Un corteo sottotono quello della Fiom. Segnato forse dal clima di guerra e paura che i media mainstream si stanno affrettando a legittimare. La piattaforma "Unions", col corteo che marcia a Roma fino a Piazza del Popolo, comunque testimonia di un popolo dei lavoratori che ha voglia di tornare protagonista.
di Carmine Tomeo
Un corteo sottotono quello della Fiom rispetto a come siamo abituati. Giornata segnata forse dal clima di guerra e paura che i media mainstream si stanno affrettando a legittimare in questi giorni. Non è certo il clima favorevole per chi deve prendere treni e metropolitane e andare per recarsi in raduni pubblici. In questo senso non è stata una grande idea, da parte degli organizzatori, spostare il baricentro della manifestazione dal tema del lavoro e della contrattazione a quello della risposta al terrorismo. Soprattutto se non si punta a rompere il clima di falsa unità "nazionale" ed europea che le classi dominanti stanno alimentando per abbassare ogni possibile conflitto e aumentare le politiche di guerra e le controriforme sociali.
La piattaforma "Unions", col corteo che ha sfilato fino a Piazza del Popolo, ha tentato comunque di mettere in mostra un popolo di lavoratori e associazioni che ha voglia di tornare protagonista. È questo il primo, e forse più importante, messaggio che viene dalla manifestazione della Fiom. Ed è quello, in realtà, che le vicende politiche di questi mesi (ed anni) sembrano non aver mai davvero colto nella sua essenza. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil ha confermato di sapersi spingere oltre le istanze che timidamente la confederazione guidata da Susanna Camusso (presente in piazza) ha finora portato avanti. La piattaforma della manifestazione comincia con i “per”, cioè con le proposte che hanno portato in piazza molte migliaia di persone, come a voler affermare la voglia di un popolo di poter contare nelle scelte. E così la piattaforma della manifestazione è: per gli investimenti pubblici e privati per nuova e buona occupazione; per un contratto nazionale per tutti e che tuteli tutte le forme di lavoro; per lo stato sociale, per la riduzione dell’età pensionabile e per pensioni dignitose; per cancellare il pareggio di bilancio imposto dalle politiche di austerità.
Ovviamente, è anche contro che la Fiom è scesa in piazza. Perché i provvedimenti che in questi anni si sono succeduti, spesso non permettono alle classi sociali che hanno dato vita al corteo di Roma di poter condurre una vita dignitosa, né di poter progettare un futuro per sé stessi e propri figli. La Legge di stabilità che il governo ha varato di recente, non si discosta di un millimetro dalla logica contenuta in quelle precedenti, che sono state la traduzione in Italia delle disastrose politiche di austerità chieste dalla troika. Diritti negati, attacco alla sanità pubblica ed allo stato sociale, concessioni al padronato, insieme all’attacco ai diritti dei lavoratori, all’aumento della precarietà ed alla condizione di maggior ricatto a cui lavoratrici e lavoratori sono sottoposti, disegnano il quadro di una lotta di classe rispetto alla quale non ci si può sottrarre.
Da un certo punto di vista, però, è proprio questo aspetto che non emerge dalla manifestazione della Fiom: l’elemento di classe, il suo antagonismo.
Un’assenza, se vogliamo, annunciata fino all’ultimo, dallo stesso Landini nella sua intervista a Il Manifesto. L’obiettivo del segretario generale della Fiom è di «riuscire a ottenere che il lavoro diventi tema trasversale a tutta la politica», senza veri e propri legami con i partiti della sinistra, ma con l’intenzione di portare «le nostre proposte a tutti i partiti, e se le condividono, bene, questo ci aiuterà». Gli esempi di Landini, su questo punto, lasciano sinceramente un po’ interdetti: «Sulle pensioni vedo che la Lega la pensa come noi, sul reddito di dignità i Cinquestelle».
Ma è possibile slegare il tema delle pensioni da quello dell’immigrazione? Ed è possibile slegare il tema del reddito di dignità dalla democrazia ed esercizio del diritto sindacale? Ovviamente la risposta è “no”.
Le forze presenti alla manifestazione, le parole d’ordine usate, le strategie che vengono sintetizzate, non celano la confusione a sinistra rispetto al tema, fondamentale, di unire ciò che il capitale divide. Il carattere di massa della manifestazione è innegabile; la validità della piattaforma rivendicativa è palese, non fosse altro che porta in piazza contenuti che la sinistra politica balbetta nei teatri. La manifestazione è un evidente rappresentazione di una volontà di popolo di poter contare e di farlo collettivamente. Il salto di qualità da fare, ora, sarebbe quello di pensare e mettere in pratica una strategia di classe che possa intervenire sui rapporti di forza esistenti. Ma questo è impossibile fintanto che l’interlocutore politico può essere chiunque, avanzando tematiche senza un legame forte tra loro che diano a quelle lo spessore di una viva capacità programmatica. Per stare agli esempi di Landini, non si può sottacere che se si fa la lotta alla Legge Fornero e contemporaneamente si attaccano gli immigrati, si fa il gioco del padronato; oppure che la proposta di istituire il reddito di dignità e l’attacco ai sindacati, portati avanti insieme significano disgregazione, atomizzazione sociale e non capacità di movimento di massa.
Su questo punto, mi pare, Landini ancora non è riuscito nel tentativo di dare a Unions un carattere politico, nel senso di capacità di essere soggetto di una trasformazione dei rapporti sociali. La questione è che non basta allargare il ventaglio delle rivendicazioni da inserire nella piattaforma, ma è quella, semmai, di dare un progetto politico antagonista rispetto al padronato ed al capitale; un progetto da far vivere nei luoghi di conflitto, dentro e fuori i cancelli delle fabbriche e capace, dentro quei conflitti, di alimentarsi e mostrare la validità e la concretezza di un programma di alternativa, non solo alle attuali scelte politiche neoliberiste, ma che sia di alternativa sistemica. Riconnettere i conflitti in una visione d’insieme e di classe.
Quello che ancora manca, per dirla con Gramsci, è la «coscienza di essere il protagonista di una lotta generale che investe tutte le questioni più vitali dell’organizzazione sociale». Certo, sarebbe questo un compito che spetterebbe piuttosto alla sinistra di classe, ai partiti che rappresentano il mondo del lavoro nella sua dimensione più ampia. Ma questi non svolgeranno tale compito fintanto che saranno impegnati ad organizzare, tra ceto politico e in maniera verticistica, cartelli elettorali che si propongono in estrema sintesi un’impossibile redistribuzione della ricchezza attraverso la lotta istituzionale. Ed in parte non ne hanno la cultura politica, né il radicamento sociale per attrezzarsi a svolgere questo compito.
Ma la lotta sindacale, da sola, non potrà svolgere questo compito; né può farlo da solo il sindacato, neanche nelle forme che assume con Unions. Per questo una presenza passiva (codista, direbbero a ragione Lenin e Gramsci) delle forze politiche di sinistra a manifestazioni come questa di Roma, non aiuta a dare concretezza alle istanze contenute nella piattaforma della manifestazione Fiom, figuriamoci se in queste condizioni è possibile pensare una trasformazione nei rapporti sociali.
Pertanto, non possono sottrarsi a questo compito quanti riconoscono la necessità di una lotta che sia generalizzata, antiliberista e anticapitalista, per tentare di dare organizzazione politica ad un progetto che (come sosteneva Gramsci) nasca dalla «comprensione delle condizioni in cui si lotta, dei rapporti sociali in cui l’operaio vive, delle tendenze fondamentali che operano nel sistema di questi rapporti, del processo di sviluppo che la società subisce per l’esistenza nel suo seno di antagonisti irriducibili». Compito che Gramsci attribuiva al «partito della classe operaia», che oggi deve essere costruito con pazienza, nei luoghi di conflitto e abbandonando la prospettiva elettoralista quale scopo e strumento principale della sinistra italiana.