Crolla ancora la produzione industriale italiana. Si va sempre più verso una Finanzaristokratie?

Marx l’aveva preconizzato: la società industriale produttiva va declinando in favore di quella finanziaria parassitaria e non produttiva. In Italia per il diciottesimo mese consecutivo la produzione industriale prosegue nel suo trend negativo. Si va sempre più verso una Finanzaristokratie?


Crolla ancora la produzione industriale italiana. Si va sempre più verso una Finanzaristokratie? Credits: https://pixabay.com/it/photos/fabbrica-nostalgia-macchinari-4477482/

Karl Marx l’aveva già previsto oltre un secolo fa. Nella sua opera più famosa, Il Capitale, il filosofo di Treviri aveva anticipato ciò che si è poi verificato nell’economia mondiale, cioè il passaggio dalla società industriale e produttiva alla società finanziaria non produttiva. Spazzata via prima dalla Rivoluzione francese e poi da quella industriale, l’aristocrazia feudale terriera improduttiva è oggi risorta dalle sue ceneri nell’inedita forma della Finanzaristokratie. Non è più il lavoro, quindi, ad essere posto al centro della produzione economica, ma la rendita prodotta dal neocapitalismo finanziario, con la prima che arretra sempre più verso posizioni di retroguardia. “Il profitto si presenta esclusivamente sotto forma di rendita”, scriveva il Moro. Esso “è intascato unicamente a titolo di interesse, ossia è un semplice indennizzo della proprietà del capitale”. Ed è proprio quello che sta accadendo ogni giorno di più anche in Italia.

Mentre il Governo Meloni esulta sull’aumento del numero degli occupati registrato nel mese di luglio e comunicato dall’Istat [1], ci si dimentica dell’ennesimo crollo registrato ancora una volta dalla produzione industriale italiana. È sempre l’Istat che ci ricorda che essa è scesa dello 0,9% su base mensile, superando quindi le stime negative già attese (-0,2%), mentre su base annua questo calo è stato addirittura del 3,3%. Nel periodo maggio-luglio 2024, poi, l’arretramento della produzione industriale ha segnato lo 0,4%. Luglio è stato così il diciottesimo mese consecutivo in cui si è registrato un calo della produzione industriale nazionale, trend che purtroppo pare non si arresterà neppure nei prossimi mesi. Il calo registrato è stato generalizzato, interessando quasi tutti i settori produttivi italiani e dimostrando ancora una volta la validità e l’attualità del pensiero di Marx riassunto in apertura. La meccanica, principale comparto manifatturiero italiano e già vanto della nostra economia, segna un -4,3%, con il settore automotive addirittura sceso del 26%, risentendo anche della profonda crisi che sta attraversando l’analogo comparto tedesco e che sta trascinando con sé pure la nostra produzione, nonché della forte concorrenza cinese, i cui marchi nati da poco come startup stanno facendo di tutto per entrare prepotentemente nel mercato europeo. Seguono poi la farmaceutica, con un calo dell’1,9%, l’industria del legno (-5,1%), l’attività estrattiva (-5,9%), quella tessile (-18,3%) ed i mezzi di trasporto (-11,4%). Si salva, ma solo su base annua, il comparto energia, con un +1,9%. Numeri davvero pessimi per le prospettive economiche italiane auspicate in crescita dal Governo in carica. In questo scenario negativo non aiutano certamente la crisi economica, che continua a mordere, la fine del boom dell’edilizia già trainato dal Superbonus, il calo dei redditi reali delle famiglie, l’incertezza mondiale alimentata dai vari conflitti in corso, la debolezza del commercio internazionale, che risente anche delle tensioni geopolitiche, gli effetti delle politiche monetarie restrittive nazionali ed europee. E le prospettive per il futuro non sono certo rosee, con quasi il 40% delle imprese a rischio sospensione attività o chiusura [2]. 

Ma questi dati che cosa ci raccontano? Che il calo della produzione industriale “non è soltanto un problema congiunturale”, come scrivono gli economisti Giuseppe Travaglini e Alessandro Bellocchi [3], ma è ormai diventato strutturale. Se facciamo 100 il volume della produzione industriale nazionale a febbraio 2023, oggi esso è sceso a 95,2 punti, subendo quindi un calo del 4,8%. “Quello che si osserva è un vero e proprio tracollo dell’attività industriale italiana. Un salto all’indietro (…) che rischia di relegare l'economia italiana ai margini della competizione globale”, scrivono i due autori. L’Italia, insieme all’Europa, si trova oggi schiacciata tra due grandi colossi economici e produttivi, gli Usa e la Cina, che macinano numeri da capogiro ed hanno in mano tecnologia avanzata, know-how e risorse a go-go per fare molto meglio dell’Italia e dell’Europa, ormai in affanno, e che mal sopportano la concorrenza economica di quest’ultima. E così “il modello italiano, da tempo vulnerabile nelle stesse filiere produttive europee, e più di esse, rischia, in assenza di politiche industriali, di accumulare un ritardo non più colmabile nella competizione internazionale”, chiosano Travaglini e Bellocchi. Serve allora una politica industriale seria, di rilancio reale di un settore ormai alla canna del gas, ma questa richiede investimenti, progettualità, idee, azioni, attività di formazione per un lavoro di qualità... Invece, i grandi capitali preferiscono ormai fuggire dall’industria e scegliere altri tipi di investimenti più sicuri e lucrosi, piuttosto che buttare denaro in un settore produttivo in crisi, proprio quello che scriveva Marx nell’Ottocento. E con i dati di crescita modesti, se non nulli registrati dall’Istat, i margini di manovra per la prossima legge di bilancio saranno molto stretti e il Governo Meloni dovrà adattarsi di conseguenza, riducendo le coperture finanziarie per alcuni settori cruciali della spesa sociale e degli investimenti pubblici, come il sistema sanitario e quello educativo, che vedono aumentare i tagli ogni anno di più, mentre ormai la nostra economia sta abbandonando i settori produttivi reali, quelli che generano veri posti di lavoro e non economia drogata, a vantaggio del turbo capitalismo, del denaro che auto genera sé stesso producendo ricchezza solo per pochi e povertà diffusa.

Note:

[1] In sintesi, a luglio, rispetto al mese precedente, crescono sia gli occupati sia gli inattivi, mentre diminuiscono i disoccupati. L’occupazione aumenta così dello 0,2% (+56mila unità) per le donne, gli autonomi e in tutte le classi d’età, come aumentano gli inattivi (+0,6%, pari a +73mila unità), mentre il tasso di disoccupazione scende al 6,5% (-0,4 punti). 

[2] Carlo Di Foggia, Industria ancora a picco: 18 mesi di discesa di fila, il Fatto quotidiano, 11 settembre 2024; Giorgio Pogliotti, Meccanica, per quattro aziende su dieci rischio stop dell’attività, Il sole 24 ore, 17 settembre 2024; Daniele Manca, Al settore auto serve molto di più (non solo tempo), Corriere della Sera, 16 settembre 2024.  

[3] Giuseppe Travaglini, Alessandro Bellocchi, Un declino che fa crescere le disuguaglianze, il Manifesto, 11 settembre 2024.

27/09/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Ciro Cardinale

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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