Il Coronavirus ha almeno tre meriti. Il primo è aver svelato le difficoltà dello stato centrale nel far fronte ad un problema complesso, di carattere nazionale e che richiederebbe un’azione unitaria. Nell’attuale contesto governativo parcellizzato, caratterizzato da un forte livello di autonomia regionale in cui il governo del territorio può esplicarsi alla pari del governo nazionale, ci troviamo di fronte all’adozione di contromisure contraddittorie sul piano sanitario. Alcune regioni, inoltre, hanno preso iniziative in modo del tutto indipendente dalle direttive centrali. Tutto questo ha complicato la gestione del problema, facendo perdere l’evidenza scientifica, alimentando un sentimento campanilista e mettendoci gli uni contro gli altri.
La titolarità regionale dei poteri di organizzazione e gestione della sanità - frutto della riforma del titolo V della Costituzione voluta nel 2001 da gran parte dei partiti che ora siedono al Governo - è stata denunciata come un grave problema anche da Walter Ricciardi, componente del comitato esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità e neo-consigliere del Ministro della salute Roberto Speranza. Ma è tutto l’apparato autonomista ad essere messo sotto accusa. Ad Ischia i sindaci decidono di vietare gli sbarchi di cinesi, lombardi e veneti, costringendo il prefetto di Napoli a intervenire per annullare l’ordinanza; in Basilicata in poche ore vengono emesse due ordinanze: con la prima si dispone la quarantena per chi proveniva dalle aree al centro dell’emergenza sanitaria, con la seconda si fa marcia indietro, specificando che le misure sarebbero entrate in vigore solo per i cittadini della Basilicata al rientro in regione dalle zone a rischio, salvo poi correggere nuovamente il tiro precisando che l’isolamento preventivo era da intendersi esclusivamente per gli studenti lucani fuorisede. Le Marche decretano la chiusura delle scuole mettendosi contro il governo nazionale ed il Tar che hanno disposto diversamente. E questo è niente rispetto a ciò che potrebbe accadere se venisse approvata l’autonomia differenziata, prevista sempre da quella sciagurata riforma costituzionale e negoziata dai governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna con il precedente primo Ministro, Paolo Gentiloni.
Lo Stato centrale, dunque, ancorché borghese, rappresenta il livello organizzativo minimo per garantire l’esistenza di servizi uniformi su tutto il territorio, che altrimenti sarebbero assicurati solo in poche regioni economicamente più sviluppate. D’altro lato, le inefficienze e lo spreco di tempo e risorse derivanti dalla frammentazione regionalista le ritroviamo anche a livello internazionale, dove ogni Stato si muove in maniera indipendente e autonoma, qualcuno rifiutandosi di mandare i dati all’Oms o raccogliendoli senza seguirne le direttive, qualcun’altro bloccando i collegamenti coi paesi infetti o i suoi cittadini, altri no. Il Coronavirus, dunque, ha il merito di mostrarci che l’autonomia differenziata è assurda ed un nuovo modello di relazioni internazionali non più procrastinabile.
Il secondo merito del Coronavirus è quello di aver dimostrato la natura criminale della logica economica che ha portato ai tagli alla spesa sanitaria (37 miliardi in meno solo negli ultimi dieci anni) e sta facendo impennare i prezzi di amuchina, mascherine e guanti. Basandosi su calcoli di natura statistico-probabilistica, privilegiando il contenimento dei costi e l’efficienza economica, Asl e ospedali sono stati depauperati delle risorse necessarie per operare al di fuori delle normali situazioni di routine. Se normalmente il sistema sanitario si rivela spesso inadeguato, non riuscendo a garantire neanche le prestazioni essenziali ed i livelli minimi di assistenza (per garantirli servirebbero almeno 47 mila dipendenti in più tra medici e infermieri), non ci voleva un genio per capire che in una situazione emergenziale come quella che stiamo vivendo sarebbe finito sotto stress.
Per anni si sono cancellati posti letto (nei primi anni ottanta erano mezzo milione, 350 mila nel 1996, oggi 210 mila) basandosi su logiche economiche che reputano costo inutile da tagliare il dimensionamento atto a garantire l’assistenza generalizzata anche durante eventi eccezionali - per definizione rari - col risultato che alla prima impennata di ricoveri ci troviamo con le gente parcheggiata sulle barelle nei corridoi del pronto soccorso anche in quelle regioni il cui sistema sanitario veniva preso a modello per efficienza. Figuriamoci se ci fosse davvero una pandemia o se si arrivasse anche da noi ad avere a che fare con forme di guerra o terrorismo che fanno ricorso ad agenti chimici e batteriologici.
Inoltre, la sempre più forte integrazione produttiva tra le diverse aree del globo, il taglio delle scorte di magazzino, sia delle materie prime che dei prodotti finiti, ed il taglio dei tempi di fornitura, si rivelano logiche fatali in momenti di crisi. Adottando modelli just in time e produzioni snelle, bastano pochi giorni di chiusura della Mta di Codogno, azienda che fa componentistica per il settore auto, per fermare le linee produttive europee di Fca, Sevel, Renault, Bmw, Peugeot e Jaguar. Lo stop alla produzione nelle zone rosse del Lodigiano e a Vo’ Euganeo ha ripercussioni in tutto il Lombardo-Veneto, che da solo genera un terzo del Pil italiano. La recessione tanto attesa, dunque, è oramai cosa certa e si attendono i dati sul commercio internazionale e la produzione cinese attesi nei prossimi giorni per capire quanto costa l’inadeguatezza dell’organizzazione economica capitalistica.
Terzo merito del Coronavirus è quello di svelare da che parte sta l’attuale Governo rispetto a due temi che dovrebbero differenziarlo dalla destra: la spesa pubblica e la contrattazione. Per quanto riguarda il primo punto, il decreto-legge del 23 febbraio varato per evitare la diffusione del virus specifica che, malgrado l’emergenza sanitaria dichiarata per sei mesi con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, le misure di contenimento dell’epidemia “sono adottate, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Bontà loro, i 20 milioni aggiuntivi che per il momento sono stati stanziati verranno sottratti dagli incrementi dei montepremi dei giochi d’azzardo destinati a chi paga le scommesse attraverso strumenti elettronici.
Per quanto riguarda la contrattazione, invece, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 febbraio, si dispone che, fino al 15 marzo 2020, nelle Regioni Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, la modalità di lavoro agile (smart working) è applicabile in via automatica a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla normativa. Questo significa che i datori di lavoro possono imporre il cottimo individuale senza neanche dover negoziare i tempi di riposo, le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro e possono esercitare arbitrariamente il potere di controllo sulla prestazione resa dal lavoratore all'esterno dei locali aziendali nonché individuare autonomamente le condotte, connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari.