Il Mes, il debito e la guerra

I temi dell'intervento al seminario del Granma del 4 marzo scorso sul Mes. I pericoli del Meccanismo per l'agibilità della politica economica e della trasformazione della nostra economia in economia di guerra.


Il Mes, il debito e la guerra

Sia la relazione di Gianmario Cesarini, che riguarda il metodo di istituzione e di realizzazione del Mes, sia quella di Marco Veronese Passarella che riguarda il merito, possono essere considerate una conferma dell'idea espressa nel suo saluto da Emiliano Brancaccio [1] che siamo di fronte a un disegno di rilancio del dominio del capitale sulla politica.

Intanto non è l'UE, per quanto anch'essa fondata su basi ademocratiche, a gestire il meccanismo ma una istituzione apposita che si regge su basi ancor meno rappresentative.

I prestiti del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) vengono erogati a un tasso lievemente inferiore a quello di mercato ma sotto la condizione di adottare un programma di aggiustamento macroeconomico. Quest'ultimo è più stringente nel caso che il destinatario sia, come l'Italia, strutturalmente indebitato e per il quale non è previsto l'obbligo di ratifica da parte dello stato membro (altro elemento che esclude la politica).

Le condizioni sono le consuete: “consolidamento fiscale” e “riforme strutturali” che significano taglio alla spesa pubblica, in particolare alle pensioni, alla sanità e alla scuola, privatizzazioni, leggi flessibilizzanti ulteriormente il lavoro, allo scopo di rendere nuovamente sostenibili i conti pubblici e di ristorare i profitti. Si tratta dei paradigmi consueti che stanno a cuore agli interessi capitalistici celati dietro le prescrizioni delle tecnocrazie europee.

Le condizionalità riguardano anche il settore finanziario: rafforzamento della vigilanza bancaria e, se necessario, ricapitalizzazione delle banche. Mi sembra di capire che pezzi del nostro sistema bancario, nel caso della ricapitalizzazione, vedrebbero entrare nella compagine proprietaria (e in alcuni casi con il pacchetto di controllo) il Mes, un soggetto non definibile propriamente pubblico. Oltre al danno, la beffa: il Mes può fare ciò perché finanziato anche dalla finanza pubblica. L'Italia, per esempio, ha sottoscritto 125,3 miliardi del capitale del Mes che potrebbero servire per alienare al Mes una parte del suo sistema bancario. E in ogni caso ancora una volta risorse pubbliche sarebbero destinate a socializzare le perdite private.

I Paesi devono soddisfare alcuni criteri (il più noto dei quali è quello del rapporto debito/Pil che deve essere entro il 60%) oltre a impegnarsi nel rispetto del patto di stabilità e crescita e della procedura per i disavanzi eccessivi. Quindi lacrime e sangue per anni, fino al dimezzamento del debito attuale che oggi è circa il doppio di questo limite!

A fronte del lieve beneficio del tasso alquanto agevolato, si realizzerebbe il grave “maleficio” di perdere buona parte di quel poco di autonomia in tema di politica economica che ancora residua dalle regole dell'Unione Europea. Se poi si considera la nostra sottoscrizione del capitale del Mes, che comporta un indubbio aggravamento della nostra situazione finanziaria, si può sostenere che avremmo ottenuto un beneficio maggiore non aderendo e non sottoscrivendo questo capitale

Oltre alla preliminare verifica della sostenibilità del debito è prevista poi l'altra verifica della capacità di ripagare il prestito. “La banca è un posto dove ti prestano l'ombrello quando c'è bel tempo e te lo chiedono indietro quando inizia a piovere”, aveva detto sarcasticamente Mark Twain. Il Mes, a conferma del suo carattere privatistico, opera esattamente come una qualsiasi banca, aggiungendo però le condizionalità. La Grecia è passata da una analoga esperienza, sia pure attivando un diverso strumento, e noi potremmo calcare di nuovo quella strada.

La seconda linea di credito è l’ECCL (Enhanced Conditions Credit Line): è accessibile a tutti i paesi dell’area euro con una situazione economica e finanziaria in generale solida, senza però rispettare alcuni dei criteri di ammissibilità per l’accesso al PCCL, primo fra questi come abbiamo visto il rapporto debito/Pil: all’ECCL accedono i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 60%. Il Paese sarà obbligato però ad adottare misure correttive per rientrare nei parametri non rispettati ed evitare eventuali difficoltà future per quanto riguarda l’accesso al finanziamento del mercato. Attualmente i Paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60% sono: Grecia, Italia, Portogallo, Belgio, Cipro, Francia, Spagna, Austria, Slovenia e Irlanda.

Un'ultima considerazione riguarda l'attuale contingenza caratterizzata dalla guerra in Ucraina e dalle misure che ci vengono imposte dall'alleanza Nato. In conseguenza di ciò la nostra economia si sta riconvertendo o è guià riconvertita in economia di guerra, come ha raccomandato il commissario europeo Tierry Breotn e come hanno ammesso alcuni nostri ministri. Come evidenzia il grafico che segue, tratto dal Blog Il chimico scettico, la spesa per armamenti sovrasta quella snaitaria 

Gli aiuti all'Ucraina incideranno significativamente sul nostro bilancio il cui peggioramento sarà un buon pretesto per accedere al Mes. In sostanza ci consegneremo al grande capitale finanziario e perderemo ogni capacità di politica fiscale autonoma, il tutto per sostenere la guerra. I soldi che spendiamo, siano essi in armamenti o in finanziamenti che consentano all'Ucraina di acquistare armi sul mercato nero, sono comunque soldi pubblici che escono dal bilancio dello Stato e quindi vanno ad aggravare il debito pubblico e a ridurre pertanto le chaches per evitare il ricorso al Mes. Nel calcolo dei parametri previsti dalle regole europee sembra che non verranno conteggiate le spese per sostenere questa guerra, ma al di là dei trucchi contabili il debito effettivo salirà, la nostra solvibilità ne patirà le conseguenze e i mercati potranno speculare su questa situazione pretendendo dal nostro debito tassi di interesse superiori, il famoso spread.

Pertanto è nostro compito fare uno sforzo per far conoscere ai lavoratori, ai disoccupati, ai pensionati, agli studenti, ai ricercatori, a chi ha bisogno di cure pubbliche il cappio che stanno stringendoci al collo e collegare il movimento per la pace al movimento contro i trattati e le politiche dell'Ue.

 

Note:

[1] La video registrazione delle relazioni e del dibattito è stata registrata e pubblicata dal nostro giornale.

17/03/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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