Dal NO greco a un movimento internazionalista

Il No alla proposta della Troika scaturito dal referendum deve diventare un fattore di lotta e di legame con le classi oppresse dalla Troika e dai governi nazionali che ne fanno le veci. Le classi subalterne in Grecia hanno dimostrato la volontà e la forza di lottare. Ma hanno bisogno del sostegno di un movimento internazionale che sappia sviluppare un'analisi e una coscienza della lotta di classe. In sostanza, di un movimento internazionalista.


Dal NO greco a un movimento internazionalista

Il No alla proposta della Troika scaturito dal referendum deve diventare un fattore di lotta e di legame con le classi oppresse dalla Troika e dai governi nazionali che ne fanno le veci. Le classi subalterne in Grecia hanno dimostrato la volontà e la forza di lottare. Ma hanno bisogno del sostegno di un movimento internazionale che sappia sviluppare un'analisi e una coscienza della lotta di classe. In sostanza, di un movimento internazionalista.


di Carmine Tomeo

La prova di dignità offerta dal popolo greco, che domenica 5 luglio si è espresso in modo massiccio (oltre il 61%) contro la proposta dei creditori, meriterebbe una solidarietà capace di andare ben oltre le rituali dichiarazioni post-referendum.

Da sinistra a destra, ogni partito o esponente politico ha dato la sua lettura del risultato referendario. Non è nemmeno il caso di perdere tempo a ricordare (e tanto meno a commentare) le strumentalizzazioni di personaggi vicini alle posizioni fasciste o dichiaratamente fascisti: da Salvini a Fiore passando per Casapound, anche loro esultanti per il risultato del referendum greco. Anche perché, uno degli insegnamenti che ci vengono dalla Grecia è che nella crisi e per farla finita con l'austerità, un popolo cosciente si pone in lotta contro i tecnocrati e gli sfruttatori, non contro i migranti e gli sfruttati. Vale la pena, però, fare qualche considerazione su ciò che accade nella sinistra italiana.

È interessante partire dalla posizione di Luca Pastorino, candidato per la cosiddetta sinistra di alternativa (per il vero centrosinistra, secondo la definizione dello stesso Pastorino) in Liguria, nelle ultime elezioni regionali. Con il civatiano ligure, secondo il segretario del Prc, Paolo Ferrero, sarebbe dovuta nascere «l’alternativa di sinistra», per «dar vita alla Costituente di Sinistra sulla scia di Syriza e di Podemos». Una dichiarazione resa sull’onda di un entusiasmo già smorzato dallo stesso Pastorino, che intervistato sul referendum greco dichiara: «Sull’Europa non la penso come Podemos», mentre «Tsipras si è mosso in modo contraddittorio». Tant’è che non s’è nemmeno sognato di andare in Grecia per sostenere il No al referendum: «Per rispetto dei greci – dice Pastorino – non siamo d’accordo con queste gite di classe». È un plurale maiestatis quel «non siamo d’accordo»? Probabilmente no, dal momento che anche Civati giustifica la sua assenza nella penisola ellenica allo stesso modo: «Io non sono andato ad Atene per rispetto». Quale sia la mancanza di rispetto nel segnare anche fisicamente una partecipazione, non è dato sapere.

Ma, alla fine, hanno vinto anche loro, i civatiani, insieme a Sel, Fassina, Cofferati e tutta una galassia di sinistra riformista che ogni tanto si scopre di alternativa a convenienza, ma che nella sostanza vuole rimanere vaga. E questa volta non è andata diversamente. Lo stesso Civati ci tiene a sottolineare che «un partito a sinistra del PD non va bene, bisogna fare un partito di sinistra senza nostalgia». Ora, a parte il solito ritornello sulla nostalgia, come deve essere la sinistra? Antagonista? Ovviamente non se ne parla nemmeno; di alternativa? Non necessariamente; radicale? Risponde Vendola, in una intervista rilasciata di recente (due mesi fa) al Corriere della Sera: «Radicale? C’è bisogno di una sinistra senza aggettivi».

Vendola, d’altronde, ha partecipato con tanta convinzione alle primarie del centrosinistra, che anche a distanza di molto tempo ha ritenuto quell’esperienza da rifare, perché «serviva a far nascere "Italia bene comune", un progetto vincente se non fosse stato inquinato dall'ombra di Mario Monti». Un progetto, è bene ricordarlo anche a Vendola, che si proponeva di riportare l’Italia in Europa «dove Mario Monti ha avuto l’autorevolezza di riportarci dopo una decadenza che l’Italia non meritava». Ma tutta Sel non ha ancora fatto i conti con se stessa (se, ovviamente, ritiene di doverli fare).

Quando Vendola riassumeva con la formula con «Tsipras per incontrare Shulz» le conclusioni del congresso perfezionate in un OdG approvato a larghissima maggioranza, l’assemblea, riconoscendo il ruolo centrale di Martin Schulz per rilanciare «da sinistra il progetto di Unione in discontinuità con la lunga stagione del liberismo», guardava «al Partito del Socialismo Europeo come prospettiva e spazio di confronto». Se la formula ambigua dello stare con «Tsipras per incontrare Shulz» si mostrava già allora una palese contraddizione, questa ora mostra tutta la sua insostenibilità. La socialdemocrazia europea, infatti, ed in particolar modo quella tedesca, ha mal digerito il risultato del referendum greco. Martin Schulz, poi, contravvenendo al suo ruolo di presidente del Parlamento europeo, «ha trascorso l'ultima settimana [quella del referendum] facendo campagna per il Si', per la caduta del legittimo governo greco, per la sua "sostituzione con un governo tecnico" pronto ad accettare le insostenibili proposte di austerita' della troika». Queste le parole con le quali, giustamente, eurodeputati appartenenti ai gruppi Gue/Ngl e Greens/EFA hanno chiesto le dimissioni di Schulz.

A questo punto, ormai, e dopo il referendum greco, le ambiguità, le "terre di mezzo" possono reggersi solo su narrazioni ingenuamente idealistiche o fintamente radicali; ma la realtà delle cose sta già dimostrando che la lotta è di classe e su questo piano va combattuta, con la durezza e la radicalità con la quale il capitale ed il padronato la stanno conducendo.

I lavoratori, i pensionati, gli studenti, in generale le classi subalterne in Grecia si trovano già di fronte a questa realtà in tutta la sua durezza. Hanno già dimostrato di avere la volontà e la forza di lottare ed hanno già dimostrato di saperlo fare. Ma hanno bisogno del sostegno di un movimento internazionale che sappia sviluppare un'analisi, una coscienza ed una lotta di classe. In sostanza, c'è bisogno di un movimento internazionalista.

Il No alla proposta della Troika scaturito dal referendum, può essere un fattore di lotta positivo per mantenere o recuperare il necessario legame con le classi oppresse dalla Troika e dai governi nazionali che ne fanno le veci. Certo, il quadro entro il quale ci si muove non è ben delineato. Il movimento che ha sostenuto il No al referendum è un amalgama di posizioni. Ma ora possono aprirsi spazi inediti per una lotta radicale, conflittuale alle politiche imposte a colpi di memorandum ed a chi le sostiene.

Per farlo occorre smetterla con le ambiguità e occorre risolvere le contraddizioni. E occorre anche rinunciare ad inseguire chi quelle ambiguità e contraddizioni le mantiene per sopravvivere a sé stesso. Certo, possono e necessariamente dovranno farsi alleanze tattiche, ma che non devono (come invece sta avvenendo) trasformarsi in scelte strategiche che rischiano di smorzare le tensioni verso il conflitto sociale che pure da noi si notano. In Italia, infatti, ci sono già movimenti che mostrano la possibilità di agire il conflitto, in termini davvero antagonisti e davvero antiliberisti. Movimenti, come quelli che lottano contro la “buona scuola” di Renzi e che tentano di opporsi al Jobs act. Movimenti che il conflitto contro il liberismo lo agiscono nelle piazze e nei luoghi di lavoro o di aggregazione sociale, anziché nelle sale convegno riunite ogni volta che un esponente del Pd lascia il suo partito.

Se non percorreremo questa strada, per continuare pedissequamente ad inseguire chi l’ipotesi del conflitto nemmeno la prende in considerazione, allora perderemo un’occasione. Sarebbe imperdonabile, soprattutto perché quegli spazi che possono aprirsi alla lotta, se non occupati da sinistra, saranno occupati da destra. Delle conseguenze che ne scaturiranno dovremo, un giorno, renderne conto anche noi ai nostri figli.

11/07/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Carmine Tomeo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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