Questo articolo è stato scritto la sera di lunedì 22 settembre 2025.
Lo sciopero del 22 settembre 2025 ha rappresentato una svolta nel contesto politico italiano. Questa semplice affermazione è difficile non sostenere sia stata una percezione che chiunque abbia partecipato alla mobilitazione ha avuto. Già solo questo elemento rappresenta di per sé un dato politico, che si è potuto determinare meglio nei giorni successivi quando la popolazione italiana ha potuto vedere gli effetti concreti che quella stessa mobilitazione, pur se castrata da divisioni sindacali e burocrazie varie, era stata capace di produrre. Non è infatti la prima volta, negli anni recenti, che in Italia si producono moti popolari di massa (pur se tipicamente di settori sociali come giovani, anziani, ceto intellettuale, lavoratrici e lavoratori pubblici, con tipicamente scarso seguito nella meno garantita classe lavoratrice del privato). Il caso che più di ogni altro viene in mente negli ultimi tempi è il Fridays For Future, che ha portato milioni di giovani e giovanissimi nelle piazze di tutto il paese per anni con una forza che, assieme al movimento tedesco (che, mi si permetta di dire, era più arretrato), non aveva pari al mondo. Quella forza mobilitativa, oltre ad esempio ai movimenti sulla questione femminile o contro il riarmo, ha prodotto negli anni le basi oggettive su cui il movimento attuale si è potuto produrre, in un continuo processo di accumulo di forze che, partito da circoscritti nuclei avanzati, ha gradualmente coinvolto pezzi diversi della popolazione fino a portare, riteniamo, al principio di esplosione a cui si assiste dalla scorsa settimana.
Abbiamo detto che la mobilitazione contro il genocidio a Gaza ed a sostegno della Global Sumud Flotilla ha già prodotto risultati politici concreti; occupiamoci ora di elencarli per farne chiarezza. Particolarmente rilevanti sono stati indubbiamente i movimenti che il governo italiano, schiacciato tra l’incudine della dipendenza dagli Stati Uniti ed il martello della mobilitazione, è stato costretto a portare avanti: dal discorso della Presidente del Consiglio all’ONU che per la prima volta (pur se tra mille limitazioni) ha dovuto aprire al riconoscimento dello Stato di Palestina fino al dialogo del Presidente della Repubblica con la Flotilla, intermediazione peraltro rifiutata dal gruppo, passando poi per l’invio di due navi di affiancamento della missione umanitaria da parte del ministro Crosetto. Nonostante tutte le ambiguità di questi movimenti tellurici della maggioranza di governo e delle istituzioni, lo stesso muoversi sulla questione ha rappresentato una svolta, chiarificando inoltre alla popolazione la posizione del proprio governo. Tutta un’altra serie di scossoni allo status quo del paese sono stati prodotti dalla mobilitazione nei confronti dei corpi intermedi e dei partiti. Dal lato sindacale abbiamo visto da una parte la burocrazia della CGIL, che aveva cercato di schivare lo sciopero USB con un falso sciopero il 19 venire costretta a più miti consigli dalle delegate e dai delegati, oltre che da intere sezioni locali o regionali di categoria o confederali, fino a dover dichiarare la disponibilità ad uno sciopero congiunto con il sindacalismo di base; analogo processo si è prodotto in USB, che aveva chiamato uno sciopero che si prospettava di poca riuscita, senza diffonderlo e senza organizzarsi per manifestazioni strutturate, che si è trovata a dover frenare gli slanci estremistici in avanti dalla protesta di un pezzo della base sindacale, dovendosi rendere anch’essa disponibile ad una mobilitazione unitaria nel caso la Flotilla venisse attaccata.
Per capire le influenze che questo processo potrebbe produrre sui partiti politici di opposizione, dove i risvolti risultano non ancora chiari, vediamo prima quali siano in questo momento le richieste spontanee che emergono dal rinnovato protagonismo della popolazione. Abbiamo parlato di un graduale processo che, anno dopo anno, ha posto le basi di una rinnovata attività nel paese. Questo processo ha avuto come contraltare, da una parte, l’aumento della repressione governativa (si pensi ai vari decreti sicurezza) e il tentativo di comprare con più forza di prima le dirigenze sindacali o, altrimenti criminalizzarle, dall’altra l’elezione tanto nel PD quanto nel M5S dirigenti che rappresentano mediamente la parte di sinistra dei rispettivi partiti, il rafforzamento di settori più mobilitativi nel sindacato, il proliferare di gruppi locali. Oltre a tutto questo, tuttavia, specialmente nell’ultimo anno la pressione più forte sentita è stata in direzione dell’unità e della convergenza (su cui tanto già aveva insegnato il collettivo di fabbrica GKN), a partire dalla mobilitazione contro il riarmo del M5S, dei referendum della CGIL, della manifestazione a sostegno della Palestina delle opposizioni parlamentari unite, etc. In questo quadro il nuovo tassello del 22 settembre come abbiamo detto sta producendo, almeno sembra, l’abbattimento di un nuovo steccato: lo sciopero generale senza preavviso ed unitario tra sindacato confederale e di base. È questa allora per il momento la priorità della mobilitazione, che è ancora solo in embrione rispetto alle sue potenzialità: la democrazia nelle assemblee e nelle organizzazioni e l’unità. In questo senso il ceto politico-sindacale, trito e ritrito, sembra poco credibile ed è anzi stato scavalcato a sinistra, costretto a riconoscere un potere della piazza ed un sentito dell’opinione pubblica che è esondato oltre il controllabile: esso, insomma, è stato costretto a rincorrere.
L’ultimo elemento che abbiamo considerato, dialetticamente, allo stesso tempo può fungere da nuovo propulsore della partecipazione attiva della popolazione, donando strumenti e risorse organizzative nuove al rafforzamento della lotta per la causa palestinese e contro il governo filo-sionista. Allo stesso tempo aver indicato le priorità che la mobilitazione si pone per il momento chiarisce la ragione per cui questo moto, da certi punti di vista più avanzato delle manifestazioni contro la guerra in Iraq del 2003 in quanto già orientato oggettivamente contro il colonialismo d’insediamento sionista e contro l’imperialismo occidentale, ha allo stesso tempo avuto nelle recenti elezioni regionali un effetto sostanzialmente nullo, mostrando la tenuta della maggioranza. Non è tempo di momenti di caduta politica della mobilitazione, ma è tempo di convergenza, democrazia anche tramite strumenti consiliari autoconvocati (che sorgono infatti un po' ovunque nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle scuole, nelle università), discussione ed azione congiunta. Diffidate da chi già oggi propone svolte politiciste alla partecipazione attiva, o la vecchia minestra riscaldata del dirigismo informale dei “capoccia” di movimento; gioie, però: il grosso della popolazione, dopo anni di apprendimento in condizioni difficili, non si farà fregare così facilmente.
L’autore scrive questo articolo lunedì 29, in un momento in cui la Global Sumud Flotilla naviga a meno di 300 miglia nautiche dalle coste di Gaza, con una determinazione ed una capacità politica nello svelare l’ipocrisia dei governi occidentali, anche a rischio della vita, che rimarrà indubbiamente nella storia. Il popolo italiano, nella sua parte migliore, sarà senza dubbio pronto a dare battaglia nel caso in cui le barche venissero toccate, per inchiodare il governo reazionario alle sue responsabilità e per rompere la catena di approvvigionamento verso l’entità sionista. Daremo il nostro contributo per sostenere la popolazione palestinese nella sua legittima lotta per l’autodeterminazione e contro il genocidio, gettando l’imperialismo fuori dalla storia.
Palestina libera!