La multinazionale svedese minaccia di disdettare unilateralmente il contratto ai dipendenti entro il 1 Settembre. Ma loro non ci stanno. E per lo sciopero nazionale del gruppo è stato boom di adesioni.
di Selena Di Francescantonio
Ikea: l’amatissimo grande magazzino giallo e blu del mobile di ogni tipo, misura e prezzo, quello che regala le matitine di legno ai propri clienti e offre la possibilità di degustare piatti tipici della cucina svedese nelle pause tra la scelta di una lampada da salotto e tavolini dai nomi impronunciabili, il negozio delle pubblicità che incitano a “fare spazio al tuo buon giorno” e che mostrano bambini intraprendenti o famiglie e giovani coppie, di ogni tendenza sessuale, alle prese con simpatici e tipici litigi tra quelle corsie tanto colme di mobili quanto sapientemente accoglienti. Ikea, appunto, è il tipico esempio di azienda in buona salute: clientela affezionatissima, marketing eccellente, “sostenibilità” e “design democratico”, apertura di nuove sedi e circa 55 milioni di euro di utili nel 2014. Ci sarebbe da chiedersi, dunque, come mai un’azienda che non pare affatto navigare in acque così torbide abbia d’un tratto sentito l’esigenza di porre i sindacati e propri i dipendenti dinnanzi ad un aut aut improvviso e drammatico: o accettare entro un mese l’applicazione di proposte integrative al contratto (e, ovviamente, peggiorative: eliminazione dei premi di partecipazione, tagli delle maggiorazioni per il lavoro domenicale) oppure disdire unilateralmente il contratto integrativo di secondo livello a partire dal 1 Settembre; disdetta che porterebbe ad un taglio netto degli stipendi stimato fino al 20% in un unico colpo.
Ai sindacati e ai lavoratori la minaccia del taglio di diritti e salari è giunta, come un fulmine a ciel sereno, tramite una lettera della direzione nazionale dell’azienda una manciata di giorni fa. Dinnanzi ad una tale situazione, per giunta incalzata dall’imposizione di tempi strettissimi per le negoziazioni, non s’è fatta attendere la reazione dei lavoratori: è stato indetto uno riuscitissimo sciopero nazionale, lo scorso sabato 6 Giugno, che ha portato alla mobilitazione in 21 punti vendita Ikea ed ha visto l’adesione media di circa l’80% del personale; con picchi del 90% nello storico negozio di Carugate, nel milanese, primo punto vendita Ikea in Italia dove, inoltre, si trovano gli uffici dell’amministrazione e nel quale sono impiegate circa 600 persone, delle quali 370 dipendenti in negozio .
In tutta Italia, quindi, lo sciopero dello scorso sabato ha visto una percentuale elevatissima di adesioni e grossi disservizi: oltre il 70% di adesioni all’Ikea di Brescia, Corsico, Roma (Anagnina e Porta di Roma), circa il 90% anche a Bologna, Napoli e Firenze; il negozio di Genova è stato chiuso alle 12 per mancanza di personale, anziché alle 20, mentre in quello di Carugate la chiusura è stata anticipata alle 18 e non alle 21 come di consueto, al sabato. Qui le sigle sindacali ed i lavoratori hanno organizzato, inoltre, un corteo interno di protesta, deciso nella stessa mattinata e partecipato anche da qualche capo reparto e da alcuni coraggiosi lavoratori interinali, che a mezzogiorno ha sfilato per le corsie del negozio dinnanzi ai soli 15 dipendenti non aderenti allo sciopero , ai responsabili e ai clienti che scattavano fotografie al presidio.
Decisiva e rilevante è stata la solidarietà arrivata dall’esterno: a Carugate, al fianco dei lavoratori e delle tre sigle sindacali dell’azienda (USB, CGIL e UIL), c’erano i delegati sindacali USB Carrefour e CGIL Apple, alcuni ragazzi dei GC Milano ma soprattutto l’organizzazione “Martesana Libera”, realtà politica eterogenea che sviluppa percorsi di lotta in questa importante area alle porte di Milano Est e che ha apportato un importante ed apprezzatissimo supporto logistico autorganizzato ai lavoratori in presidio.
Pare che, secondo fonti dello stesso gruppo aziendale, nonostante lo sciopero, il fatturato di Ikea si sia assestato attorno ai 200mila euro di incassi, su una media di circa 450mila di un normale sabato. Ma i numeri che contano realmente restano comunque quelli delle percentuali dei lavoratori che hanno incrociato le braccia contro le minacce della direzione nazionale, in un settore, quello commerciale, così poco sindacalizzato e che rappresenta storicamente un campo poco fertile per le mobilitazioni di questo tipo e di questa entità. Molti lavoratori scesi a presidiare gli ingressi del negozio lo facevano per la prima volta; e molti di loro, eccitati ed increduli, hanno preso atto di come le proteste dei lavoratori non siano solamente quelle messe in atto dalle tute blu con la chiave inglese in mano, le lotte operaie propriamente intese. Anche nel commercio e nella grande distribuzione, settore ultimamente messo estremamente sotto torchio dalla crisi (Auchan, Sma, Carrefour, Mercatone Uno), è possibile e doveroso, per i lavoratori sottopagati ed iper-sfruttati anche nei fine settimana e durante ogni festività, organizzarsi per resistere ed impedire l’ulteriore ed inesorabile erosione delle loro già precarie condizioni lavorative; è cioè che annunciano anche i lavoratori di Ikea che, dopo il successo di sabato scorso, non intendono rassegnarsi e non escludono ulteriori giornate di mobilitazione finalizzate a colpire soprattutto l’incasso del gruppo aziendale.
Per parte sua, Ikea ha indetto un incontro nazionale coi sindacati per il 12 Giugno, a Bologna. La prospettiva più probabile è quella che l’azienda sia costretta ad arretrare sulla disdetta unilaterale e ad aprire un tavolo di trattative con le associazioni sindacali.
Riprendendo, dunque, il quesito iniziale, esso non può che essere inteso che come una domanda meramente retorica: i fatti di Ikea, azienda dal bilancio sano che si ammanta di velleità umanitarie e che sostiene lo sviluppo di politiche aziendali eco-friendly, gay-friendly, togherness ed altre amenità anglicizzate, dimostra quanto, in realtà, sia irrealistico poter sperare nell’esistenza di un capitalismo “buono”, che non sprema sino all’ultima goccia la macchina del profitto cui tutto deve sacrificarsi in un ineluttabile climax di sfruttamento. Dimostra quanto anche questa vicenda sia da inscriversi nel più generale quadro attuale di attacco spietato nei confronti del mondo del lavoro, dei diritti e della dignità delle persone, ai danni delle quali, giorno dopo giorno e da anni, si assesta un colpo dopo l’altro; dalle incessanti dislocazioni delle aziende alle centinaia di vertenze sindacali e licenziamenti di massa lungo tutto lo Stivale sino alla cancellazione dell’articolo 18 e all’avvento del Jobs Act à la Renzi.
Come in una qualsiasi guerra, quindi, anche contro i duri attacchi sferrati dal capitalismo dagli (apparenti) mille volti non c’è che da prepararsi e reagire: la miglior difesa per tutti i lavoratori resta sempre la lotta.