Una manovra attendista

Il governo vara il Def che, in una situazione economica disastrosa, annuncia nuove ingiustizie e adesione moderata ai dettami europei. Ma le scelte vere sono rinviate al dopo elezioni.


Una manovra attendista Credits: https://pixabay.com/it/illustrations/notizie-giornale-clessidra-tempo-1677365/

“Confermati i programmi di governo: nessuna nuova tassa e nessuna manovra correttiva. Il documento resta in linea con i programmi di governo della legge di bilancio e il rispetto degli obiettivi fissati dalla commissione Ue”. Questa la dichiarazione del governo dopo il varo del Documento di economia e finanza (Def) che dovrebbe illustrare la manovra finanziaria del governo per il prossimo triennio. Una dichiarazione piuttosto reticente visto che l’economia italiana sta cadendo a picco, che questa caduta determinerà minori entrate e che, ciononostante, il governo intende confermare la politica fiscale varata con l’ultima legge di bilancio, contenente tra l’altro la flat tax e il reddito di cittadinanza. Tenuto di conto che dovrebbero essere reperiti anche i soldi per disinnescare le clausole sull’aumento dell’Iva, dove trova il governo le risorse per realizzare questo miracolo nel rispetto dei pesanti vincoli europei? Evidentemente dai tagli alla spesa sociale. Quindi ancora una volta a pagare saranno i più bistrattati. Anche se il Ministero del Tesoro dichiara di “condividere l’enfasi della Commissione europea sulla riduzione del debito” ma “considerazioni di carattere sociale” consigliano di perseguire “un miglioramento del saldo strutturale più graduale” rispetto alle raccomandazioni Ue. Quindi un’adesione con qualche cautela al liberismo delle istituzioni europee.

Ma andiamo con ordine.

Il quadro macroeconomico pubblicato dal Ministero di Tria in sintesi è questo


Figura 1

Alla luce degli ultimi dati disastrosi della nostra economia, si prevede che Pil crescerà quest’anno dello 0,1%, mentre la legge di bilancio prevedeva, dopo il tira e molla con l’Ue, l’1%. Il governo intende “fronteggiare” questa magra congiuntura “mettendo in campo due pacchetti di misure di sostegno agli investimenti (il decreto legge crescita e quello sblocca cantieri) due pannicelli caldi che infatti dovrebbero portare ad una crescita aggiuntiva di solo 0,1 punti percentuali, fissando così il livello di Pil programmatico allo 0,2%, che salirebbe allo 0,8% nei tre anni successivi”. Nonostante queste misure, il tasso di disoccupazione previsto sale dal 10,6% all’11% e rimarrà stabilmente sopra il 10% per tutto il prossimo triennio, ben al di sopra dell’8,6% previsto per il 2021 dall’ultima legge di bilancio. Ma gli anni successivi contano poco visto che il documento va letto alla luce della imminente scadenza elettorale europea e ha molto il carattere del ‘tiriamo a campare’ fino alle elezioni. E infatti, il documento avverte nero su bianco che bisogna aspettare la Nota di aggiornamento. Insomma devono passare le elezioni di maggio, e “del doman non v’è certezza”.

Conta poco quindi che si scriva che l’occupazione nel 2022, “risulterebbe maggiore di 1,1 punti percentuali rispetto ai livelli dello scenario base” e che i nuovi occupati sarebbero 260 mila. Oltretutto si prevede che l’incremento occupazionale sarà superiore fra le “fasce di individui con minori competenze”. Quindi lavoro poco qualificato e scarsa produttività, a dispetto dei proclami di voler accrescere quest’ultima.

Date le minori entrate, anche il rapporto fra deficit di bilancio e Pil, che – ricordiamo – venne ridotto al 2,04% a seguito dell’intervento della Commissione europea, torna ad essere previsto al 2,4%, esattamente l’importo bocciato a fine 2018 dalla stessa Commissione. Anche di questo parametro si promette un miglioramento negli anni successivi. Intanto vengono congelati i due miliardi di spese dei ministeri posti a garanzia del rispetto dei vincoli contabili.

Di conseguenza sale anche il il debito pubblico. Era il 132,1 del Pil nel 2018 e salirà al 132,8 quest’anno. La lieve riduzione promessa per gli anni successivi lo attesta comunque al di sopra del dato del 2017.

Dei 23 miliardi da reperire per disinnescare le clausole dell’aumento dell’Iva non si fa menzione. Si promette che verranno trovati, ma nel frattempo l’aumento dell’Iva è confermato. Intanto si indica l’estensione della flat tax, le riduzioni delle aliquote Ires alle imprese e un nuovo concordato fiscale (cioè un condono diversamente denominato). Tutte misure che comportano ulteriori riduzioni delle entrate. E se scattano gli aumenti Iva sarà una batosta soprattutto a carico delle persone più disagiate, dato il carattere regressivo dell’imposta.

Diventa quindi d’obbligo, nella logica dei governanti e dell’Unione Europea, fare cassa attivando nuove privatizzazioni per una cifra ammontante quest’anno all’1 per cento del Pil, pari a circa 18 miliardi, una cifra enorme, tenuto conto del poco che ormai è rimasto in mano pubblica, che significa non solo la vendita dei gioielli di casa, ma anche minori entrate future da tali proprietà e minori possibilità di incidere nella politica industriale o nell’organizzazione dei servizi pubblici. E questo in un momento in cui l’economia non tira e quindi dalle dismissioni si realizzerà meno di quanto sarebbe possibile in tempi normali. Fra i pacchetti da dismettere figurano Enav (1,3 miliardi), Poste (3,4 miliardi), Eni (2,5 miliardi) e StMicrolectronics, una società di semiconduttori operante sul mercato mondiale (1,8 miliardi). Se poi, auspicabilmente, sarà la Cassa Depositi e Prestiti, controllata dal Ministero dell’Economia, ad acquisire questi pacchetti, si tratterà di una sorta di partita di giro, un gioco di prestigio per far sparire un po’ di debito ma che non modificherà il quadro consolidato pubblico.

Ma anche queste dismissioni non basteranno e allora il presidente del Consiglio Conte ha dichiarato che per disattivare le clausole che prevedono l'aumento dell'Iva, il governo punterà sulla spending review e la riduzione delle c.d. “tax expenditures”. Ottimi anglicismi per non dire che si taglierà sui servizi e si ridurranno le detrazioni fiscali che sono uno dei pochi fattori rimasti di progressività delle imposte, in un contesto in cui tale progressività è andata enormemente riducendosi nel tempo e si ridurrà drasticamente con la flat tax.

Delle strategie per rilanciare l’economia si danno i titoli e non tutti i titoli sono buona cosa: riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, strategie nazionali per la diffusione di banda larga e 5G, rilancio della politica industriale, stimolo alla mobilità sostenibile, sostegno alla green finance e alla sperimentazione, trasformazioni digitali (?), semplificazioni amministrative, maggiore efficienza della giustizia, interventi di sostegno alle famiglie ed alla natalità. Ma soprattutto non ci sono idee chiare su come realizzare questi obiettivi. Tanto più che quotidianamente assistiamo a sparate di Tria, Di Maio Conte e Salvini, l’un contro l’altro armati che sottolineano i rispettivi punti di vista scarsamente compatibili tra di loro.

Una sezione del Def contiene anche l’introduzione del salario minimo, una indicazione priva di dettagli che potrebbe determinare una rincorsa al ribasso delle retribuzioni e una tendenza alla rincorsa dei minimi contrattuali verso il minimo di legge. Di questo ci riserviamo un commento a parte.

In conclusione un documento attendista e il rinvio della manovra vera a dopo le elezioni, ammesso che dopo il voto il governo gialloverde possa restare in piedi.

20/04/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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