Quell'insopprimibile moderatismo delle classi dirigenti politiche e sindacali

Tra spinte al centro e retorica politica...il vero problema è rappresentato dal moderatismo salariale.


Quell'insopprimibile moderatismo delle classi dirigenti politiche e sindacali

In Italia esistono spazi per una politica di centro all'insegna di un non meglio definibile moderatismo riformista? La risposta è negativa. La moderazione alberga tanto nel centrosinistra quanto nel centrodestra e il moderatismo politico e sindacale è ormai tratto comune ai due schieramenti. Se proprio dovessimo cedere alle sirene moderate finiremmo con il parlare non di riforme ma di processi reazionari veri e propri.

Nella prima Repubblica esistevano forze politiche come socialdemocratici e repubblicani (i liberali assumevano posizioni in campo economico dichiaratamente liberiste) che sono stati l'ago della bilancia per formare coalizioni di pentapartito pur con una modesta pattuglia di parlamentari. Liberali, repubblicani e socialdemocratici furono ferventi atlantisti e, negli anni settanta e ottanta, ancorati alla linea della fermezza ossia dello Stato forte con i movimenti extraparlamentari e le organizzazioni armate.

Alcuni esponenti di questi partiti costituirono l'ossatura di Gladio. A tenerli uniti era un fervente anticomunismo nel nome del quale operarono scelte reazionarie: erano legati a centri di potere economico e finanziario e non a caso ebbero dicasteri importanti su diretto suggerimento di Finanza e Confindustria.

La loro presenza, pur ridotta, in ambito sindacale giocò un ruolo importante prima nella cancellazione della scala mobile e poi per sostenere le regole che hanno ingabbiato prima il diritto di sciopero e poi si sono riversate contro il potere contrattuale.

Nella storia della seconda Repubblica sono nate e subito decedute liste di centro spesso legate a uomini forti la cui ascesa è stata costruita a tavolino con l'avvento del sistema maggioritario.

Oggi il centro è rappresentato da esponenti del centro destra organici al Governo Meloni ma soprattutto nel centro sinistra attorno a Italia Viva, Più Europa e Azione. 

In politica estera ferventi atlantisti, in economia sostenitori del mercato con varie sfaccettature, fondamentalmente divisi tanto che l'ipotesi di riunire le varie realtà sotto un'unica sigla sta tramontando con accuse reciproche tra Renzi e Calenda.

La vera moderazione in Italia è rappresentata dalle politiche intraprese dai due schieramenti che dovrebbero in teoria rappresentare i poli opposti ossia il centro sinistra e il centro destra. E il moderatismo si è impossessato fin dalla fine degli anni settanta del sindacato.

Anche le forze che si richiamano alla destra e alla sinistra, negli ultimi 30 anni, hanno sempre cercato un ancoraggio su posizioni centriste come se dovessero dimostrare la loro affidabilità davanti all'Ue, agli Usa e alla Nato, spogliandosi così di ogni richiamo esplicito a percorsi politici radicali o di rottura comunque degli equilibri esistenti.

Ma anche chi ha strillato con maggiore veemenza nel recente passato, salito al Governo, ha indossato gli abiti della moderazione salariale, come la Meloni che oggi continua nell'opera già intrapresa dal Governo Draghi. Dalla politica estera al Pnrr, dalle scelte in materia di lavoro e welfare fino al fisco è assai difficile trovare un'idea forte e distintiva. Domina il partito unico della moderazione salariale con la scusa di non cadere nella spirale degli aumenti dei prezzi sancita dalla inflazione e in quella degli aumenti salariali che metterebbero in ginocchio, non sono parole nostre, i conti dello Stato e gli imprenditori. E nel timore di scontentare la classe padronale tanto la destra quanto la sinistra assumono posizioni più o meno liberiste e in politica estera si contraddistinguono per la fedeltà all'atlantismo come dimostra per altro il sostegno bipartisan all'aumento delle spese militari e il sostegno militare ed economico all'Ucraina.

Se guardiamo al nuovo documento di economia e finanza si capisce meglio quanto abbiamo fino ad ora scritto.

Aumentando l'inflazione un governo moderato del passato avrebbe scelto di accrescere i salari (addirittura l'accrescimento era previsto come automatico grazie allo strumento della scala mobile), non si sarebbe preoccupato, negli anni neo Keynesiani, dell'aumento dell'inflazione sapendo che dall'incremento della domanda, supportato da politiche monetarie oggi impossibili con l'euro, sarebbe stata possibile la ripresa economica. La differenza rispetto al passato è data dal pareggio di Bilancio in Costituzione secondo i dettami di Bruxelles e su questo punto sono concordi tanto il Pd quanto l'alleanza di centro destra.

L'esecutivo Meloni annuncia tagli alle pensioni e alla sanità (come già fatto da Draghi e predecessori), aumenti della spesa militare in piena subalternità ai dettami Nato, indirizzandosi verso il 2 per cento del Pil, e sostiene la sempreverde politica di contenimento dei salari e delle pensioni

E al moderatismo salariale si aggiunge un altro moderatismo in materia di spesa sociale e welfare, con la differenza che il Governo Meloni più degli Esecutivi tecnici si appresta a favorire politiche securitarie con la periodica invenzione dei nemici di turno contro i quali accanirsi tra revisioni del codice penale e provvedimenti di legge ad hoc.

Tenere a bada l'inflazione è l'ordine impartito dalle associazioni datoriali; e il Ministro Giorgetti, espressione dei poteri economici del Nord, si muove in tale direzione perché la moderazione dei salari "per tenere a bada i prezzi" diventa il tratto qualificante delle scelte intraprese, come dimostra il Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei Ministri.

La crisi economica, l'aumento dei prezzi, la ripresa dell'inflazione determinano l'ennesimo contenimento dei salari, qualche taglio alle pensioni e in sostanza l'impoverimento del welfare, una ricetta già adottata dal Governo Draghi nel solco delle politiche di Maastricht. La differenza della Meloni da Draghi sta nelle politiche fiscali con la destra fautrice della tassa piatta che sancirà crescenti disuguaglianze sociali e il depauperamento del welfare e assai probabilmente una nuova stagione all'insegna delle privatizzazioni.

E non dimentichiamo la riduzione delle tasse che resta il faro guida anche per i sindacati italiani incapaci di proporre l' aumento delle aliquote fiscali per una tassazione crescente e progressiva che restituirebbe fondi allo stato sociale e permetterebbe anche di rivedere quell'iniquo meccanismo dei rinnovi contrattuali che da tempo fa perdere potere di acquisto ai nostri salari.

E così il moderatismo salariale diventa l'elemento caratterizzante della manovra economica all'orizzonte, nel silenzio assenso dei sindacati italiani che, nel migliore dei casi, rivendicano aumenti contrattuali del 5% quando i loro colleghi europei scioperano per incrementi del 10\15 per cento.

Il moderatismo è il male endemico della società italiana o meglio la malattia mortale che affligge la classe politica e sindacale, resta il male assoluto per chiunque voglia restituire dignità alla forza lavoro liberandola da quella subalternità culturale, ideologica e politica che ci ha trasformato nella barzelletta europea, visto che in Italia non ci sono scioperi nonostante i salari da quasi 40 anni perdano potere di acquisto.

14/04/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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