La pandemia causata dal nuovo Coronavirus Sars-CoV-2 ha fatto esplodere la crisi economica che covava da tempo. Che il sistema fosse fragile e la crisi imminente i marxisti è molto che lo ripetono, inascoltati, come sono rimasti inascoltati i virologi che da oltre dieci anni invitano i governi di tutti i colori a prepararsi per fronteggiare la pandemia che sapevano in arrivo. In entrambi i casi non si è fatto nulla, come poco o nulla si fa per prepararsi ai terremoti che regolarmente ci colpiscono. Al contrario, è stato un susseguirsi di tagli a tutte le dimensioni della sanità, dalla prevenzione alla medicina del lavoro, dai posti letto al numero di medici e infermieri, sia nei reparti che nelle aule universitarie. Le uniche grandezze che sono cresciute sono quelle dei tempi medi di attesa per fruire delle prestazioni e dei pagamenti per comprare servizi sanitari erogati da imprese commerciali private.
L’impreparazione del nostro paese, che ora più che mai obbliga i medici a dover scegliere chi provare a salvare e chi lasciar morire, dipende anche dall’attuale governo che ha sostenuto le suddette politiche. Politiche dettate da Stati e organizzazioni - Ocse, Fmi, Bm, Ue, Usa, solo per citare i principali - che oggi si guardano bene dal venirci in soccorso. Tuttavia, il maggior contributo al disastro sta nella sbagliata e contraddittoria gestione, statale e regionale, della situazione. Se è vero che la crisi economica doveva inevitabilmente scoppiare, è altrettanto vero che il modo in cui i diversi paesi si spartiranno le perdite sarà determinato anche dal tipo di risposta all’epidemia. Per capirlo possiamo iniziare dal seguente grafico ampiamente utilizzato dai grandi mezzi di informazione nelle ultime settimane.
L’asse delle ordinate (quello verticale) misura il numero di contagi mentre l’asse delle ascisse il tempo, espresso in giorni o settimane, trascorso dall’identificazione del primo contagiato. La curva a forma di montagna di colore arancione approssima l’andamento che assume la malattia senza alcuna misura di contenimento: l’epidemia si risolve in un breve lasso di tempo ma con un numero di persone contagiate contemporaneamente molto elevato. La curva di colore azzurrino, invece, approssima l’andamento che si ha in presenza di misure di contenimento: l’epidemia si risolve in un tempo più lungo ma con un numero di persone contagiate contemporaneamente meno elevato. In presenza di misure di contenimento, inoltre, si dovrebbe verificare - ma il condizionale è d’obbligo - anche la riduzione totale del numero dei contagiati (l’area della curva azzurrina sarebbe minore dell’area della curva arancione) in quanto a determinare la scomparsa dell’epidemia non sarebbe, come nel primo caso, l’immunizzazione della grande maggioranza della popolazione che è venuta a contatto col virus (sviluppando la cosiddetta immunità di gregge) bensì la minore propagazione del contagio. Tra le due opzioni, il contenimento è attualmente preferibile, oltre che per diminuire il numero di decessi, perché il virus è nuovo e non si conosce se e quanto l’immunità che svilupperemo sarà permanente né possiamo escludere che esso si comporti come quello della spagnola, quindi che ad una prima curva ne possa seguire, dopo qualche mese di relativa pace, una seconda di dimensioni ancora maggiori.
L’obiettivo principale delle misure di contenimento è quello di garantire che durante il picco, vale a dire nei giorni in cui il numero di contagiati è massimo, il Servizio Sanitario Nazionale sia in grado di offrire assistenza a tutti i bisognosi. Ma la forza di tali misure è determinata dalla capacità di risposta del SSN, che nel grafico corrisponde all’altezza della retta tratteggiata. Più alta è la retta meno forti devono essere le misure di contenimento e viceversa. Nella curva arancione, infatti, l’area al di sopra della retta rappresenta gli infetti che, se si ammalassero e se avessero bisogno di assistenza, non potrebbero riceverla per mancanza di posti letto, di ossigeno, di maschere per la ventilazione, di medici, di assistenza domiciliare, ecc e che quindi dovrebbero ricorrere, se possono permetterselo, alle cure a pagamento (ove esistenti). Un dramma che non ci è sconosciuto ma a cui siamo poco abituati, a differenza di coloro che abitano in paesi senza servizi sanitari tendenzialmente universali e tendenzialmente gratuiti come il nostro. Negli Stati Uniti ed in tantissimi altri paesi soprattutto del cosiddetto terzo mondo, le potenzialità sanitarie non sono attivabili, ammesso che bastino per tutti, se non si ha una assicurazione o la capacità di pagare prezzi che, dato l’aumento della domanda, tendono a schizzare verso l’alto.
La prima lezione da apprendere, dunque, è che lo sforzo economico, finanziario, logistico e financo psico-fisico per abbassare la curva dei contagi è tanto più grande quanto più bassa è la capacità di risposta del SSN. Che a sua volta dipende da quanto e come è stato finanziato. Dunque, maggiori sono i tagli alla sanità fatti negli ultimi decenni - variamente denominati: efficienza, risparmi, razionalizzazioni, spending review, ecc - maggiori sono oggi i costi sociali ed economici che dobbiamo sostenere per affrontare l’emergenza. Costi che non sono solo economici ma anche socio-sanitari (selezione dei pazienti da salvare, prestazioni sanitarie differite o cancellate, aumento delle patologie psichiche, delle violenze domestiche e dei suicidi) e che non comprendono soltanto quanto si spende ora per aumentare la capacità di risposta del SSN, vale a dire per innalzare la retta, che dunque è sbagliato rappresentare come piatta, ma anche tutti i costi che il governo, le imprese e i lavoratori devono sostenere nel maggior arco di tempo in cui si vuole spalmare la curva dei contagi (minori entrate fiscali, maggior debito, calo dei profitti, fallimenti, taglio dei salari, disoccupazione) e che non sarebbe stato necessario sostenere se si fosse fatta adeguata prevenzione e preparazione. Per sintetizzare la cosa con un numero, un calo del Pil italiano nel primo trimestre 2020 stimato di oltre il 5% (ma le cose andranno peggio, anche nel prossimo trimestre) significa una perdita di oltre 100 miliardi di euro, ben più dei 37 che si sono risparmiati con i tagli alla sanità degli ultimi anni. I paesi con sistemi sanitari nazionali più preparati e attrezzati del nostro subiranno perdite minori.
D’altronde, al momento, lasciar fare il suo corso all’epidemia senza adottare misure di contenimento non sarebbe privo di conseguenze economiche. In questo caso, infatti, se la pandemia si rivelasse lunga e la malattia pericolosa per ampie fasce della popolazione, si rischierebbe di non poter garantire la pace sociale, quindi in ultima istanza l’ordine costituito basato sul diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione, vale a dire al comando autocratico sul lavoro altrui, che rappresenta il bene più prezioso per i capitalisti la cui conservazione vale qualche punto percentuale di Pil in meno.
La seconda lezione da apprendere riguarda l’evoluzione della capacità di risposta del SSN. Se si allarga l’orizzonte temporale di riferimento, la retta che la rappresenta non può essere disegnata come parallela all’asse delle ascisse, vale a dire rappresentante risorse date che non variano nel tempo. Queste sono variate e sono diminuite, se non proprio assolutamente per lo meno relativamente alla ricchezza complessivamente prodotta nel paese e, soprattutto, relativamente ai crescenti bisogni di cura e assistenza della popolazione. Le risorse sono diminuite così tanto che a prescindere dal Coronavirus, normalmente, per un grande e crescente numero di patologie, il SSN non è in grado di offrire assistenza nei modi e tempi debiti. Una larga fetta di popolazione per le più svariate ragioni, infatti, deve ricorrere al privato se vuole vedersi assistita o se vuole vedersi assistita bene o semplicemente in tempo. È così per molte che devono fare una ecografia morfologica al feto che portano in grembo, o per chi deve farsi una tac per scoprire se ha il cancro. Pertanto, se volessimo disegnare la situazione senza epidemia, la retta non dovrebbe essere posta sopra la curva dei bisogni ma dovrebbe tagliarla, come fa con la curva arancione, ad indicare che una parte dei malati non può essere assistita.
D’altronde, finanziare un sistema sanitario che faccia prevenzione, controlli e assistenza a tutti i bisognosi con valutazioni prognostiche favorevoli, ma senza accanimento terapeutico e bandendo le prestazioni erogate al solo scopo di ottenere i rimborsi, significa non solo accettare la crescita della spesa all’aumentare dei bisogni di cura ma anche un costante sovradimensionamento delle strutture e dei servizi che devono essere pubblici, nel duplice senso di accessibili gratuitamente a tutti e liberi dal vincolo del profitto che ne aumenta i costi (dunque non possono essere privati convenzionati). I bisogni sanitari, infatti, per quanto prevedibili non sono costanti nel tempo e la capacità di risposta del SSN non vi si può adeguare se non parzialmente e con un certo ritardo. Quindi, per evitare situazioni di emergenza, si dovrebbe costruire un servizio che per essere molto efficace è anche poco efficiente, in quanto i posti letto non saranno sempre tutti occupati, gli ambulatori non saranno sempre tutti pieni, le sale operatorie non saranno sempre tutte impegnate, il tempo non sarà sempre tutto lavorato, ecc. In sostanza si dovrebbero accettare i cosiddetti “sprechi” rappresentati dall’area compresa tra la retta tratteggiate e la curva azzurra come il prezzo da pagare per evitare che le crisi sanitarie future provochino crisi economiche o, come in questo caso, le aggravino. Un po’ quello che era il nostro SSN alle sue origini.
Tornando ai costi delle misure di contenimento, nell’arco di tempo in cui si manifesta l’epidemia le risorse a disposizione vengono rappresentate come date e invariabili (nel grafico la retta è parallela all’asse delle ascisse). Ciò tuttavia non è vero in quanto il governo e le regioni hanno disposto l’acquisto di materiali, la costruzione di un nuovo ospedale e l’assunzione di personale, mentre aiuti stanno arrivando da Cina, Cuba, Vietnam ma anche Russia e Albania. Per cui questa retta non è piatta ma sta crescendo, seppure troppo lentamente. Ma per crescere più velocemente, e soprattutto continuare a crescere una volta finita l’epidemia affinché una situazione del genere non si ripeta più, c’è bisogno di maggiori risorse, le quali tenderanno a diminuire nella misura in cui si vogliano prolungare ed estendere le misure emergenziali adottate senza far nulla per frenare l’aumento del costo del debito pubblico né, soprattutto, la perdita di capacità produttiva e di posti di lavoro.
Sia chiaro: nessun paese può sopravvivere senza lavorare ma tutti o quasi gli esseri umani che abitano questo paese possono rinunciare per qualche settimana a molti dei propri consumi. Se si escludono il cibo, i farmaci, i prodotti per l’igiene personale e poco altro, potremmo tirare avanti. Non per molto, visto che anche le scorte sono diventate un costo da tagliare, ma potremmo. E non ci sarebbe bisogno di lasciare aperte molte delle industrie individuate dal decreto del 25 marzo del Mise, se non quelle strettamente necessarie alle esigenze sanitarie e di sussistenza o che possono essere riconvertite per soddisfare tali esigenze. Tuttavia, c’è una piccolissima fetta di esseri umani che abitano questo paese che non può rinunciare a consumare i lavoratori che impiega neanche per un giorno, pena la propria sopravvivenza, non come individui ma come agenti del capitale.
Detto altrimenti, non avendo fatto prevenzione, non essendoci preparati in tempo e non avendo adottato una strategia unitaria e coerente di individuazione ed isolamento ferreo dei contagiati, dei loro contatti e delle categorie a rischio, siamo costretti a dover adottare una strategia di contenimento basata sullo stop di quasi tutte le attività produttive e commerciali. Se il SSN, la popolazione ed i luoghi di studio e di lavoro fossero stati debitamente preparati, avremmo potuto affrontare l’emergenza in maniera totalmente diversa senza bisogno di chiudere quasi tutto: cercando fin da subito i contagiati e i loro contatti uno per uno li si sarebbe potuti isolare, ma veramente, non per finta, così come si sarebbero dovute isolare quelle fasce di popolazione a maggior rischio, come gli ultrasessantenni e tutti coloro che soffrono di patologie pregresse, garantendo a tutti gli altri i dispositivi di protezione individuale e la mobilità strettamente necessaria, senza impedirgli di andare al lavoro ma chiudendo solamente quei luoghi dove l’affollamento è inevitabile (cinema, teatri, musei, stadi, sale da ballo, ecc) e non dipende da normative che trasformano le aule scolastiche in pollai e obbligano a lavorare in luoghi insalubri e anche da vecchi. Perché, giova ricordarlo, il problema principale di questo virus è che può portare brutte complicanze soprattutto polmonari che però, quando colpiscono gli individui giovani e sani, sono facilmente gestibili se si ha una rete di medici sul territorio preparati ed attrezzati e le terapie intensive disponibili. Esattamente quello che è mancato nel nostro paese.
Una strategia diversa di contenimento avrebbe potuto limitare il fermo della produzione che, in una società capitalistica, significa fermare la produzione di plusvalore, quindi l’accumulazione di profitti. E se questo stop si protrae per troppo tempo, come nel caso di un contenimento il cui asse portante è la chiusura di quasi tutti i luoghi di lavoro, questo si traduce in fallimenti, disoccupazione, fuga di capitali, aumento dei tassi di interesse, ecc e conseguente diminuzione non solo contingente ma anche strutturale delle tasse necessarie a finanziare e rilanciare i servizi pubblici, tra cui il SSN. Dal che si deduce come il capitalismo sia vittima di se stesso e si capisce la superiorità del modo di produzione socialista (o anche solo della proprietà pubblica e del controllo statale dell’economia) che se ne infischia dei profitti padronali e subordina la produzione alle esigenze del popolo.
Al contrario, in Italia, il peso dello Stato nell’economia non è sufficiente a garantire la tenuta dei livelli produttivi e dell’occupazione neanche in tempi normali, figurarsi durante una pandemia. Inoltre c’e da dire che il nostro è un paese molto simile per dimensione e numero di abitanti alla provincia di Hubei in Cina, dove tutto è cominciato. L’Europa, invece di agire nei nostri confronti come il resto della Cina nei confronti di Hubei - aiutandoci ed implementando immediatamente misure di contenimento anche negli altri paesi - ha preferito voltarci le spalle dimostrando ancora una volta che essa non serve gli interessi del popolo ma dei grandi gruppi finanziari transnazionali (di cui i grandi capitalisti italiani fanno parte) che negli anni hanno fatto pressione affinché fossero adottate le criminali politiche che ci hanno condotto ad avere un SSN impreparato e ora non aspettano altro che spolpare la carcassa di chi, imprenditore o lavoratore, non ce la farà a sopravvivere e sarà costretto a vendersi per un tozzo di pane. È a questi che bisogna presentare il conto della crisi.