Fondo salva stati. Cosa non vogliono dirci

Con le modifiche al Meccanismo europeo di stabilità si accentuano i vincoli finanziari nell’eurozona e la finanza espropria gli Stati dei loro poteri, a danno dei lavoratori. Una lotta di classe asimmetrica


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Si è iniziato a parlare da fine primavera, quando la Lega era ancora al governo del paese, delle modifiche al c.d. Fondo salva stati, fondo con cui l'Ue “aiuta” (virgolette d’obbligo) i paesi in difficoltà, cioè quelli più indebitati. Ma prima di vedere di cosa si tratta, ragioniamo su alcune regole cui devono sottostare i paesi dell’Unione Europea (Ue), secondo il Trattato di Maastricht.

Una di esse dice che nessun paese può avere un disavanzo della bilancia commerciale con l’estero (differenza fra esportazioni e importazioni) superiore al 4% né un avanzo superiore al 6%. Ma la virtuosa Germania non è in regola perché ha stabilmente avanzi maggiori. Gli avanzi della Germania verso in paesi dell’Ue corrispondono ai disavanzi di questi ultimi. Tuttavia nessuno richiama la Germania e sul banco degli imputati vengono messi solo i paesi in disavanzo. Un’altra conseguenza del Trattato è l’impossibilità degli stati in disavanzo commerciale con l’estero di compensare questo svantaggio competitivo con la svalutazione monetaria, visto che la moneta unica è gestita dalla Bce.

Le due cose messe insieme hanno effetti pesanti. Infatti, un indebitamento netto con l’estero del sistema delle imprese dipende dal fatto che nella nazione si acquista più dall’estero di quanto si riesca a vendere, che si consuma più di quanto si incassi, che siamo debitori verso l’estero e che il risparmio netto è negativo. Ciò implica che non possono esserci sufficienti risparmi interni per acquistare il debito pubblico. Quest’ultimo, di conseguenza, deve essere necessariamente detenuto in dosi massicce da risparmiatori e istituzioni finanziarie esteri, visto che è anche proibito dalle regole europee che le banche centrali acquistino i titoli del debito pubblico sul “mercato primario”, cioè direttamente presso gli Stati nel corso delle aste, come invece avveniva una volta. Attualmente, nonostante che anche diverse banche centrali extraeuropee, come la Fed statunitense, non intervengano direttamente nel mercato primario, esse hanno la possibilità di funzionare ugualmente come “prestatori di ultima istanza” attraverso un meccanismo che non può essere praticato dalle banche centrali dell'Ue..

Con ciò il debito pubblico è in mano alla speculazione internazionale e lo spread, il differenziale fra i tassi di interesse delle varie nazioni, dipende dal “giudizio dei mercati” sulla solidità finanziaria dello stato. Giudizi spesso taroccati da agenzie di rating in conflitto di interessi.

Il debito pubblico cresce anche a causa degli alti tassi di interesse sui titoli di Stato e, nuovamente, a causa del disavanzo commerciale con l’estero: maggiori esportazioni e minori importazioni implicano insufficiente domanda nei confronti della produzione nazionale sia da parte delle imprese che dei consumatori interni ed esteri, cui in teoria può sopperire la spesa pubblica, aprendo però una spirale che allontana sempre di più le economie europee più deboli da quelle più forti e amplifica il loro debito pubblico.

L’Ue ha pensato bene di venire in “aiuto”, secondo le intenzioni proclamate, agli stati in difficoltà finanziaria, ma lo fa con meccanismi paragonabili a quelli del Fondo Monetario Internazionale, cioè riducendo drasticamente i margini di discrezionalità nella politica economica dei “beneficiari”.

Mes è l’acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità, in inglese European Stability Mechanism (Esm). È stato creato nel 2012 in vigenza del Fondo europeo di stabilità (Fesf), più noto come Fondo salva–Stati, che venne istituito in via transitoria due anni prima. Entrambi i fondi, che possono disporre di un capitale teorico di oltre 700 miliardi di euro posti a carico degli Stati membri, sono stati usati per “aiutare” gli Stati dell’Eurozona in difficoltà. Finora hanno erogato prestiti per 254,5 miliardi di euro a cinque diversi Stati, tra cui per tre volte alla Grecia.

Le modifiche del Trattato oggi esistente riguardano appunto la gestione delle crisi degli Stati e dei grandi Istituti di credito, con un’impronta sempre più privatistica e con regole sempre più stringenti a carico dei paesi destinatari.

Nonostante i soldi gestiti siano pubblici, il fondo si comporta come una normale banca. Tant’è vero che per descrivere il suo “must”, è stato coniato un vero e proprio ossimoro: “solidarietà competitiva”. Così, come la banca eroga un mutuo ipotecando la casa ed espropriandola se non viene restituito, altrettanto il Mes espropria dei propri beni lo Stato che non è in grado di restituire l’importo erogato. E come in una normale Spa il diritto di voto è in proporzione al capitale sottoscritto. E come una qualsiasi istituzione finanziaria privata può emettere derivati, cioè scommesse sulla finanza pubblica.

Per la verità non tutto funziona come nelle banche. Infatti i membri del Mes hanno l’immunità penale, civile e amministrativa. Il che peggiora ulteriormente le cose.

Le trattative in corso per riformare il Mes si muovono verso uno sbocco ancora più draconiano che ha dato luogo anche in Italia alle polemiche politiche iniziate a fine novembre. Un motivo dei dissapori riguarda la scarsa trasparenza delle procedure. In pratica il Parlamento si troverà a dover ratificare un trattato già definito. Ma anche il processo di imposizione di una logica privatistica fa un decisivo passo avanti: la Commissione Europea non sarà più competente a decidere in merito alle misure da adottare, sostituita in ciò dagli organi del Mes. La politica uscirà definitivamente di scena e il “pilota automatico” funzionerà secondo ancor più stringenti criteri. Infatti, le linee di credito ordinario saranno solo a favore degli Stati che hanno un rapporto deficit/Pil non superiore al 3% e un rapporto debito/Pil non superiore al 60%, così come prescritto dal trattato di Maastricht. Saranno ammessi anche gli Stati che sforano il rapporto debito/Pil purché in ciascuno degli ultimi due anni lo abbiano ridotto in misura rilevante. Come avviene con le banche private “si presta l’ombrello solo quando non piove”.

Tutte le altre nazioni in difficoltà possono usufruire dei prestiti del Mes a condizione di essere poste sotto la sua “tutela”, sottostando a un regime non solo risarcitorio, ma anche sanzionatorio e che procedano a una “ristrutturazione del debito”. La finanza si impossessa così di una aspetto fondamentale del poteri dello Stato.

L’Italia non ha i requisiti per il finanziamento ordinario. Se dovesse avere bisogno di un prestito non potrebbe ottenerlo a meno che non intervenga per ristrutturare il proprio debito, in pratica dichiarando fallimento, riducendo il valore dei Bot, Cct, ecc. e ponendosi nelle mani degli organi del Mes.

La questione dell’obbligo a ristrutturare il debito pubblico è quella che ha scatenato le maggiori ire. Il Presidente dell’associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, ha avvisato: non compreremo più titoli di Stato se verranno “alterate le condizioni” dei creditori. E non faranno così solo le banche, dice Patuelli, ma anche i risparmiatori italiani.

Anche per la maggior parte dei commentatori lo scandalo consiste nel fatto che la ristrutturazione sarebbe “un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori” (Giampaolo Galli) che si vedranno depauperati i propri portafogli. Il che è senz’altro vero. Meno attenzione è invece posta su un aspetto certamente non meno rilevante, cioè la pistola puntata verso la finanza pubblica e l’agibilità della politica economica, cosa che riguarda tutti i cittadini e non solo i risparmiatori, con effetti devastanti.

Infatti i “mercati”, temendo l’evenienza di un ricorso al Mes di un paese “fuori dai parametri”, pretenderanno, per acquistare i titoli pubblici, un tasso di interesse assai più elevato, una sorta di premio per il rischio che si assumono. Lo spread potrebbe ulteriormente dilatarsi. Gli attacchi speculativi, assecondati dalle agenzie di rating e dai suggerimenti delle teorie liberiste imperanti, potrebbero effettivamente portare il paese al fallimento, ancor prima che abbia necessità di richiedere il prestito per cause sue proprie. Per evitare di giungere a questo esito, i paesi saranno obbligati alla ristrutturazione non del debito, ma dei servizi sociali e del costo del lavoro, in misura ancora maggiore di quanto fin qui abbiano fatto.

Ovviamente i leader politici sovranisti hanno buon gioco per scalmanarsi contro ingerenze che vanno contro gli interessi nazionali. Per un verso, senza dichiararlo, sono preoccupati proprio per le Banche e la finanza nazionali, il cui strapotere sarebbe in parte condizionato dal Mes. Poi ci sono questioni tipiche del nazionalismo egoista. Ad esempio l’Italia, con 14,3 miliardi di euro versati e altri 125,4 sottoscritti, è il terzo contribuente dopo Germania e Francia e questi soldi qualcuno vorrebbe non pagarli sperando di non essere, un domani, tra i paesi bisognosi di aiuto e trascurando che, stando ai dati economici, la stagnazione dell'economia italiana, più accentuata della media Ue, presagisce un futuro non certo roseo.

Il pilota automatico non prende in considerazione la ragione per la quale possa esplodere la crisi, magari il crollo di alcuni prezzi sul mercato mondiale o un evento sismico o un attacco speculativo. Per essere aiutati dal Fondo occorre non solo avere un debito pubblico sostenibile (ossia dentro parametri stabiliti arbitrariamente) ma anche dimostrare di essere in grado di rimborsare il prestito. Come? Accettando di subire le cure di risanamento, come la svendita del patrimonio pubblico. Un copione già visto e sperimentato in Grecia.

Dalle notizie di questi giorni sull’andamento dell’economia in Germania, in Italia e in altre nazioni di Eurolandia non è difficile immaginare che la annunciata fine della crisi sia stata solo un miraggio, e che anzi potremmo essere in procinto di sprofondare in un’altra grave recessione. Almeno 5 paesi europei si trovano in condizioni di criticità tale da dover subire ogni forma di ricatto, ad esempio l'intervento di privati nella gestione della crisi e dei prestiti e questo intervento potrebbe essere un autentico colpo di pistola su quanto resta della sovranità nazionale dei paesi a rischio.

Ma di questo i sovranisti da gozzoviglia non parlano visto che nei loro paesi hanno sposato un mix di nazionalismo e liberismo, di apparenti nazionalizzazioni dietro alle quali si nascondono pacchetti di vere e proprie privatizzazioni, di disposizione a subire ricatti delle grandi multinazionali. Si “aiutano” gli Stati perché il loro debito è in possesso di istituti di credito di paesi europei forti. Se è per esempio nelle mani delle banche tedesche o francesi, è evidente che questi paesi spingeranno la Ue ad accordare prestiti ma avviluppando in maniera ancor più forte nei tentacoli dei loro creditori quelli “aiutati”.

Più che interventi per salvare i paesi si tratta di prestiti a tutela dei creditori; sta qui il cuore del problema. Questa tutela prevede misure imposte alle economie debitrici che vanno dalle finanziarie draconiane alle privatizzazioni. Alla Grecia, per esempio, i soldi Ue a lei spettanti in base ad accordi e misure comunitarie, venivano versati subordinatamente al rispetto delle misure imposte. L’alternativa era un vero e proprio pignoramento del suo avere, né più né meno di come fanno le banche creditrici o i curatori fallimentari a tutela dei creditori.

Stanti le attuali condizioni e i contenuti della proposta di riforma del Mes, 10 dei 19 paesi dell’Unione Europea non sarebbero nelle condizioni di accedere ai prestiti se non a costo di perdere anche gli ultimi brandelli di sovranità e di colpire pesantemente i meno abbienti, mettendoli alla fame. Non è un eufemismo: in Grecia la situazione è questa.

A destra si strilla contro il Mes ma senza dire come stanno realmente le cose. Al sovranismo da baraccone delle destre fa da contraltare la supina accettazione delle regole di Bruxelles da parte della impropriamente definita sinistra che nulla ha da eccepire di fronte al fatto che per accedere ai fondi salva stati una nazione prima debba abbattere drasticamente il debito, lacrime e sangue prima di ottenere i soldi e poi lacrime e sangue per restituirli con i relativi interessi.

E dietro alla ristrutturazione del debito di ogni singolo paesi si aggirano gli appetiti degli speculatori finanziari, della agenzie di rating. Se credevate che si fosse raggiunto il fondo nell’abdicazione della politica ai poteri finanziari e al capitale vi siete sbagliati di grosso. La finanza privata spadroneggerà ancora di più sui destini dei popoli europei.

È evidente come lo scontro sulla finanza e sul fisco non sia altro che una forma di lotta di classe mascherata. Ma le classi dei lavoratori devono subirla disarmati non solo dei potenti mezzi economici e legali a disposizione della controparte, ma anche di strumenti quali un sindacato e partito adeguati. Ecco spiegate le insidie dietro alla riforma del Mes. Anche da qui sorge la necessità di ricostruire un punto di vista autonomo delle classi sfruttate.

30/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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