corteo separato dal resto della città che, solitamente, rimane invece ad osservare da dentro il suo ventre, incuriosita e silente, il fluire dei manifestanti che esprimono le istanze di quei corpi sociali intermedi spesso avvertiti come sconnessi e separati dal resto.

La sensazione, invece, è che nelle manifestazioni per Gaza lo stato emotivo che si sta generando nelle piazze di questi giorni stia travalicando persino il motivo specifico per cui si scende in strada. Le coscienze si stanno mobilitando oltre la comprensione delle connessioni tra tutte le guerre, e persino oltre le atrocità che alcune forme di potere sono in grado di compiere quotidianamente.

Quindi oltre, perché investe le coscienze comuni, facendo emergere una voglia di protagonismo diffusa, non solo nei militanti e nelle avanguardie.

Stare in piazza in questi giorni significa “restare umani”, sentirsi marea e umanità che si solleva nonostante la pesantezza e il fondo in cui è stata relegata da un processo di disumanizzazione totalizzante l’esperienza sociale.

Stare nelle piazze è come stare in un flusso di coscienza collettiva nuova, che chiede un nuovo umanesimo, una nuova socialità, un nuovo modo di riconoscersi esseri umani.

È come se le persone si stessero riappropriando delle strade, delle città in cui vivono, del modo di stare assieme per motivazioni vere, reali, con la voglia di comunicare ed esprimere la gioia per la vita.

È come se la virtualità delle relazioni sociali, con la quale siamo stati abituati a convivere da tempo, si fosse disvelata e rarefatta all’improvviso, lasciando parlare solo i corpi reali, fisici.

Quegli stessi corpi che la GSF (Global Sumud Flottilla) ha messo a disposizione per tuttə noi, aprendo – speriamo – una nuova stagione.

Ed è questo a spaventare chi ci governa: l’idea che le coscienze possano ancora essere scosse e coinvolte nelle decisioni che le riguardano.

Che dunque ci si possa riscattare con un nuovo protagonismo, con un nuovo modo di resistere e di rivendicare la dignità di ogni processo di autodeterminazione che si oppone a ogni forma di sfruttamento, e che la GSF ha reso palese, denudando la realtà.

Grazie per tutto quello che avete fatto. L’umanità vi ricorderà per sempre.

Il 4 ottobre 2025 un’imponente manifestazione, con oltre un milione di persone, ha occupato con i propri corpi le vie di Roma.

Un’onda che non si vedeva da molto tempo, con una voglia palese di proseguire il cammino appena iniziato.

Ma sappiamo anche che nessuno ha bacchette magiche per capire come gestire e dare una prospettiva politica a questa valanga umana che si è riversata nelle strade.

Il punto centrale, che sembra essere emerso con forza, è che il flusso di ieri è un flusso di coscienze che avvertono la necessità di porre un freno a questo tracimare verso il buio della storia.

Se questo è vero, allora credo che ognuno di noi abbia il compito di aiutare la fermentazione sociale, per far emergere forme minime di organizzazione che imparino a marciare su linee generali, unitarie, ben oltre i partiti, i sindacati e i movimenti storici – pur necessari ma insufficienti.

È necessario ritornare a parlare, confrontarsi, sperimentare modi possibili dello stare assieme compatibili con i ritmi frenetici delle nostre vite, con saggezza, mi verrebbe da dire.

Dunque, senza la presunzione del militante h24 che bacchetta le debolezze umane. È un allenamento quotidiano, da praticare con pazienza, basato su obiettivi comuni, sulla richiesta continua di cabine di regia unitarie (chi ha seguito il tavolo “unitario” per la GSF – che di unitario all’inizio aveva ben poco – sa dei limiti di certi contesti, dove c’è ancora, tristemente, chi vuole capitalizzare sotto la propria bandiera questa eccedenza).

Dobbiamo “obbligare” a una giusta postura, veramente rispettosa di tuttə ed unitaria, le varie organizzazioni esistenti, per far fermentare – ovunque possibile – pratiche di autorganizzazione capaci di travalicare gli steccati.

In ambito sindacale, ad esempio, l’unità la fanno i lavoratori e non le sigle sindacali, che, in quanto plurime, sono una contraddizione evidente del loro senso storico.

Le varie forme di autoconvocazione, che vanno oltre la propria appartenenza (il lavoratore d’altronde è obbligato a una scelta), sono una delle strade da costruire.

La lezione di Gramsci credo vada rispolverata, adattandola alle nostre circostanze storiche.

L’eccedenza, di cui si parla in questi giorni, sta lì a dimostrare non solo l’apertura alla possibilità (alla faccia di Fukuyama, ancora), ma anche che le masse, quando si muovono, sono in grado di incidere o, quanto meno, di accelerare alcuni corsi storici, con l’incremento dovuto anche all’esplosione della partecipazione della generazione Z (si veda cosa è successo in Nepal o in Marocco, al di là degli esiti possibili, che talvolta possono essere anche nefasti).

Alcune dichiarazioni politiche infatti – persino della Meloni – sono lì a dimostrarlo. Ovvio che, in assenza della capacità di dare un respiro lungo e di esprimere l’intersezionalità implicita in ogni fatto della realtà, il rischio di un veloce riflusso è dietro l’angolo.

A tutti noi il compito di impedirlo.

10/10/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Riccardo Filesi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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