Ci sono giorni che contano come anni per la velocità con cui si svolgono gli eventi ed è proprio questo il caso delle settimane appena trascorse. Dalle dichiarazioni di Trump, in cui ha annunciato di non voler più proteggere militarmente i membri della NATO che non contribuiscono adeguatamente alle spese militari dell’organizzazione più guerrafondaia della storia, si sono succedute una serie di prese di posizioni di leader europei, a partire da quello tedesco Olaf Scholz, che hanno rivelato l’intenzione, che probabilmente già covava sotto la cenere, di riconvertire la propria economia verso un’economia di guerra. Hanno fatto scalpore le parole di Macron e quelle della Von der Leyen, le cui bocche, come spesso accade a questi governanti, si beano nel pronunciare parole di morte. Genocidio, guerra, escalation, violenza e terrore, punizioni e sanzioni, missioni militari, morti sul lavoro e precarietà, queste le parole più pronunciate e che meglio descrivono il mondo in cui viviamo.
Certo, la Germania si è spinta anche più avanti, esponendo pubblicamente un piano di guerra contro la Russia ma, a parte queste uscite deliranti, certamente da non trascurare, la questione centrale resta l’economia. La guerra è legata alla crisi, la crisi affonda le sue radici nella struttura economica del modo di produzione, la guerra è una politica di risoluzione delle contese inter imperialistiche. Anche attori che appaiono dalla stessa parte della barricata, come gli stati occidentali -s’intende le classi dominanti di questi stati- nell’attuale fronte di guerra contro la Russia, sono in realtà dei fratelli-nemici i quali naturalmente sono fratelli nell'attaccare le classi avverse e nemici nella spartizione del bottino. Non bisogna mai perdere di vista questo legame contraddittorio tra economia politica e guerra e in tal senso vanno letti anche le altre, paurose, novità della settimana che riguardano gli accordi bilaterali che l’Ucraina ha sottoscritto con alcuni Paesi come Francia, Italia, Danimarca, Canada. Dando una rapida scorsa a questi accordi, la cui stipula è stata indubbiamente velocizzata dalle dichiarazioni di Trump da un lato e dal fallimento della controffensiva dall’altra, emerge nel complesso l’intenzione degli Stati occidentali facenti parte del polo imperialista europeo, di procedere più speditamente alla spartizione dell’Ucraina prima che sia troppo tardi approfittando anche dello stallo americano. E’ importante appuntare in questo ragionamento che stiamo sviluppando quanto segnalato nella relazione 2023 dei servizi italiani al parlamento, nel capitolo sulla guerra russo-ucraina, i quali indicano che “a fine anno 2023 l’aiuto militare complessivamente stanziato dai Paesi europei superava, per la prima volta, quello offerto dagli Stati Uniti”. Ritornando agli accordi bilaterali di cui si parlava, se da un lato essi sono rivestiti di una pericolosa retorica guerrafondaia incentrata sulla mutua difesa, la stessa usata da Macron che ha addirittura paventato per primo la discesa sul terreno di propri militari sul campo di guerra, nel complesso puntano al ridisegno economico dell’Ucraina che verrà, nella prospettiva di una grande fabbrica di guerra secondo le intenzioni e gli interessi di chi in questi anni l’ha sostenuta. Non a caso i capitoli più approfonditi di questi accordi riguardano la cooperazione nel campo della difesa e della sicurezza, giungendo perfino ad immaginare un’Ucraina del futuro così tanto ben armata da essere addirittura in grado di difendere le altre potenze europee, e il settore della ricostruzione del tessuto di imprese private. Nell’accordo con la Francia si legge infatti :
“La Francia ha fornito all'Ucraina un totale di 1,7 miliardi di EUR in aiuti militari nel 2022 e di 2,1 miliardi di EUR nel 2023. Nel 2024, la Francia fornirà fino a 3 miliardi di euro di sostegno aggiuntivo.
I partecipanti (s’intende i partecipanti all’accordo cioè Francia e Ucraina n.d.r.) cercheranno di garantire che le capacità militari dell'Ucraina siano ad un livello tale che, in caso di aggressione militare esterna nei confronti della Francia, l'Ucraina sia in grado di fornire un'assistenza militare efficace. I termini, il formato e l'ambito di applicazione di tale assistenza saranno determinati dai Partecipanti.”
Più avanti leggiamo:
“Il partecipante francese contribuirà allo sviluppo della base industriale della difesa dell'Ucraina, anche attraverso investimenti francesi, la localizzazione della produzione in Ucraina e la produzione congiunta per la fabbricazione di armi e munizioni prioritarie. I partecipanti faciliteranno la creazione di joint venture, anche per la manutenzione e la riparazione di armi e attrezzature militari.”
Lo stesso schema, ancorché con cifre decisamente inferiori, è stato elaborato per l’accordo bilaterale con l’Italia . Riportiamo qualche passaggio tra i più significativi:
“Fin dall'inizio della guerra, l'Italia ha sostenuto in modo capillare l'Ucraina con contributi in diversi settori. Tra questi, 110 milioni di euro per il sostegno al bilancio, 200 milioni di euro per i prestiti agevolati, 100 milioni di euro per gli aiuti umanitari, 820 milioni di euro per sostenere i rifugiati ucraini in Italia, 400 milioni di euro circa per il sostegno macrofinanziario, 213 milioni di euro per il sostegno allo sviluppo, 200 milioni di euro per sostenere la resilienza energetica dell'Ucraina. L'Italia ha fornito contributi sostanziali all'Ucraina e continuerà ad affrontare i bisogni più urgenti e immediati dell'Ucraina per rafforzare le sue capacità di sicurezza.L'Italia ha fornito all'Ucraina 8 pacchetti di aiuti militari nel 2022 e nel 2023 e intende mantenere lo stesso livello di sostegno militare supplementare nel 2024, che sarà determinato in dettaglio attraverso consultazioni tra i partecipanti e tenendo conto delle esigenze contingenti dell'Ucraina. A tal proposito, l'Italia ha già prorogato per tutto il 2024 la normativa in materia che autorizza ulteriori sostegni militari. [...]L'Italia continuerà a sostenere l'Ucraina per la durata decennale dell'accordo.[...] Sulla base della Dichiarazione congiunta rilasciata il 26 aprile 2023 al termine della conferenza bilaterale per la ripresa dell'Ucraina, l'Italia e l'Ucraina si sono impegnate a rafforzare la cooperazione tra le loro imprese per la ripresa e la ricostruzione dell'Ucraina e hanno espresso la loro disponibilità a lavorare insieme nel quadro delle sanzioni per garantire la stabilità economica e la prosperità di entrambi i Paesi.L'Italia proseguirà il suo partenariato con la città di Odessa e la regione di Odessa per sostenere, tra l'altro, finanziariamente, la ricostruzione, la resilienza e le riforme.”
In altri termini, questo trenino di accordi bilaterali appare da un lato come un tentativo di spaventare il nemico russo, paventando il coinvolgimento diretto in guerra, da un altro molto più concretamente esso si proietta nel futuro e prefigura la costruzione di una “cortina difensiva” in grado di proteggere i futuri investimenti in Ucraina che saranno incentrati specialmente nell'industria della guerra. Ovviamente questi accordi rispondono anche ai reciproci rapporti di forza tra le varie potenze, misurabili sia sulla base del PIL ma più precisamente sulla base del sostegno fornito in questi anni all’Ucraina che non a caso viene puntualmente indicato negli accordi. Le dichiarazioni di Scholz, gli accordi con l’Ucraina, le prospettive nel continente africano, anche queste sempre ben evidenziate nella relazione dei servizi cui si accennava prima, compongono un mosaico sempre più chiaro della direzione che sta prendendo l’imperialismo per uscire dalla profonda crisi economica in cui versa. La guerra in questo senso rappresenta una contesa per risolvere gli squilibri interni alle potenze imperialiste, ma per un altro verso un mezzo attraverso il quale rilanciare l’economia introducendo sempre più paurosamente il cosiddetto keynesismo di guerra.
In effetti a partire dalla pandemia da Covid 19 sono divenute sempre più palesi le deficienze strutturali alla base della “globalizzazione” dell’economia condotta dal capitalismo. Piano piano emerge sempre più chiaramente che un'economia su base mondiale o è costruita sul principio del reciproco rispetto e della equa cooperazione tra i popoli, sulla base dell’internazionalismo proletario, oppure essa è impossibile. Il capitalismo nella sua fase imperialista, centralizzando l'economia, ha costruito un sistema di relazioni è vero mondiali ma basate sul massimo sfruttamento della forza lavoro e dell’ambiente, dislocando gli investimenti in funzione solo della massima profittabilità. In tal modo si sono costruite complesse catene produttive che attraversano diversi paesi, in grado di drenare plusvalore dalle imprese locali -sempre più numerose- verso il centro della costellazione, cioè i grandi complessi transnazionali intorno ai quali i medi produttori sono inevitabilmente costretti a ruotare. Un sviluppo che mostra evidentemente la tendenza all'internazionalizzazione del lavoro e dei lavoratori -potremmo dire al socialismo- una meta però al contempo impossibile sulla base del fondamento stesso del capitalismo e cioè la proprietà privata. La costruzione internazionale del capitalismo è dunque costretta a crollare sotto i colpi delle crescenti divergenze nello sviluppo dei vari paesi e del necessario conflitto per la spartizione del profitto quale caratteristica strutturale di questo obsoleto modello sociale. Nel capitalismo infatti, ciò che conta è il profitto e non lo sviluppo del genere umano tanto che anche gli investimenti diretti ai paesi in via di sviluppo sono sempre pensati in quest’ottica e mai in quella del libero e reciproco rispetto della sovranità. Le catene del valore iniziano a presentare serie falle e i meccanismi cosiddetti di “resilienza” non potranno sopperire alla crisi del modello globale capitalistico. Purtroppo date le circostanze in cui si muove l’occidente ossia il dominio pressochè totale delle forze borghesi sulla società civile, questa crisi non potrà che essere gestita in questa fase dalle classi dominanti le quali non concepiscono altro mezzo che la guerra per risolvere le controversie internazionali. In tal senso sarebbe quantomeno auspicabile che alle prossime elezioni europee emergessero delle forze che puntassero almeno a ridare importanza alla parola pace che in tempi bui come questi potrebbe essere il minimo a cui aggrapparci per rilanciare una prospettiva anticapitalista di massa.