Alcune cose chiare da dire ai sovranisti…
Utopie reazionarie alla moda . La lotta contro l’Ue dei comunisti non li avvicina alla demagogia.
Marx e il sovranismo sono antitetici. L’assioma andrebbe mandato a memoria da chi negli ultimi anni si è fatto incantare dalle sirene di quest’ultima moda politica. Il fatto che l’entità imperialista che risponde al nome di Unione Europea sia avversata da entrambe le posizioni teorico-politiche - quella comunista e quella sovranista - non le rende affatto reciprocamente vicine e compatibili. Anzi. Era già capitata l’occasione di parlarne.
Certo il nemico più forte e agguerrito dei comunisti è il grande capitale europeo a trazione tedesca. Si tratta di una formazione politica ed economica che raggruppa 28 stati, annovera un territorio di oltre 4 milioni di chilometri quadrati e una popolazione di circa 503 milioni e 680 mila abitanti e contava, nel 2017 e per la sola eurozona, secondo la Banca Mondiale, su un Pil di oltre 16 miliardi e 397 milioni di dollari, seconda solo agli Usa (19 miliardi e 390 milioni) e ben davanti alla Cina (circa 12 miliardi e 237 milioni di dollari).
Si tratta, inoltre, di una organizzazione politica responsabile del trattamento shock inflitto a un paese come la Grecia che dopo 6 anni di politiche raccomandate da Bruxelles nel 2017 aveva ancora il 34,8 per cento della popolazione a rischio di povertà (la media europea di quell’anno era del 22,5).
Tuttavia… alcune cose andrebbero dette chiaramente ai cosiddetti sovranisti (soprattutto a quelli che si considerano di sinistra).
Il panorama italiano del sovranismo
Ma cos’è il sovranismo? Come per tutte le correnti politiche la risposta non può essere univoca: ci possono essere molte varianti dello stesso fenomeno. Tuttavia, si può abbozzare una risposta di ordine generale. Il sovranismo è un’espressione politica del movimento culturale e teorico populista che a sua volta è stato la matrice ideologica di cose diversissime tra loro (nazismo in Germania, fascismo in Italia, i socialisti rivoluzionari nella Russia zarista, ecc.), ma con una radice sociale univoca: la piccola borghesia.
La piccola borghesia soprattutto durante le grandi crisi economiche e sociali è la prolifica genitrice delle formazioni politiche più diverse in dipendenza delle più diverse condizioni e del perdurante e aggressivo eclettismo tipico di questa classe sociale a metà tra il proletariato e il grande capitale. Quindi sempre sollecitata da forze e bisogni contrapposti, ma ferocemente determinata a non perdere i piccoli privilegi ereditati dal passato e disponibile a difenderli con ogni mezzo.
In Italia, esistono molte organizzazioni politiche che si fregiano della qualifica di sovranista: guardando a destra si scorgono Lega, Fratelli d’Italia, Casapound. Sbirciando a sinistra, con molta più difficoltà, si può notare Patria e Costituzione di Stefano Fassina. Poi c’è la palude del rossobrunismo, una selva piuttosto confusa e intricata di sigle e di personaggi il cui unico elemento costante e notevole è l’assenza di posizioni di classe e l’implicito rifiuto del pensiero di Karl Marx. Facciamo un nome di riferimento: Diego Fusaro.
L’offerta politica della Lega
Si prenda dunque il pezzo grosso della fauna sovranista e lo si sottoponga a una prima analisi. Cosa offre la creatura di Salvini alla sua clientela?
Dando un’occhiata al programma presentato dall’ex ministro dell’Interno per la sua candidatura a segretario della Lega nel 2017 sul piano prettamente economico ci viene offerto un hamburger a strati, composto di dazi, difesa della piccola impresa, abolizione della Legge Fornero, contrattazione sindacale regionalizzata (leggasi gabbie salariali), generica riconquista della sovranità monetaria (uscita dall’Euro?) e flat-tax.
Ora non ci vuole molto per capire che il combinato disposto di queste misure (al netto dell’abrogazione della Fornero) è un tentativo disperato di ridare fiato alla piccola imprenditoria del centro-nord del Paese in debito d’ossigeno a causa della concorrenza mondiale.
C’è una data fatidica: l’11 dicembre 2001 la Repubblica Popolare di Cina aderisce all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Si concretizza così la fine del mito tutto e solo italiano del “piccolo è bello”, di cui è stato cantore il Censis. Da allora in poi chi produce sedie o matite a Belluno sa che dall’altra parte del mondo possono farlo a prezzi meno che dimezzati e in quantità superiori.
La medicina che Salvini e associati vogliono rifilarci per ridar vita ai fasti della fiaba reazionaria del made in Italy porterebbe laddove fosse praticabile a: svalutazione monetaria ricercata come mezzo di competizione con i capitalismi europei più forti e conseguente inflazione galoppante a danno dei redditi da lavoro dipendente; aumento dei costi di produzione di svariati beni di prima necessità; definitivo superamento dei contratti collettivi nazionali di lavoro e frammentazione della classe operaia in segmenti regionali.
Ma la “pozione” celtica della Lega è inapplicabile. E i mesi di governo gialloverde si sono incaricati di dimostrarlo. Quando Bruxelles ha alzato la voce la tigre sovranista è rientrata uggiolando nella tana.
Allora? A che serve la proposta politica della Lega. È molto probabile che il progetto economico salvinista coincida con quello dei suoi colleghi dell’est: gli Orban e i Kaczynski. Ritagliarsi un margine di maggiore autonomia all’interno dell’armatura liberista dell’Ue, reclamando strapuntini più comodi con alleanze spregiudicate a geometrie variabili con le destre radicali al potere in giro per il mondo, da Putin a Trump. Se il metodo è questo, il risultato prevedibile sarebbe quello di continuare a far produrre in Veneto, in Lombardia e in Emilia-Romagna componentisca per l’industria tedesca, ma con qualche margine in più di valore dovuto all’accesso a mercati ora proibiti dai censori di Bruxelles: chi pensa alla Russia coglie nel segno.
Insomma, niente che possa allettare i lavoratori e chi ritenendosi di sinistra guarda al sovranismo. Ma c’è un sovranismo di sinistra che possa offrire di meglio?
Tra Keynes e il sovranismo
A sinistra della Lega non è che si diano grandi segni vita. Tocca accontentarsi del buon Fassina o giù di lì. In questo caso, ci si imbatte in una singolare varietà di personaggi: a metà patriottico-costituzionalisti, a metà keynesiani.
Costoro vorrebbero rianimare gli afflati sociali della Costituzione del ’48, coniugandoli al keynesismo, ovvero al rilancio degli investimenti pubblici. Ma corre l’obbligo di informare i malcapitati che la stessa Costituzione è stata inquinata nel 2012 dall’obbligo del pareggio di bilancio. Da allora c’è una “taglia” su John Maynard Keynes in tutta Europa, quindi anche da noi.
Il sogno di una politica industriale degna di questo nome, di un rilancio della presenza dello Stato nei settori strategici della produzione (telecomunicazioni, informatica, siderurgia) si scontra con la necessità di recidere il nodo scorsoio che ci lega all’Ue e quindi con la questione della costruzione di un modello diverso di produzione (socialismo) e di nuove alleanze politiche ed economiche in tutto il mondo.
È certo, infatti, che al di là dei bluff del sovranismo di ogni sfumatura, anche i comunisti dovranno attraversare difficoltà enormi nel costruire un altro percorso per l’Italia e l’Europa, laddove ne avranno la possibilità. Ma questa possibilità parte dalla ricostruzione di un approccio di classe alla questione della conquista della democrazia e dello sviluppo da parte dei popoli europei. Si può fare… ma prima sgombriamo dal terreno le macerie della demagogia.